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Materia / Luce

Medardo Rosso. La luce e la materia
Galleria d’Arte Moderna – Milano
A cura di Paola Zatti
Sino al 31 maggio 2015

All’inizio Medardo Rosso descriveva soggetti proletari e quotidiani. Lo faceva con ironia e scapigliata rivolta. Poi Parigi, l’incontro con Rodin, l’amicizia e i conflitti con questo artista e con l’intero ambiente francese. E la  materia comincia a gorgogliarli tra le mani, producendo impasti e forme dentro le quali la mente trova e installa i suoi significati. Nel bronzo e nello spazio si ampliano diagonali –L’uomo che legge-, rampollano ovali –Madame X-, declina la materia –Enfant malade. La stessa forma si moltiplica in sostanze diverse: cera, bronzo, gesso. Materia che sembra già quella di Modigliani, di Brancusi. Ma è venuta prima. Nessun artista crea dal niente, sono tutti degli artigiani che reinventano e costruiscono su ciò che già esiste e che probabilmente si fonda sugli archetipi intuiti da Jung, sull’universale struttura della mente e del sogno umani. Curioso e instancabile, Rosso si dedicò anche alla fotografia, non come semplice documentazione del mondo e dell’opera ma come ambito d’arte autonomo e insieme legato a tutti gli altri, al modo in cui oggi la fotografia è intesa ad esempio da Fazekas.
Medardo_Rosso_Madame-XIndividualista e rigoroso, questo artista aveva una visione vincolante della plastica. Riteneva infatti che ci fosse un unico punto di vista esatto nel guardare una scultura, che le sculture non siano delle opere intorno alle quali si gira ma che soltanto da una prospettiva ben precisa esse possano comunicare il loro senso. Quale senso? Medardo Rosso nutriva un’ambizione forse impossibile. Voleva scolpire la luce dentro la materia. Disse infatti che «la luce è l’essenza della vita umana. Noi siamo degli schizzi di luce». Colpita da tali schizzi, di tanto in tanto la materia si fa scrittura, musica, pastello, bronzo, opera. Si fa metamorfosi, arte.

Immanenza verticale

Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti. La collezione Netter
Palazzo Reale – Milano
A cura di Marc Restellini
Sino all’8 settembre 2013

Storie anche di umani. Di persone che lasciano le loro terre e si trasferiscono a Parigi, confermando ancora una volta ed esaltando il ruolo principe di questa città nell’arte. Storie anche di miseria, di alcolismo, di dolore: Jeanne Hébuterne, la compagna di Modigliani, si uccide il giorno successivo a quello della morte del pittore; Utrillo è così perdutamente alcolizzato da arrivare a bere la trementina e l’acqua di colonia; la povertà attanaglia molti di questi artisti. Storie anche di successi e di ricchezza, come quella di Soutine e, naturalmente, dei mercanti d’arte. Storie di passione per le opere e di paziente e intelligente raccolta, quella che diede vita alla collezione di Jonas Netter.
Ma storie soprattutto di coraggio, di bellezza e di forma. Il coraggio che spinge a tentare strade sempre nuove nell’esprimere il mondo, gli umani, i luoghi. La bellezza che trasfigura anche gli spazi più miserabili -come molti angoli di Montmartre e Montparnasse- in autentiche epifanie della meditazione e dell’incanto. La forma che, in tutti i pittori qui raccolti ma soprattutto in Soutine, si mescola e rimescola; i colori che si ibridano e diventano anch’essi la densa sostanza del tempo.
Su tutto si staglia, ma senza nessuna prevaricazione, la geometria di Modigliani, la sua immanenza verticale, l’antico debito con la tradizione toscana e italiana, la capacità di trasformare gli effimeri soggetti che ritrae in sfavillanti icone della fede nella figura.

 

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