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Fossili / Tempo

Collezionare il tempo
Museo di Storia Naturale – Milano
Sino al 31 marzo 2014

Nella percezione che abbiamo delle cose conta moltissimo la dinamica tra sfondo e primi piani. Quando qualcosa di raro viene immerso in un insieme di altri oggetti e con essi è confuso, è difficile poi percepirne gli elementi peculiari, quelli che -appunto- lo rendono prezioso. I curatori del Museo di Storia Naturale di Milano hanno dunque avuto l’ottima idea di selezionare tra i circa 125.000 fossili che vi sono conservati qualche decina di esemplari ed esporli dando loro l’evidenza che meritano.
Il risultato è straordinario. Appaiono in tutta la loro bellezza delle linee informali e astratte disegnate in milioni di anni dalla materia. Un accumulo di gasteropodi del Miocene inferiore dà vita all’alternarsi ritmico di forme coniche e a spirale. Il cranio del Bison priscus somiglia nella sua essenzialità alla testa di toro costruita da Picasso con il sellino e il manubrio di una bicicletta. Esemplari di Scyphocrinus elegans richiamano i fiori di Van Gogh e degli impressionisti. E ovunque splende la perfezione e l’armonia della materia vivente diventata materia e basta. Diventata quindi perfetta serialità, ripetizione, forma che testimonia «dentro da sé, del suo colore stesso» (Paradiso, XXXIII, 130) della potenza che è il tempo.

 

Milano

Milano tra le due guerre
Alla scoperta della città dei Navigli attraverso le fotografie di Arnaldo Chierichetti

Palazzo Morando / Museo di Milano
Sino al 13 febbraio 2014


Chierichetti_Milano_tra_due_guerre
Non come Venezia ma simile alla città pervasa dalle acque. Così Milano è stata ed è apparsa per secoli, sino a quando una delle tante stolte decisioni d’epoca fascista interrò la cerchia dei Navigli. Poi arrivarono anche i bombardamenti anglo-americani a radere al suolo palazzi e quartieri. Ma durante questi attacchi alla città sembra che i milanesi dicessero: «Cossa gh’é de piang? Se ved propi che si mai staa a Pompei». Un’ironia che ha permesso ancora una volta a Milano di rinascere e a molti di ripetere le parole dedicatele da Stendhal: «Questa città divenne per me il più bel luogo della terra». Non pochi milanesi fanno fatica a capire come si possa amare così la loro città. Una risposta l’ha data Vittorio Sereni. Forse bisogna infatti venire dalla provincia lombarda -come questo poeta- o essere nati in un paesino, magari del Sud, per invitare a meditare su «cosa può essere –voi che fate / lamenti dal cuore delle città / sulle città senza cuore- / cosa può essere un uomo in un paese, / sotto il pennino dello scriba una pagina frusciante / e dopo / dentro una polvere di archivi / nulla nessuno in nessun luogo mai» (Gli strumenti umani, Einaudi 1980, p. 67). La città aiuta a redimersi da questo diventare nulla; lo fa anche attraversando «i corsi l’uno dopo l’altro desti / di Milano dentro tutto quel vento» (Ivi, p. 21).
Bellissima immagine che si fa figura nelle fotografie che Arnaldo Chierichetti dedicò alla città. Le acque di Milano, i suoi spazi, il vento, la luce riflessa dagli edifici e le nebbie attraversate dagli ultimi brumisti diventano vedute, tagli, documento. Diventano, quando l’oggetto delle fotografie sono i Navigli, «la quintessenza stessa del rimpianto».
Ma la potenza della struttura urbana inventata dagli umani circa dieci millenni fa -luogo finalmente di una conquistata identità rispetto alle instancabili differenze del nomadismo- permette anche a Milano, come alle altre città del mondo, di mutare incessantemente e tuttavia rimanere sempre quello spazio intimo e aperto, riservato e rutilante, grigio e fastoso, che anche queste immagini testimoniano.

 

Dinamismo / Vento

Rodin. Il marmo, la vita
Palazzo Reale – Milano
Sino al 26 gennaio 2014

Rodin_La mano_di DioEmergono dal marmo gorgogliando. Dall’informe fondamento la materia si fa struttura, baci, mito, mani, persone, personaggi, gesti, sospensione, dinamismo, vento. Scultura-dipinto è stata definita quella di Auguste Rodin (1840-1917) ma è assai di più. È una delle più chiare espressioni del pensiero platonico, le cui forme ideali non stanno nei cieli o chissà dove ma esattamente nella materia, alla quale danno senso e geometrico rigore. I tanti baci; gli amanti avvolti l’uno nell’altra -che siano i cristiani Paolo e Francesca o i pagani Aurora e Titone, Amore e Psiche-; madri e figlie abbracciate nel tentativo di respingere la morte; scrittori (magnifico il busto di Victor Hugo), poeti e nobildonne; allegorie; episodi e figure della Commedia dantesca tanto amata da Rodin. Tutto questo germoglia dalla pietra e non finisce. L’incompiuto non è in Rodin soltanto tecnica; è sostanza, è poetica, è continuità con la grandezza dell’ultimo Michelangelo, la cui Pietà Rondanini abita al Castello Sforzesco, a poca distanza dalla Sala della Cariatidi -anch’essa non finita- che ospita questa straordinaria antologia dell’artista che ha creato la scultura contemporanea, togliendo al marmo la sua levigatezza per restituirgliela nelle figure sbozzate e perfette, proprio perché in totale continuità con la potenza della materia dal cui enigma provengono.

 

Cantiere del ‘900 – 1963

1963 e dintorni.
Nuovi segni, nuove forme, nuove immagini

Gallerie d’Italia – Milano
Sino al 27 ottobre 2013

Milano ha un nuovo spazio dedicato all’arte contemporanea. Nel cuore della città una banca ha voluto dedicare all’arte le sale di un magnifico palazzo di sua proprietà. I nuovi signori si ricordano ogni tanto del mecenatismo praticato dai ricchi di altre epoche. L’ingresso in questo spazio è infatti naturalmente gratuito. Il Cantiere del Novecento si affianca al Museo del Novecento e ne completa la parabola cronologica sino agli sviluppi ultimi del secolo. Si possono dunque ammirare opere di autori italiani di ogni corrente, tra i quali Lucio Fontana e Alberto Burri. Fontana -del quale è presente anche una struttura in metallo che supera di slancio la distinzione tra pittura e scultura- preferiva definire le proprie opere non ‘quadri’ ma ‘concetti spaziali’ poiché, diceva, «per me la pittura sta tutta nell’idea». A questo proposito, in una delle sezioni campeggia una frase di Italo Calvino: «Lo spazio che occupano queste opere è soprattutto uno spazio mentale».

All’interno del Cantiere è stata allestita una mostra temporanea dedicata a 1963 e dintorni. Il 1963 fu un anno di svolta nelle pratiche artistiche e letterarie. Qui lo si ricorda attraverso delle opere realizzate in quell’anno o poco prima e poco dopo. Aperta da due quadri di Piero Manzoni e Francesco Lo Savio, la mostra presenta una grande varietà di materiali, forme, idee, intenzioni, ironie, drammaticità, ma tutte caratterizzate dal gioco geometrico e simbolico in cui consiste l’arte. Enrico Baj intitolò un suo dipinto del 1951 «Vedeteci quel che vi pare», in questo modo rispondendo a quanti ingenuamente vogliono sapere ‘che cosa significa’ un’opera; Giuseppe Uncini scrisse che «le forme non ‘stanno’ nello spazio ma ‘sono’ lo spazio». Immersi nel Cantiere, tra la creatività molteplice dell’invenzione artistica novecentesca, quest’affermazione risulta del tutto evidente.

 

Moralismo sentimentale

L’intrepido
di Gianni Amelio
Con: Antonio Albanese (Antonio Pane), Livia Rossi (Lucia), Gabriele Rendina (Ivo), Alfonso Santagata, Sandra Ceccarelli
Italia, 2013
Trailer del film

Antonio è un disoccupato che lavora. Fa, infatti, “il rimpiazzo”. Sostituisce qualcuno che per qualche ora o qualche giorno si allontana dal lavoro. È pagato poco e male -in pratica viene sfruttato dal finto amico che gli procura i rimpiazzi- ma lo fa per dare un senso alle proprie giornate. Di cognome si chiama Pane e, in effetti, è “buono come il pane”, sempre pronto a dare una mano a chi magari economicamente sta meglio di lui ma si trova con l’anima disperata. La moglie lo ha lasciato, il figlio suona il sassofono e qualche volta gli fa da padre, si innamora di una ragazza alla quale ha passato il compito durante un concorso. Ma andrà malissimo.
Un film intimista, senza nessuna epica. Un film monotono. Milano, dove tutto accade, appare come un luogo triste sino al lugubre, mentre invece è una città bellissima e vivace. Un pessimo film fatto di ondate sentimental-moralistiche davvero eccessive.

 

Dato / Significato

Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo
Palazzo Reale – Milano
A cura di Denis Curti
Sino all‘8 settembre 2013

180 fotografie scelte dall’autore tra un milione e mezzo di scatti. Immagini catalogate e divise in Gente di Milano, Morire di classe -sui manicomi che rinchiudevano i soggetti sociali più deboli-, Dentro le case, Venezia -amatissima dal fotografo-, Comunità romanì in Italia -la vita degli zingari nei loro campi-, I baciLavoro, Fede Religiosità Riti. Gli anni Settanta nella città lombarda sembrano sfilare davanti ai nostri occhi con tutta la loro ingenua radicalità; tra i ritratti sono assai espressivi quelli di Ugo Mulas e Gabriele Basilico, colleghi di Berengo Gardin; dappertutto, nei baci nelle automobili nei canti, si sente una profonda pietà per gli umani, per l’effimero triste che siamo.
In una conversazione con Giusy Randazzo (Gente di fotografia, numero 56, pp. 94-99) Berengo Gardin afferma che non si sente un artista ma un fotografo. Non per modestia ma, al contrario, perché convinto della specificità e forse della superiorità della fotografia sulle altre arti figurative. Tra i pittori, Berengo afferma di preferire gli astrattisti e in particolare Mondrian. In un’immagine della sezione della mostra dedicata al lavoro –Osaka del 1993- mi è parso di ritrovare la purezza formale di quell’artista. Di fronte alla convinzione di Berengo Gardin che «la macchina fotografica serve per fare foto di documentazione», per dare conto della “realtà”, gli si potrebbe obiettare che quando dei fotografi o non fotografi «guardano qualcosa non stanno riproducendo la realtà ma qualcosa che è sempre filtrato dalla loro mente» e che la cosiddetta realtà è a colori mentre la sua opera è rigorosamente in bianco e nero, affinché chi osserva non venga distratto da altro che non sia il contenuto dell’immagine. La verità è che il mondo è nell’occhio di chi guarda. La sensibilità di Berengo Gardin verso l’accadere è talmente alta che dal suo osservare il flusso -e fermarlo in un istante- non emerge alcuna “documentazione” ma splende, semmai, il significato delle relazioni umane. Non il dato ma proprio il significato.

 

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