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Dentro il Castello

Luca Beltrami. Storia, arte e architettura a Milano
Castello Sforzesco – Milano
Sino al 29 giugno 2014

mostrabeltrami3Il Castello Sforzesco è un’icona di Milano. In ottime condizioni, con grandi cortili dove si svolgono numerose manifestazioni, con sale e sotterranei che ospitano mostre temporanee e dove soprattutto hanno sede le raccolte d’arte e archeologia tra le più preziose della capitale lombarda. Eppure alla fine dell’Ottocento mancò poco che venisse raso al suolo. Era stato, infatti, luogo di prigionia e di sofferenza per quanti si opponevano al dominio straniero sulla città. Era stato anche luogo di residenza per gli eserciti nemici. Dopo l’Unità la convergenza di questa pessima fama e delle mire speculative spingeva molti a volerne la distruzione. Per fortuna ci furono artisti, intellettuali e politici (sì, allora persino politici) che seppero guardare più lontano e che ne chiesero invece la salvezza e il restauro.
Il principale protagonista della salvaguardia e ricostruzione del Castello, e di molti altri luoghi della Milano borghese di fine Ottocento e inizi Novecento, fu Luca Beltrami (1854-1933). Architetto, incisore, storico dell’arte, Beltrami ha lasciato sulla sua città un segno che tuttora è quello dominante. Piazza della Scala, il Palazzo della Permanente, la Sinagoga, la sede del Corriere della Sera, costituiscono le sue principali realizzazioni. Aveva anche pensato a una diversa facciata del Duomo ma questo progetto non venne realizzato.
E poi il Castello, appunto. Qui Beltrami esprime al meglio il suo profondo rispetto per la stratificazione storica, la sua puntuale preparazione documentaria, l’equilibrio tra quanto fu da cancellare, ciò che andava preservato/trasformato e le parti nuove. Di aspetto quattrocentesco, la sagoma e il corpo del Castello familiarissimo ai milanesi sono in realtà ottocenteschi e si devono a questo architetto.
Castello_Sforzesco_MilanoÈ dunque un giusto omaggio quello che il Castello ora gli dedica. Si possono così consultare i progetti, vedere le immagini che testimoniano del prima e del poi dell’edificio, seguire l’avanzare dei lavori, godere del risultato non semplicemente guardando e leggendo ma standoci proprio dentro. L’ultima parte della mostra ha sede nella Sala del Tesoro prospiciente la Rocchetta -un austero e bellissimo cortile- e contiene le opere rinascimentali salvate e valorizzate da Beltrami.
Questa città che non si ferma mai, che trasforma continuamente se stessa e il proprio paesaggio urbano, ha trovato in Beltrami un architetto non soltanto competente e corretto ma anche davvero innamorato di Milano.

 

Abitare

Marco Petrus. Atlas
Palazzo della Triennale – Milano
Sino al 2 giugno 2014

Quando è pensata, quando è geniale, l’architettura contemporanea rappresenta un mondo di strutture e di funzioni nel quale immergersi per sentire la potenza del costruire, se esso è frutto dell’abitare. Come nel Bauhaus, per esempio, con le sue linee essenziali, semplicissime, pervase di una razionalità mai fine a se stessa. L’architettura è la meraviglia dell’abitare umano consapevole di sé.
Nelle pitture esatte e scandite di Marco Petrus essa si fa ritmo, onda, musica. I colori sono accesi e intensi, un po’ come nella Pop Art. I cieli che si affacciano sulle e dentro le costruzioni sono turchesi e arancioni. Gli edifici, oggetto esclusivo e non antropico di queste opere, riproducono a volte architetture esistenti, altre invece le inventano. Berlino, Napoli, Helsinki e soprattutto Milano. Della città lombarda si riconoscono la Torre Velasca, il Garage Traversi-Rosso, il Grattacielo Pirelli, la torre del Parco Sempione, la Camera del Lavoro. Prospettive diagonali, proiezioni ortogonali, ombre e luci scintillanti, disegnano un mondo che prima che stare nello spazio abita nel corpomente umano. Come sempre.

 

Dichiarazione di voto

Il 25 aprile del 1994 pioveva a Milano. Ma piazza Duomo era piena. Il partito di Berlusconi aveva vinto le elezioni e il manifesto organizzò quella grande giornata per dire che in ogni caso non eravamo rassegnati. Non amo le folle ed è da allora -vent’anni fa- che non partecipavo a una manifestazione politica di massa.
Anche il 22 maggio del 2014 è piovuto su Milano. Ma in piazza Duomo, come allora, tante persone di tutti i generi, molte sotto i trent’anni. Signori in giacca e cravatta -me compreso-, ragazzi con le magliette del M5S, coppie di anziani, signore con i loro cani, persone avvolte nelle bandiere NoTav.
Tra i primi a intervenire Aldo Giannuli, docente di scienza politica alla Statale di Milano, anarchico. Parla del sistema politico bloccato, della corruzione, delle alchimie elettorali con le quali i partiti da decenni al potere tentano di perpetuarsi.
Arriva Beppe Grillo. Mi sembra un poco stanco. Sempre plebeo. Tra le tante altre cose, dice che il comunismo è una buona idea realizzata male. Il capitalismo, invece, è stato realizzato benissimo, poiché il capitalismo è questo. «Il capitalismo non è democratico», dice. Si scaglia contro le multinazionali, contro la televisione «che è senza memoria», «contro la schifezza di questa informazione». Ricorda che i rimborsi pubblici spettanti al M5S sono stati rifiutati e messi a disposizione delle piccole imprese. In Lombardia più di 503.000 €. Parla anche del «terrore del potere», il terrore che il potere ha nel trovarsi di fronte persone non ricattabili, non complici. La parola da lui più pronunciata e ripetuta è stata «lavoro». I nomi più fischiati sono quelli di Berlusconi e di Napolitano.
Poi interviene Dario Fo, applauditissimo. Contro le ‘larghe intese’ in Italia e in Europa, contro la menzogna, contro il loro avere «un teschio invece che una faccia», grida «giù la maschera, ipocriti!» Aggiunge, ricordando un detto ripetuto anche dal Sessantotto: «Bisogna possedere la conoscenza. Il contadino conosce trecento parole, il padrone mille. Per questo lui è il padrone». Fa una breve lezione sul ‘populismo’, sulla sua etimologia e sul suo significato: «politica al servizio del popolo», politica -ad esempio- «contro la violenza dei padroni», la violenza di Marchionne. Infine recita un testo di Angelo Beolco, detto Ruzante (1496-1542): «Giustizia buona per la gente tutta […] La collettività che si fa governo. […] Nel cervello i chiodi meravigliosi della ragione […] Quando sarò disteso, vorrei che si dicesse di me: ‘Peccato che sia morto, era così vivo da vivo’».
Alle elezioni europee stavolta voterò. E voterò per il Movimento 5 Stelle. La personalizzazione della politica è uno dei più devastanti effetti della sottocultura televisiva e berlusconiana. A me non interessano Grillo o Renzi o altri nomi ma ho seguìto con attenzione in questo anno il lavoro dei gruppi parlamentari del Movimento. E a un anno di distanza sono pienamente soddisfatto dell’azione del partito per il quale ho votato lo scorso anno. Quel poco di buono che questo Parlamento ha approvato e il molto di pessimo che ha evitato sono in grandissima parte frutto della presenza dei parlamentari 5 Stelle. Coloro che nel 2013 alle politiche votarono per il Partito Democratico sono altrettanto contenti?
Voterò per il Movimento 5 Stelle per molte ragioni, soprattutto per il programma politico che intende proporre e attuare in Europa, che è questo: abolizione del fiscal compact (vale a dire -al di là del latinorum britannico dei Don Abbondio del XXI secolo- abolizione del capestro economico messo al collo degli italiani), adozione degli eurobond, esclusione del limite del 3% annuo degli investimenti in innovazione e nuove attività produttive, alleanza tra i paesi mediterranei per i comuni interessi, finanziamenti per le attività agricole finalizzate ai consumi interni, abolizione del pareggio di bilancio (inserito in modo stolto e criminale dal PD e da Forza Italia nella Costituzione, cosa che altri Stati europei si sono guardati dal fare), referendum per la permanenza o meno nell’euro.
Ma soprattutto voterò 5 Stelle perché questo Movimento dice oggi quello che una volta diceva la sinistra, è oggi quello che una volta era la sinistra, perché è l’unica speranza istituzionale per l’Italia e per l’Europa, per le classi sfruttate, per gli imprenditori disperati, per i giovani senza futuro. Per noi.

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Altre ragioni sono efficacemente indicate da un ironico Appello agli elettori del collega e amico Prof. Elio Rindone.

Scrivo qui sotto i nomi che indicherò sulla scheda elettorale. Li ho selezionati scorrendo le biografie, le intenzioni, i video dei candidati della circoscrizione Italia Nord ovest. Si tratta di Fabrizio Bertellino (prov. di Torino), Marika Cassimatis (Genova), Marco Sayn (Val Susa).

 

Viva

Regina José Galindo
ESTOY VIVA

PAC Padiglione d’Arte Contemporanea – Milano
A cura di Diego Sileo ed Eugenio Viola
Sino all’8 giugno 2014

Regina Joseé GalindoDove sta il Guatemala? Che cosa è accaduto in Guatemala? È accaduto che per decenni l’esercito di questo Paese è stato addestrato, sostenuto e finanziato dagli Stati Uniti d’America per farne un esempio/esperimento di repressione. La popolazione guatemalteca, soprattutto quella di origine maya, è stata ferocemente annichilita, un genocidio tra i più brutali perpetrati dalle forze militari latino-statunitensi. Nel profluvio di giornate della memoria rivolte a massacri più o meno lontani, neppure un pomeriggio viene dedicato all’orrore accaduto in Guatemala.
Regina José Galindo proviene da questo Paese e da questa storia. E ha deciso di fare del proprio corpo il luogo della memoria. Il risultato è terribile. Le cinque sezioni nelle quali è divisa la mostra -Politica  Donna Violenza Organico Morte- documentano come l’artista si faccia incatenare, affogare, colpire, seppellire, costringere in camicie di forza, insanguinare.
Immagini di eserciti eleganti -in parata e ben rigidi nella loro paranoia- si alternano a lei che lascia tracce di sangue sulle strade, negli spazi che hanno visto la ferocia. Il suo diventa un corpo sacrificale e politico, intriso di un masochismo dell’abbandono che mi ha ricordato Le onde del destino (1996) di Lars von Trier. Una violenza così estrema e totale va oltre la catarsi e porta a un coinvolgimento che respinge. Alla fine il corpo di Regina scompare, dissolto come elemento organico, natura. Diventa pietra. E la morte si fa evento pubblico, storico, psichico, soggettivo, globale. In una delle numerose installazioni funeree compaiono una serie di lapidi i cui nomi sono due X e la data è Guatemala 2007.

regina(Dedico questa nota, che non può in ogni caso restituire la tragedia della quale la mostra è intrisa, ai cittadini della «più grande potenza democratica del mondo»).

 

 

 

Expo

L’amico e collega Dario Generali in risposta a Liberi ha scritto:

Caro Alberto, 
premesso che non ho nulla in contrario, in linea di principio, alla TAV, che è un servizio che uso continuamente e che mi pare abbia contribuito a collegare l’Italia lungo il versante tirrenico della penisola, trovo che la mamma di Mattia abbia purtroppo assolutamente ragione nel giudizio che dà della classe politica italiana e della sua corruzione.
 Sono davvero maschere del potere oscene, prive di qualsiasi reale legittimità, perché la loro pratica di governo e le loro intenzioni sono in evidente conflitto con lo spirito della nostra Costituzione e con i più evidenti principi di onestà politica e intellettuale.
 Pure trovo che l’Italia sia da tempo avviata verso una condizione antidemocratica e autoritaria, di cui il progetto dell’Italicum ne è un’evidente riprova, che ci richiama la Legge Acerbo e la scalata al potere del fascismo. In questo clima l’insistito ricorso alla repressione poliziesca rappresenta uno strumento di contenimento e di eliminazione del dissenso, secondo logiche tipicamente autoritarie, che confliggono con quella che dovrebbe essere una regolata e democratica vita civile e politica.

Ringrazio il Prof. Generali per questo denso intervento, con il quale naturalmente concordo, e osservo che il Treno ad Alta Velocità contestato dal Movimento NoTav non è quello della linea Milano-Napoli, certamente utile anche se ormai finanziato a danno e detrimento delle linee ‘normali’, ma quello che dovrebbe collegare Torino a Lione, completamente inutile, economicamente disastroso, tecnicamente irrealizzabile, ambientalmente devastante. 
Voluto però todo modo dalle forze legate alla delinquenza organizzata, alle banche, a Comunione e Liberazione. Questa è la situazione. E sul tema c’è un’ampia documentazione, che la stampa mainstream -megafono degli interessi finanziari- ovviamente ignora quasi del tutto. Anche gli arresti di questi giorni nell’ambito dell’Expo milanese confermano in pieno a che cosa servano ormai le cosiddette ‘grandi opere’.
Un esempio: l’Expo stava devastando i due parchi vicino ai quali abito -di Trenno e delle Cave- con dei fantomatici ‘canali leonardeschi’ di cemento che avrebbero inflitto un danno irreversibile all’equilibrio e alla struttura dei due parchi. Per fortuna la mobilitazione nostra (dei cittadini del quartiere) sostenuta dal Movimento 5 Stelle (unica forza politica a farlo) ha impedito che il progetto fosse portato a termine. 
Questo è per me la politica e spero vivamente che l’Expo milanese fallisca, lo spero per il bene della mia e nostra città. Si tratta infatti soltanto di un’enorme occasione di furto del pubblico danaro da parte della ‘ndrangheta e delle sue interfacce politiche (Forza Italia e Partito Democratico). Pisapia è probabilmente un ingenuo in mano a costoro ma in politica l’ingenuità è un delitto. Ricordo quando Milano sconfisse (nel 2008) la concorrenza di Smirne per l’organizzazione dell’Expo 2015. Ricordo l’esultanza dell’allora sindaco Letizia Brichetto Moratti e dell’allora presidente del Consiglio Romano Prodi. Ricordo il loro abbraccio. Ricordo che fu per me un momento di grande amarezza. Perché sapevo che cosa l’Expo sarebbe diventato. I fatti mi stanno dando ragione.

 

Bianco / Ontologia

Piero Manzoni 1933-1963
Palazzo Reale – Milano
A cura di Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo
Sino al 2 giugno 2014

Piero Manzoni cominciò con cupe opere «nucleari», dense e scurissime, dalla quali sembra gorgogliare una profonda angoscia. Poi, intorno al 1957, l’epifania del bianco, i magnifici Achrome. Opere dinamiche e luminose, realizzate con una grande varietà di supporti, tutti fissati con il caolino. Achrome di carta, pelli, paglia, cloruro di cobalto, fibra artificiale, peluche, panini (le milanesi michette), polistirolo, ovatta, cotone idrofilo, panno, sassolini. Insieme a queste opere le Linee tendenti all’infinito dello spazio e del tempo ma intanto inscatolate in cilindri e numerate (in esse, scrisse Vincenzo Agnetti, «finalmente il tempo si è fatto visibile»).
Ancora: Uova con sopra le impronte digitali di Manzoni, uova che dai partecipanti alle sue serate venivano mangiate (eucaristia) o, da qualcuno, conservate (reliquia). La Base magica, saliti sulla quale si diventava automaticamente delle opere d’arte con tanto di certificato da parte dell’autore; ma lo si rimaneva solo fintanto che si stava là sopra. Cominciò a firmare i corpi di alcune modelle rendendole Sculture viventi e a soffiare in dei palloncini, creando il Fiato d’artista.
Nel 1961 l’editore Jan Petersen gli propose di pubblicare una monografia a lui dedicata. Manzoni la intitolò Vita e opere e la fece consistere in una serie di fogli di plastica traslucida. Vuoti.
Vuoti? No, riempiti della pienezza semantica della quale l’opera di Manzoni è forse la più radicale testimonianza nell’ambito delle arti figurative. Manzoni_Sculture_viventiManzoni infatti scrisse che «un quadro vale solo in quanto è essere totale», che le immagini devono risultare «quanto più possibile assolute» e cioè non debbono valere per ciò che esprimono o che spiegano «ma solo in quanto sono: essere». Il gioco serissimo dei significanti va molto oltre Duchamp, va oltre tutto. L’opera è un puro significare senza alcun significato. Soltanto in questo modo si può raggiungere l’obiettivo al quale Manzoni si dedicò con lucidità: «La trasformazione dev’essere integrale» e radicata sul terreno universale dell’essere, la temporalità. «Consumato il gesto, l’opera diventa dunque documento dell’avvenimento di un fatto artistico». Sul significante assoluto -il tempo e il suo procedere- la mostra infatti si chiude: «Non c’è nulla da dire: c’è solo da essere, c’è solo da vivere».

 

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