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Su Leopardi

Recensione a:
Rosalba Galvagno
Giacomo Leopardi tra antico e moderno
(Sinestesie 2019, pp. 102)
in L’immaginazione, n. 320, novembre–dicembre 2020, pagina 50

Un materialismo meditato a fondo; una cosmologia dell’infinito; un’antropologia disincantata e realistica; un’ironia sottile, sorridente, sarcastica; un pensiero sempre lucido. Sono anche questi gli elementi che fanno di Giacomo Leopardi uno dei maggiori filosofi del XIX secolo.
Il denso e vivace libro di Rosalba Galvagno segue alcuni dei percorsi di Leopardi dentro il mondo: le metamorfosi della materia e del mito; la sociologia della moda; la questione delle illusioni; lo schema ermeneutico del «velo»; la centralità del linguaggio.
Riporto qui un brano della recensione riferito proprio al linguaggio e al velo:
«Questo idolo del linguaggio è destinato allo squarcio e alla rivelazione. Un’epifania che ha esiti assai diversi in Leopardi e in Proust. Nel secondo la natura temporale degli enti di linguaggio che alla fine sono tutti gli umani, le relazioni, gli amori, (lo hanno ben chiarito anche i Fragments d’un discours amoureux di Roland Barthes) diventa la jouissance suprema, il disvelarsi del tempo ritrovato e quindi della pienezza aionica del corpomente. In Leopardi il velo trattiene sin che può e a stento la natura nichilistica degli amori, del divenire, degli eventi: “L’idolo insomma è sempre rappresentato come un oggetto sommamente idealizzato e quindi velato. Ma può accadere che il velo che proietta e/o protegge l’idolo, rischi di cadere o di lacerarsi e di svelare così l’oggetto supposto prezioso, come un oggetto deludente, derisorio, degradato e abietto o addirittura assente: un niente” (pp. 22-23).
Un niente. La radicalità di Leopardi, che questo libro mostra sino in fondo, conferma ancora una volta la natura teoretica della sua poesia».

Klein, i luoghi

William Klein. Il mondo a modo suo
Milano – Palazzo della Ragione
A cura di Alessandra Mauro
Sino all’11 settembre 2016

La poetica, le città, la pittura, i film di un artista poliedrico e sempre curioso.
Si comincia con una sala intitolata Astrazioni, nella quale si comprende il fondamento estetico dell’opera di Klein attraverso i suoi oli, le installazioni, la grafica. Poi cominciano le città vissute e fotografate. Di ciascuna di esse, di ogni luogo, Klein sembra trarre la natura, l’essenza.
A New York Klein è nato nel 1928. Ma dagli anni Cinquanta decide di osservarla con occhi diversi: «Era come se fossi un etnografo: trattavo i newyorkesi come un esploratore avrebbe trattato uno zulu». Il risultato sono delle immagini che documentano una società selvaggia, estrema, rozza, senza armonia, violenta anche nella sua serenità e naturalmente del tutto mercantile. Topolino invade Times Square (1998) è un vero e proprio trionfo della volgarità.
La Roma degli anni Cinquanta è vissuta insieme a Fellini, del quale Klein fu assistente per Le notti di Cabiria. Baristi, barbieri, suore, militari, La Sacra Famiglia in Vespa (in tre sulla stessa moto). Una città vivace, sporca, proletaria.
In quegli stessi anni Mosca appare invece malinconica, ordinata, rassegnata e insieme vitale. Di questa visita, Klein scrisse: «Come tutti, anch’io mi ero fatto un’idea dell’Unione Sovietica. E nella mia mente c’erano anche le immagini di Vertov, Rodčenko e compagnia bella, così come le inquadrature televisive del Praesidium, quelle mummie decorate con grugni che sembravano le porte di una prigione. Temevo che mi sarei ritrovato in una città chiusa, noiosa. Ma poi provai una sorta di emozione –niente a che vedere con la rabbia che mi ispirava New York- una specie di malinconia vagamente disperata, quasi tenera, non lontana dal sentimento che avevo provato, in gioventù, leggendo i romanzi russi. Ecco cosa cercai di mostrare –ed ecco in cosa può rivelarsi utile la fotografia, nel mostrare cose e persone per quello che sono. Non tutti i russi cono come Breznev e Andropov».
A Tokyo per Klein «tutto è da vedere, nulla da interpretare». Da vedere soprattutto le cerimonie (del bagno, dell’inchino, delle bolle di sapone). Un insieme di cortesia e di astrazione.
Parigi è il luogo dove Klein ha deciso di vivere. Una città cosmopolita, tradizionale, ribelle, densa, totalizzante.
Altre tre sezioni sono dedicate alla Moda, con immagini assolutamente gelide, le quali mostrano la natura del tutto effimera e arrogante di quel mondo.
Dei Film è possibile gustare numerose sequenze. Questi film nascono, secondo l’acuta ipotesi di Claire Clouzot, dal fatto che Klein «avrebbe voluto girare il prima e il dopo delle fotografie». Sono opere metaforiche, formalmente rigorose, religiose, politiche, ironiche, effimere, laterali rispetto a ogni centro. Molto bella la scena di alcuni detenuti statunitensi che cantano Händel.
Infine Contatti dipinti nei quali –afferma l’artista- «l’esultanza della pittura richiamava la gioia che si prova scattando una fotografia». Le immagini vengono colorate, geometrizzate, rese forma e parte della mente di Klein.

Colore / Artificio

Juergen Teller. The Girl with the Broken Nose
Palazzo Reale – Milano
Sino al 4 novembre 2012

Non c’è niente da fare: anche quando si impegnano a elevarsi un po’, i fotografi di moda (nel senso di quelli che fotografano i vestiti e chi li porta) ricascano sempre nel patinato. Un’eccezione è forse David LaChapelle proprio per la sua evidente esagerazione cromatica e la parodistica tragicità della serie Deluge. Teller, invece, è un bravo fotografo manierista. L’uso che fa del flash immerge lo spazio e i soggetti in un’atmosfera di chiara finzione. Gli oggetti vanno diventando umani -come la statua dal naso rotto alla quale è dedicato il titolo della mostra- e gli umani sono oggettivati nella natura/artificio.
Delle nove grandi fotografie (quasi tre metri x due) in mostra a Palazzo Reale, le più interessanti sono forse quelle che non presentano figure umane -di carne o di pietra- e capaci di descrivere le sfumature dell’autunno in una scala cromatica che sembra musica.

KRGR

KRGR. Bob Krieger
Ricordi tra fotografia e arte

Milano – Palazzo Reale
Sino all’11 settembre 2011

 

Bob Krieger è nato nel 1936 ad Alessandria d’Egitto da padre tedesco che parlava inglese e da madre siciliana che parlava solo francese. Il nonno materno era un pittore napoletano. Le condizioni giuste per diventare un apolide. Così come apolide è l’ambiente della moda, al quale Krieger ha indirizzato un’attenzione costante e vincente, che gli ha consentito di diventare fotografo di riferimento di molte riviste del settore, di stilisti, del “bel mondo”, insomma. Un mondo al quale ha dedicato e dedica la sua capacità di ritrattista. Decine di queste immagini di donne e uomini noti costellano la mostra. Una loro caratteristica quasi costante è la presenza non soltanto del volto ma anche delle mani, collocate in una postura che amplia l’espressione del viso dandole una precisa direzione interpretativa. Il più intenso di questi ritratti è forse quello dedicato a un Indro Montanelli sconcertato, come se stesse guardando l’Italia contemporanea.

Al di là dei ritratti e delle fotografie di moda, Krieger ha realizzato immagini esplicitamente ispirate al mondo classico, con delle vere e proprie riprese della statuaria greca o della pittura neoclassica.  Negli anni più recenti sembra che la fotografia non gli basti più e Krieger inventa delle fotosculture nelle quali i corpi o delle loro parti -soprattutto gli occhi- sono posti dentro cornici molto elaborate. Così, ad esempio, in Start, dove un grande occhio rosso con delle pagliuzze dorate dentro la pupilla è inserito in una struttura ai cui angoli sono poste le immagini di alcuni tachimetri d‘automobile. Oppure Essere, nel quale l’immagine di un corpo che va sfumando e dal quale cola del rosso sangue è imprigionata dentro un filo spinato. Spesso, però, tali opere risultano di un gusto assai discutibile. I risultati migliori a me sono parsi invece alcuni nudi dai chiaroscuri potenti, tanto da farli somigliare a delle sculture. Tra questi, una fotografia dal titolo Penso.
L’impressione complessiva è quella di un talento notevole, posto al servizio di un mondo fatuo.

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