Skip to content


Splendente agli interstizi

Arnaldo Pomodoro. Opere 1954-1960
Una scrittura sconcertante
Fondazione Arnaldo Pomodoro – Milano
A cura di Flaminio Gualdoni
Sino al 28 giugno 2013

Sin dall’inizio l’opera di Arnaldo Pomodoro ha spezzato la bidimensionalità della tela per farsi forma complessa nello spazio. È in questo che consiste soprattutto la «scrittura sconcertante» degli anni Cinquanta, diventata poi il segno inconfondibile delle sfere, dei coni, dei cilindri, delle strutture geometriche con le quali la materia più pesante e densa acquista la leggerezza del pensiero. Nel luogo dove Pomodoro abita e lavora da decenni, in uno dei quartieri più autentici e suggestivi di Milano, è possibile toccare con gli occhi i giardini d’argento mobili nello spazio, con soli e lune splendenti agli interstizi; architetture di una arcaica fantascienza nelle quali il pieno e il vuoto disegnano un abitare che non conosciamo ma verso cui sembra ci sospinga il desiderio. Si torna là dove scaturisce la forza della visione e di ogni altro percepire, in quelle geometrie dal gelo appassionato dentro le quali il bíos gorgogliante della carne diviene figura comprensibile alla mente. Nulla sta fermo sulla superficie che diventa luogo e invenzione dell’ingegno, forma frattale che si apre sul niente e di pienezza lo riempie.

 

Jannacci

Qualche tempo fa avevo inserito in questo spazio la splendida interpretazione che Enzo Jannacci ha dato di Bartali. Non è stato facile, ora, scegliere un brano di questo artista. Tutti hanno qualcosa di speciale. Dalla celebre Vengo anch’io, no tu no! alla medioevale Ho visto un re (composta con Dario Fo); da Faceva il palo -intrisa di termini milanesi quali ghisa (vigile urbano), cariba (carabinieri), ciula, bamba, pistola (tutti a indicare uno sciocco)- alla quasi programmatica L’Armando, sino al capolavoro E la vita la vita, magnifico manifesto della leggerezza.
Alla fine ho scelto una canzone forse meno conosciuta ma nella quale si esprime in modo paradigmatico il lessico surreale di Jannacci, il suo perenne gioco linguistico. In Silvano (1974) la musica sta dovunque, anche nelle parole e non soltanto nelle note. Un trionfo del più puro rock & roll.

[audio:Jannacci_Silvano.mp3]

 

 

 

 

 

 

Costantino, l’intollerante

Costantino 313 d.C.
Palazzo Reale – Milano
A cura di Gemma Sena Chiesa e Paolo Biscottini
Sino al 24 marzo 2013

La Milano tardo antica era una magnifica città, capitale dell’Impero romano d’Occidente dal 286 al 402. Le tracce ancora visibili di questa fase della sua storia non sono molte ma quelle che rimangono sono imponenti e si riferiscono soprattutto al IV secolo, al periodo in cui il culto cristiano venne prima autorizzato -nel 313 appunto, con l’Editto emanato a Milano da Costantino- e poi reso esclusivo.
Costantino e sua madre Elena ebbero l’abilità e l’accortezza di comprendere quanto sarebbe stato assai  più utile associare i cristiani al potere imperiale invece che insistere affinché riconoscessero la divinità dell’imperatore. Da allora fu un crescendo di accordi politici, militari, culturali, sino alla pratica di una violenta intolleranza non soltanto contro i pagani ma anche contro le correnti teologiche cristiane diverse da quella sostenuta dall’imperatore. Il Credo che i papisti recitano la domenica -profondo e potente testo teologico e letterario- fu sollecitato e approvato nel 325 da Costantino, imperatore che perseguitò con le armi e i tribunali quanti non condivisero quell’atto di fede, arrivando a comminare la pena di morte a coloro che, ad esempio, avessero semplicemente letto i libri di Ario.
Poi i suoi successori privarono dei diritti e perseguitarono quanti non erano disposti a farsi cristiani. Nel 356 Costanzo II fa chiudere i templi pagani e ne sequestra i beni. Nel 380 Teodosio dichiara il cristianesimo religione di Stato e nel 391, infine, proibisce ogni culto pagano. Il sottotitolo della mostra –L’Editto di Milano e il tempo della tolleranza– risulta dunque decisamente sviante e ideologico. Significativo è che nei recenti scavi di Piazza Meda a Milano si siano trovati oggetti «che testimoniano la convivenza di temi cristiani e pagani» ma tra le strutture murarie della Chiesa Rossa (sempre a Milano) emerge una testa dell’imperatore Tiberio quasi del tutto seppellita e utilizzata soltanto come materiale dell’edificio cristiano.
Nei primi secoli della loro era i cristiani non adottarono il simbolo della croce -assolutamente infamante- ma il Krismon, formato da due lettere dell’alfabeto greco tra di loro incrociate e indicanti il nome di Cristo, accompagnate dall’alfa e dall’omega. Il risultato grafico è più vicino al simbolo pagano del Sol invictus, così come la scelta del 25 dicembre per ricordare la nascita del dio dei cristiani, data nella quale i romani celebravano il Sole che rinasceva.
Soltanto in un pannello della mostra si ammette che «serie limitazioni al paganesimo» furono introdotte alla fine del IV secolo «quando venne stabilita per legge la sua impraticabilità». Un linguaggio piuttosto eufemistico mentre per i cristiani prima del 313 si utilizzano di continuo termini come “persecuzione”, “martirio”, “ferocia”. Altre notizie storiche su quanto i cristiani attuarono contro i pagani si possono trovare in un articolo di Elio Rindone, il quale scrive che «la manipolazione della storia non implica la necessità di dire il falso, perché basta evidenziare un dato e tacerne un altro». La menzogna dei vincitori, come si vede, può durare millenni. E proseguire.

Gadda, l’incendiario

Teatro Franco Parenti – Milano
Il racconto dell’incendio di via Keplero
di Carlo Emilio Gadda
Con Anna Nogara
Percussioni Marco Scazzetta
Produzione Teatro Franco Parenti
Dall’1 al 10 febbraio 2013

«Se ne raccontavano di cotte e di crude sul fuoco del numero 14. Ma la verità è che neppur Sua Eccellenza Filippo Tommaso Marinetti avrebbe potuto simultanare quel che accadde, in tre minuti, dentro la ululante topaia, come subito invece gli riuscì fatto al fuoco: che ne disprigionò fuori a un tratto tutte le donne che ci abitavano seminude nel ferragosto e la lor prole globale…».
Al futurista Marinetti no ma a Gadda sì. A lui riesce di racchiudere in un incendio improvviso i caratteri, le psicologie, le storie, i progetti, le vanità, le disperazioni, la malinconia, il Wille zum Leben, la dolente e totale volontà di vivere che accomuna i mortali. Si precipitano tutti verso la salvezza, signore ingioiellate, prestanti garzoni di muratori, ladri trasformatisi in eroi, vecchi garibaldini immedagliati, ubriaconi solitari, bambini piangenti e pappagalli sconvolti.
Come uno dei personaggi «ingiovannava la tromba delle scale» per chiamare e salvare un suo amico, così Anna Nogara ha “ingaddato” lo spazio teatrale con una recitazione che dell’espressionista e strabiliante racconto ha restituito il pathos, l’ironia, il divertimento, l’antropologia, la bellezza.

Un urlo che precipita

Enrico Baj. I funerali dell’anarchico Pinelli
Palazzo Reale – Sala delle Cariatidi – Milano
Sino al 2 settembre 2012

«Mi si reclamava insomma una rappresentazione, e rappresentazione ho fatto, affinché testimonianza resti del fatto, di lui, delle violenze subite, del dolore di Licia, di Claudia e di Silvia». Così Enrico Baj presentava la grande opera -affresco meccanico e installazione tridimensionale- nella quale Giuseppe Pinelli è un urlo che precipita. Intorno a lui i poliziotti che lo uccisero -macchine digrignanti morte «con cimiteri di croci sul petto» (De André, La collina)- e gli anarchici che lo accompagnarono ai funerali, uomini e donne sconvolti, piangenti ma non rassegnati. Davanti a lui le figlie dolorose e la moglie devastata emergono da un infinito tappeto di fiori.

In tre metri di altezza e dodici di lunghezza, Baj riassunse Guernica, Carrà, la patafisica, le macchine desideranti. Riassunse soprattutto il sentimento di un’intera città, alla quale viene finalmente restituita un’opera creata nel 1972 e mai esposta sinora nella sede per la quale era stata pensata, perché il giorno stesso dell’inaugurazione -17 maggio 1972- moriva ammazzato il commissario Calabresi. Vederla ora nella solitudine della grande sala, nel buio dal quale si staglia la sua luce, è segno che la memoria e la bellezza sono più forti di ogni ferocia.

Un’inquietudine che si autocelebra

Addio anni 70. Arte a Milano 1969-1980
A cura di Francesco Bonami e Paola Nicolin
Milano – Palazzo Reale
Sino al 2 settembre 2012

Ad accogliere è una semplice cornice dentro la quale è inscritta la parola Gliannisettanta (Alighiero Boetti) . Nella stessa stanza sta la Bariestesia (Gianni Colombo), una serie di scale asimmetriche che vanno percorse per comprendere quanto straniante possa essere lo spazio. Un incipit nel quale l’ordine della parola racconta il disordine dei luoghi e degli eventi. Da qui ci si inoltra in un vero e proprio catalogo, a volte bulimico, degli anni Settanta.
Copie delle edizioni L’erba voglio e di Alfabeta. La dinamica classicità delle sculture di Fausto Melotti. Il Nuovo Realismo nella varietà delle sue forme, tra le quali i piatti e i tavoli sporchi del Restaurant Spoerri. I funerali delle vittime di Piazza Fontana fotografati da Ugo Mulas. Christo che impacchetta il monumento a Vittorio Emanuele II in Piazza Duomo. I ritratti fotografici di Carla Cerati che descrivono altri funerali, i processi più celebri, i personaggi più paradigmatici. L’Orlando Furioso messo in scena da Ronconi in mezzo al pubblico assiepato in piedi. Le superfici acriliche e asettiche di Enrico Castellani. Bernd e Hilla Becher che fotografando gasometri, torri d’acqua e fornaci mostrano tutta la bellezza urbana del paesaggio industriale, da Sironi in poi. John Cage al Teatro Lirico il 2 dicembre 1977. Cesare Colombo e Gianni Berengo Gardin che colgono Milano negli angoli e nei modi di esistere più suoi, mentre Gabriele Basilico si concentra sul proletariato giovanile che la abita. I raduni di questo proletariato, e di chi a proletario si atteggiava, documentati con le immagini e il sonoro. Il tardo e sterile surrealismo di Sergio Dangelo. L’intuizione della Révolution informatique di Simon Nora e Alain Minc. Il narcisismo di Emilio Isgrò che si celebra nella serie di attestati, firmati da lui e da altri, nei quali dichiara di non essere Emilio Isgrò. Le grandi tele colorate di Valerio Adami. Il grigio brechtiano di Emilio Tadini. I meravigliosi Segmenti in bronzo di Arnaldo Pomodoro. Gli Studi di anatomia di Giovanni Testori, espliciti sino al porno. Le metafore materiche di Alik Cavaliere.

Un’inquietudine che si autocelebra, questo è la mostra che Milano ha dedicato a se stessa nel tempo in cui pensava di cambiare il mondo mentre poi fu essa a cambiare, diventando la craxiana capitale della corruzione politica. E questo avvenne -triste a dirlo ma così fu- con la complicità attiva o rassegnata di non pochi fra coloro che volevano, o immaginavano di volere, la Rivoluzione.
Sorpresa-Scandalo-Normalità-Museizzazione. L’inevitabile ciclo di ogni avanguardia e sperimentazione ha in questa mostra una conferma quasi didascalica. La storia (il tempo) davvero tutto tritura, tutto immobilizza. Un Addio malinconico a un decennio che è fallito nelle sue speranze ma che ha vinto nella sua rassegnazione alla legge del più forte. Poiché la città non è riuscita a essere più forte delle banche, ha riconosciuto la loro forza e vi si è sottomessa. Eppure in questo suo quasi funebre autoricordare, Milano mostra di essere ancora la città più critica d’Italia. E questo è parte della sua grandezza, del suo dramma.

Estintori ed estinti

Qualche giorno fa in una scuola di Milano uno studente ha colpito con violenza il professore utilizzando un estintore, dopo aver innescato lui stesso un principio di incendio. Risultato: «quattro denti rotti, un trauma facciale e una contusione al ginocchio. […] Al momento —da parte della scuola e dello stesso insegnante— non sarebbe stata sporta nessuna denuncia alle forze dell’ordine. Solo una segnalazione al commissariato Lambrate da parte della preside, per un “episodio di intemperanza”. “È stata una bravata di un ragazzo che ha problemi di crescita e di esuberanza —spiega la preside, Clara Magistrelli, che ha in ogni caso sospeso l’alunno— si sentono piccoli geni incompresi, fanno scemenze in un’età molto difficile. E l’insegnante era solo intervenuto per placarlo, dimostrando senso civico e anche coraggio nell’affrontare con prontezza il problema. Quanto al ragazzo, dobbiamo tutelare chi è in difficoltà. Non abbiamo alcuna intenzione di allontanarlo dalla scuola o di prendere provvedimenti che possano danneggiarlo. Un atteggiamento inutilmente vendicativo non servirebbe a nessuno”».
I particolari della vicenda non sembrano legittimare simili giustificazionismi socio-psicologici e ricordano piuttosto le parole con le quali Pasolini mostrava ancora una volta la propria intelligenza del mondo: i ragazzi «sono regrediti -sotto l’aspetto esteriore di una maggiore educazione scolastica e di una migliorata condizione di vita- a una rozzezza primitiva […] lanciando ogni tanto urli gutturali e interiezioni tutte di carattere osceno. Non sanno sorridere o ridere. Sanno solo ghignare o sghignazzare» (Lettere luterane, Einaudi 1976, pp. 8-9). Lasciati a se stessi dalla vigliaccheria dei genitori e degli altri presunti educatori, troppi adolescenti sono diventati un settore della società fra i più violenti e conformisti, pervaso da una crudeltà gratuita e giocosa, da un’arroganza teppistica. Il nulla televisivo del quale si nutrono ossessivamente sin dalla loro nascita sembra ormai penetrato nel nulla dei loro cervelli.
I giustificazionismi d’accatto di fronte a un gravissimo episodio di violenza legittimano altri studenti a compiere azioni analoghe o ancora più gravi. In attesa che l’“intemperanza” arrivi sino all’omicidio, a essere estinta è in ogni caso la scuola.

 

Vai alla barra degli strumenti