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«La gloire du soleil sur la mer violette»

Gli impressionisti a Catania
Catania – Palazzo Platamone
A cura di Vincenzo Sanfo
Sino al 21 aprile 2019

ἡ ψυχὴ τὰ ὄντα πώς ἐστι πάντα. Così Aristotele nel Περὶ ψυχῆς (libro III; 431b, 20): la mente è in qualche modo tutte le cose. Con la pittura impressionista la mente diventa infatti paesaggi, acque, fiori, crepuscoli, soli, cattedrali, città, umani. Ogni cosa viene filtrata dal tremolio degli istanti, dalla luce dei tramonti, dal riverbero dell’indagine, dalla ποίησις che trasforma i pensieri in enti, i sentimenti in colori, le impressioni in sostanza. L’impressionismo francese è anche la risposta della pittura all’invenzione della fotografia, la quale rese superfluo ogni realismo rappresentativo e indirizzò l’agire artistico verso lo sguardo e non più verso le cose.
La mostra in corso nel bel Palazzo Platamone di Catania si presenta enfaticamente come «la più completa possibile» sugli impressionisti. Così non è. E non perché non siano davvero numerosi gli artisti dei quali almeno un’opera è in mostra ma perché essa è costituita da incisioni, acqueforti, pastelli, piccole sculture. Pochissimi sono gli oli e tra questi Les Nymphéas che Monet dipinse in un mattino del 1905 e la splendida Seine a Suresnes di Alfred Sisley (qui sopra). La prima è uno sguardo già informale sul mondo. La seconda celebra le nozze tra la luce e la geometria.
La mostra si chiude sul Ritratto di Baudelaire che Manet dipinse nel 1863. Baudelaire il quale descrisse il mondo allo stesso modo degli impressionisti ma lo seppe fare con le parole. Parole come queste:
«La gloire du soleil sur la mer violette,
La gloire des cités dans le soleil couchant»
(Les Fleurs du Mal, «Le Voyage», strofa V)
“La gloria del sole sul mare color viola, / La gloria delle città nel sole che declina”.
La gloria della mente che sa guardare il riflesso della luce nello spazio. Anche questo è l’impressionismo.

Nota tecnica.
Sul sito della mostra si trova un’applicazione che permette di ascoltare sul proprio cellulare informazioni su alcune delle principali opere in mostra, esattamente su 35 di esse (su un totale di circa 190). Un’idea davvero buona. Peccato però che la voce che legge sia quella di un software anglofono, che deforma sistematicamente le parole e gli accenti sia francesi sia italiani, con effetti comici e penosi. Non si poteva spendere qualche euro per far leggere i testi a una persona vera? Non necessariamente una grande attrice, sarebbe bastata una persona viva.

Alessandro Papetti. Il ciclo del tempo

Milano – Cortile di Palazzo Reale
Sino al 20 settembre 2009

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Esplicitamente ispirata alle grandi tele che Claude Monet costruì a Giverny, l’opera di Papetti è composta di tre grandi installazioni a spirale, dedicate rispettivamente all’acqua, all’aria, al bosco.
Il ciclo dell’acqua è abitato da numerosi personaggi immersi in un colore dantesco, come se dalla nera pioggia si aspettassero una qualche disperata e necessaria purificazione. Nel ciclo del vento una sola donna costituisce il fuoco del vortice orizzontale che la investe. Il bosco diventa la corsa verticale dello spaziotempo e dello sguardo umano che lo coglie.
Quello di Papetti è un figurativismo denso di materia, di percezione estrema che continuamente rinvia alle sensazioni interiori dei paesaggi, delle situazioni, degli enigmi. Anche tale complessità è il tempo, il suo ciclo.

Monet. Il tempo delle ninfee

Milano – Palazzo Reale
Sino al 27 settembre 2009

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Il giardino di Claude Monet a Giverny, le stampe giapponesi delle quali fu appassionato collezionista, le fotografie quasi indistinguibili dalle stampe, la foto di Nadar che ritrae lo sguardo dell’artista come fosse scolpito, un filmato che lo vede al lavoro. E ovunque, nelle sale di Palazzo Reale, la vibrazione delle forme e dei colori, le ninfee come segno e promessa di un segreto che sta nella luce e nell’occhio che la assorbe. L’artista scrisse che «tutti i miei sforzi sono volti a realizzare il maggior numero possibile di immagini intimamente collegate a realtà sconosciute». Un dipinto dal titolo Glicine (1919-20) sembra finalmente cogliere e restituire le sfumature più intime della realtà e dello sguardo, della sintesi attiva che la mente compie sul mondo.

E sono soprattutto le quattro versioni qui presenti del Ponte giapponese a esprimere l’identità profonda della materia con la percezione/visione. In questi dipinti la figura si frantuma e si dissolve progressivamente in impressione pura del colore. A proposito delle sue ninfee, Monet disse una volta a Thiébault-Sisson che «l’effet, d’ailleurs, varie incessamment. Non seulement d’une saison à l’autre, mais d’une minute a l’autre, car ces fleurs d’eau sont loin d’être tout le spectacle; elles n’en sont, à vrai dire, que l’accompagnement. L’essentiel du motif est le miroir d’eau dont l’aspect, à tout instant, se modifie grâce aux pans de ciel qui s’y reflètent, et qui y répandent la vie et le mouvement. Le nuage qui passe, la brise qui fraîchit, le grain qui menace et qui tombe, le vent qui souffle et s’abat brusquement, la lumière qui décroît et qui renaît, autant de causes, insaisissables pour l’œil des profanes, qui transforment la teinte et défigurent les plans d’eau» («Les Nymphéas de Claude Monet», Revue de l’Art, luglio 1927, p. 44).





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