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Milano / Dinamismo

Il genio di Milano
Crocevia delle arti dalla Fabbrica del Duomo al Novecento

Gallerie d’Italia – Milano
A cura di Marco Carminati, Fernando Mazzocca, Alessandro Morandotti, Paola Zatti
Sino al 16 marzo 2025

Nel suo celebre trattato in descrizione e lode di Milano e delle sue ‘meraviglie’, Bonvesin de la Riva (1250-1313) si sofferma anche sulla forma urbis: «Civitas ipsa orbicularis est ad circulli modum, cuius mìrabillis rotonditas perfectìonis eius est signum. La città ha forma circolare: la sua rotondità è simbolo della perfezione» (De magnalibus urbis Mediolani, «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano», Roma 1898, Cap. II, § IV, p. 68). Dopo più di due secoli da queste parole, uno degli ospiti più famosi della città, uno di quelli che vi lavorò e la amò molto, Leonardo da Vinci, disegnò nel 1510 circa una «Misurazione e veduta a volo d’uccello di Milano» nella quale la città è ancora oggi del tutto riconoscibile.

Leonardo da Vinci. Misurazione e veduta a volo d’uccello di Milano (1510 ca.)

Da est a ovest dell’ellisse (quindi da sinistra a destra) Leonardo individua, tra le altre strutture, Porta Orientale, il Naviglio della Martesana, il Castello Sforzesco, Porta Ticinese, la Pusterla di sant’Ambrogio, Santa Maria delle Grazie. Di questi edifici e spazi disegna in basso alcuni schizzi. Tutto questo esiste ancora  oggi e delimita il confine delle mura di Milano, quelle attraversate anche da Renzo Tramaglino (che proveniva da Porta Rensa / Porta Orientale) nel 1628.

Quando Leonardo soggiornò a Milano, il Duomo era in fase di costruzione (in parte lo è ancora). I lavori erano cominciati nel 1386. E da tale data inizia anche il percorso di questa mostra dentro l’instancabile cerchio della città lombarda. Milano infatti muta di continuo. Vi abito da più di quarant’anni e la città è molto diversa rispetto a quella che conobbi ancora prima, da bambino, negli anni Sessanta del Novecento. E tuttavia Milano rimane del tutto riconoscibile a se stessa e ai suoi abitanti. Si tratta di una manifestazione urbanistica della dinamica ontologica di identità e differenza che sostanzia ogni ente e ogni processo, anche le città europee.
Da questi inizi, documentati da alcune vetrate del Duomo, dalle pietre/statue conservate nel Museo della Fabbrica, il percorso conduce a metà Novecento, attraversando la città rinascimentale, della quale (non solo di Milano) Giorgio Simoncini scrive che «in rapporto alla identificazione città-casa, si assiste alla risoluzione della urbanistica all’interno dell’architettura, che sanziona la perdita di autonomia della urbanistica in quanto disciplina» (Città e società nel Rinascimento, Einaudi 1974, vol. I,  p. 196).
A questa perdita di autonomia dell’urbanistica è parallela la perdita delle libertà comunali caratteristiche del Medioevo e la centralizzazione dell’autorità in mano al principe, che nel caso di Milano sono gli Sforza. Leonardo promise a Ludovico il Moro di dare a Milano la duplice identità di una città militare e di una città ideale. In una lettera al Duca si presentò prima di tutto come ingegnere militare (quale in effetti era) evidenziando la sua capacità di progettare e costruire armi di qualunque genere, scrivendo che «occurrendo di bisogno farò bombarde, mortari et  passavolant di bellissime e utile forme, fori del comune uso» (da un pannello presente in mostra).
La Milano del Seicento è ben sintetizzata nella figura del cardinale Federico Borromeo (figura anch’essa manzoniana) della quale si può ammirare un calmo e potente ritratto di un anonimo pittore lombardo del XVII secolo.
Degli stessi anni (1600-1610 ca.) è una intensa e piacevole Natura morta con uva bianca e nera di Carlo Antonio Procaccini.
Dal Settecento al Neoclassicismo Milano diventa una delle capitali dell’arte, della cultura, dell’illuminismo europeo. Bonaparte aveva immaginato di trasformarne il centro spostandolo verso la Piazza d’Armi, vale a dire il Castello Sforzesco, intorno al quale costruire il Foro ancora oggi dedicato al suo nome. Il Prospetto generale disegnato da Giovanni Antonio Antolini nel 1801 è una testimonianza efficace della grandiosità e bellezza di questo irrealizzato progetto.

Tra Otto e Novecento la città diventa industriale e si pone ancora una volta al centro degli scambi, dei trasporti, dell’arte. Ben lo documenta il dipinto dedicato da Angelo Morbelli alla Stazione Centrale di Milano nel 1889 (lo si vede nell’immagine di apertura)
Dipingere o scolpire e diventare abitanti di Milano furono la stessa cosa. Tra i molti artisti del Novecento  che divennero milanesi (nomi e correnti si trovano nella pagina di presentazione del sito della mostra: Previati, Segantini, Fontana e molti altri), uno dei più profondi e Mario Sironi, che descrisse la città-lavoro, la città-fabbrica, la città-periferia ma in una prospettiva mai sociologica, piuttosto mitologica. Lo si vede bene nella Composizione (I costruttori) del 1929, un dipinto che è del Novecento ma potrebbe essere ed è arcaico.

Milano è un incessante dinamismo che rimane, un divenire che sta. E in questo è la città d’Italia dove si vive meglio. Tra i molti rischi che la sovrastano, uno può ben essere collegato alla mostra. La ricchezza, la varietà, la dimensione simbolica e insieme storica delle opere esposte hanno bisogno, per essere comprese, di una identità europea, di essere stati educati alle idee, alle forme, alla pluralità, al conflitto, al  πόλεμος/differenza che l’Europa è.
E invece da almeno 15-20 anni la città si riempie di persone che non potrebbero mai capire una mostra come questa. Chi utilizza i mezzi pubblici, e non gli amministratori e i privilegiati che si muovono sempre e solo con le loro auto private o istituzionali, sente le loro parlate, osserva il loro atteggiarsi, capisce che questi immigrati non saranno mai milanesi. Sono degli stranieri a Milano e all’Europa, i quali nulla possono condividere della storia della città, del mos del nostro continente. Anche io sono un immigrato ma lo sono avendo sin dall’inizio in comune con questo luogo la lingua e l’identità europea. Nel caso dei migranti dall’Africa e dall’Asia la differenza rende impossibile l’identità. La dinamica si rompe e temo che le sue schegge colpiranno gli europei e deturperanno lo spazio della magna urbs.

Illuminismo e disincanto

Dario Generali. Per la conoscenza, per la πόλις
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
26 gennaio 2025
pagine 1-9

Un esercizio attento e critico della razionalità per comprendere il mondo e per agire in esso tramite tale comprensione. Anche questo è il fondamento dell’opera e dell’esistenza di Dario Generali, uno dei maggiori storici della scienza contemporanei.
Allievo di Mario Dal Pra; cresciuto nel fervore della Statale di Milano negli anni nei quali era ancora ben presente e viva la plurale scuola di pensiero scaturita dal lavoro di Antonio Banfi, Enzo Paci, Ludovico Geymonat; massimo esperto al mondo dell’opera di Antonio Vallisneri e in generale della scienza settecentesca come essa emerge dagli immensi epistolari dei suoi protagonisti, Generali non si è limitato a essere uno studioso, un erudito, uno storico e filosofo ma ha posto il suo lavoro al servizio di un costante impegno civile, là dove ha svolto la propria opera di cittadino e di docente.
Chi ha la fortuna di conoscere Generali non si stupisce certo di quanto ho cercato di raccontare e analizzare nel testo che qui segnalo. A vederla, questa persona potrebbe benissimo stare nel pieno degli eventi francesi dell’Ottantanove. Non però tra i gruppi più illusi sulla virtù degli umani ma tra quelli che univano e uniscono al disincanto sui tanti limiti della nostra specie una determinazione totale nel perseguire sempre il vantaggio dell’intero corpo sociale e mai soltanto quello di alcuni privilegiati.

Milano e oltre

Miracoli a Milano
Carlo Orsi fotografo

Milano  – Palazzo Morando
A cura di Giangiacomo Schiavi e Giorgio Terruzzi
Sino al 2 febbraio 2025

Carlo Orsi. L’ombra del Grattacielo Pirelli sulla Stazione Centrale di Milano, 1961

Carlo Orsi (1941-2021) ha fotografato Milano e il mondo, facendo della città lombarda una sineddoche della vita ovunque. E ovunque incontrando l’inesausto dinamismo, la curiosità profonda, la malinconia di Milano. Era nato nel cuore della città, a Brera. E nei suoi bar aveva incontrato gli artisti e gli amici che lo hanno sempre accompagnato. A partire da Lucio Fontana, che divenne il suo primo finanziatore, e Ugo Mulas, del quale fu assistente.
Iniziò come fotoreporter per quotidiani e rotocalchi, fotografò poi la moda, inventò immagini pubblicitarie, creò ritratti.
«Posso fotografare qualsiasi cosa» afferma in una intervista video. E in effetti nelle 140 immagini, di Palazzo Morando scorrono le stazioni ferroviarie di Milano, le code ai negozi, l’ippodromo, i grattacieli, le Colonne di San Lorenzo, i locali di Brera, la metropolitana; e poi attori, pittori, scultori, sarti (detti stilisti), cantanti, manifesti pubblicitari, nudi. E poi ancora i deserti, da lui molto amati, i popoli lontani, i meridionali all’assalto dei treni alla Stazione Centrale di Milano, il muro di Berlino mentre veniva demolito, le tristezze e  le svolte della storia.

Carlo Orsi, Salvatore Quasimodo al bar Jamaica, 1965

Tutto in bianco e nero, poiché – spiega – il bianco e nero si concentra sull’immagine, non sui dettagli, non distrae. Perché, qualunque cosa ritragga, «al centro sta sempre la fotografia». Una fotografia densa e materica, non digitale. Di quest’ultima dice: «Non mi importa nulla. Io morirò con la pellicola».

La poetica di Orsi è epica, lo spazio è teatrale, il taglio è spesso fuori contesto. E anche per questo coinvolgente. L’istante privilegiato è quello per le strade, è la non posa dei ritratti (anche se non sempre), è la miscela di tecnica e antropologia, come in particolare si vede negli scatti realizzati nel 2004 in Tibet.
L’esito è spesso al limite del reale, un’arte quasi surrealista.
La forza delle immagini è evidente, qualche volta lo è anche l’inevitabile fru fru di una Milano fatta di sarti idolatrati e di pubblicità furba, dei cascami insomma del capitale.

Carlo Orsi, Metropolitana, 1965

Eco della materia

SalvArti
Dalle confische alle collezioni pubbliche

Milano  – Palazzo Reale
Sino al 26 gennaio 2025

Più di ottanta opere sequestrate a esponenti della mafia e di altre organizzazioni criminali. Acquisite definitivamente alla proprietà pubblica, saranno destinate a vari musei, soprattutto del meridione d’Italia. Intanto vengono esposte in diverse sedi, tra le quali Milano.
Le opere in mostra riguardano l’intero Novecento e gli inizi del XXI secolo. Si tratta soprattutto di dipinti e sculture di artisti italiani ma non solo.
Com’è in questi casi naturale, il livello e l’interesse è molto diseguale. Sono presenti anche correnti e artisti che sono stati molto ‘alla moda’ negli anni Ottanta del secolo scorso. In particolare opere della Transavanguardia, il cui cui critico e guru fu Achille Bonito Oliva.
Farò quindi una selezione delle opere che mi hanno più coinvolto, per ragioni estetiche del tutto personali.

Struttura B1 di Luigi Veronesi (1984) sintetizza la magia della pittura geometrica che da Mondrian in poi scandisce lo spazio e i colori ricreando costantemente il reale.

Il Disco con sfera di Arnaldo Pomodoro (2003) riduce alle dimensioni di un oggetto da tavolo le grandi costruzioni pubbliche con le quali questo scultore ha saputo riempire i luoghi di un’armonia del tutto contemporanea ma che ricorda l’antico e che sempre affonda in esso.

Il Paesaggio con alberi gialli di Ottone Rosai scandisce la tela in quattro elementi che sono nello stesso tempo geometrici e vissuti: il bianco e il blu di una strada, il giallo del muro e della dimora, il verde dorato verticale degli alberi, la semisfera della collina.


L’ennesimo Profilo antimilitarista di Enrico Baj (1964) disvela il grottesco che sta dietro e dentro le decorazioni che gli eserciti danno a se stessi, anche per nascondere il loro essere alfieri e pedine della morte.

Per l’infinito di Mirko Pagliacci (1998) saluta la gloria dell’angelo della storia. 

Un angelo è anche il Cupido di Sandro Chia (1996) dell’immagine di apertura, che nel rosso del cuore, nel giallo delle ali, nel verde ramato del corpo esprime la profondità, la malinconia, la forza del sentimento amoroso.
È una piccola scelta tra le tante possibili. Ovunque accadano, siano visibili e riempiano lo spazio, le forme artistiche regalano una luce che è eco della materia, consolazione, pienezza.

Schiave e carnefici

In Italia, che io sappia, è un silenzio quasi assoluto, in particolare da parte delle grandi reti televisive (un silenzio casuale? Improbabile). Altrove, e non soltanto ovviamente in Gran Bretagna, se ne parla da tempo, soprattutto dopo che alcuni dei responsabili sono stati portati a giudizio. Qui segnalo un resoconto sintetico e molto chiaro uscito sul quotidiano francese Le Figaro lo scorso 3 gennaio 2025. Ad averlo scritto è Mathieu Bock-Côté e si intitola «Dietro gli stupri delle bande pakistane l’imbarazzato silenzio delle élites». Invito a leggerlo  per intero (se necessario a tradurlo in automatico; qui sotto c’è il pdf).
Ne riporto alcuni brani tradotti da me.

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Il caso degli stupri di ragazze bianche della classe operaia britannica per mano delle bande pakistane ritorna in una misura inattesa e domina di nuovo la politica e la stampa inglese.

La vicenda risale al 2017. Allora si parlò degli stupri di Telford. In Inghilterra hanno scoperto che per molti anni 1400 ragazze britanniche bianche della classe operaia erano state ridotte in una condizione di schiavitù sessuale da parte di bande pakistane.
[…]
Le bande avrebbero in effetti agito nella maggior parte delle città inglesi. Si parla di decine di migliaia di ragazze coinvolte, forse anche più.
[…]
Dopo le aggressioni sessuali a Colonia, nel 2016, ogni società occidentale avrebbe potuto e dovuto esserne consapevole, dato che ciascuna lo aveva in modi diversi vissuto. Ma nonostante questo le autorità inglesi hanno distolto lo sguardo, quando non hanno persino cercato di insabbiare i fatti: esse temevano, se il fenomeno si fosse venuto a sapere, di suscitare odio razziale.
[…]
Le società occidentali intendono presentarsi come particolarmente sensibili alle violenze sessuali, ma esse lo sono veramente soltanto quando di tratta di mettere sotto accusa il «patriarcato». Le violenze frutto di differenza [etnica] sono invece nascoste, o persino apertamente negate, poiché esse svelano che la sicurezza e la libertà delle donne costituiscono il prezzo da pagare per l’avventura multiculturale. L’estremismo ideologico fa sì che il regime globalista si scagli contro quanti lanciano l’allarme e, ancor di più, contro chi subisce personalmente la violenza, non accettando di fare da vittima sacrificale.

[pdf: Mathieu Bock-Côté : «Derrière les viols des gangs pakistanais, le silence gêné des élites»]
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In molte città europee e italiane, compresa Milano nella sua piazza del Duomo, la notte di Capodanno del 2025 si sono verificate violenze e aggressioni contro le ragazze bianche da parte di persone nordafricane. Quanti lo sanno? Televisione e stampa ne hanno parlato?
Per alcune culture non europee (oltre che per non pochi europei) le ragazze libere, sole, disinibite sono soltanto delle «puttane» e come tali vengono trattate dai maschi di quelle culture. Qui non scatta l’accusa di «patriarcato»? E questo solo perché i suoi responsabili non sono europei o di origine europea?
Valutare un comportamento e un reato su base etnica, valutare su base etnica un gravissimo crimine contro le persone, ecco questa è una chiara espressione di razzismo, in questo caso razzismo contro le donne bianche. Un razzismo ancora più odioso in quanto esercitato su ragazze che, in Gran Bretagna, vivono in condizioni sociali ed economiche di grande difficoltà; proletarie e sottoproletarie con famiglie spesso inesistenti o deboli.
Un caso dunque di razzismo etnico e sociale. Ma è inevitabile che l’estremismo inclusivista, globalista e politicamente corretto pervenga a tale spregevole esito. Un esito violento e suicida.

Shakespeare / Pictures

Teatro dei Vitellini – Gian Paolo Barbieri
A cura di Maurizio Beucci, Emmanuele C. Randazzo e Giulia Manca
Leica Galerie – Milano (Via Giuseppe Mengoni, 4)
Sino al 24 agosto 2024

La moda va bene, se funziona si diventa ricchi e famosi. Vale anche per i fotografi specializzati nelle immagini sulla moda. Ma se non si è soltanto dei bravi mestieranti dell’apparire si cerca sempre di rompere i confini delle gonne, del trucco, delle scarpe e dei lustrini.

Gian Paolo Barbieri – Shakespeare

Gian Paolo Barbieri non è, appunto, un semplice raffiguratore di maschi sistemati come femmine  e di anoressiche abbigliate come regine. Non è, insomma, soltanto quel mondo che René Girard ha descritto con esattezza e ironia: «Se i nostri avi vedessero i cadaveri gesticolanti delle riviste di moda contemporanea, li interpreterebbero probabilmente come un memento mori, un promemoria di morte, equivalente forse alle danze macabre dipinte sui muri delle chiese del tardo Medioevo; se dicessimo loro che, per noi, questi scheletri disarticolati significano piacere, felicità, lusso, successo, è probabile che fuggirebbero in preda al panico, pensando che siamo posseduti da un demone particolarmente ripugnante» (Il risentimento. Lo scacco del desiderio nell’uomo contemporaneo, Raffaello Cortina Editore 1999, p. 188).

Gian Paolo Barbieri – Macbeth

Barbieri inventa quindi un portfolio dedicato alle opere e ai personaggi di William Shakespeare. Una quindicina di immagini in bianco e nero e una a colori raffigurano la Bisbetica domata, Amleto e sua madre Gertrude, Falstaff, Calibano, Romeo e Giulietta, Macbeth e Lady Macbeth, Prospero, le Streghe di Macbeth.

Gian Paolo Barbieri – Romeo e Giulietta

Mi soffermo un poco sul personaggio raffigurato da Barbieri nel modo forse più originale: Coriolano. Shakespeare ha avuto infatti l’intuizione di Roma, l’intuizione di una forza storica capace non solo di conquistare popoli, sottomettere terre, pacificare il Mediterraneo ma in grado soprattutto di vincere se stessa, le proprie discordie, le debolezze, di essere più forte dei propri eroi.
Coriolanus è l’eroe della Repubblica: intransigente con se stesso e con i suoi, legato a Roma e più legato alla potenza bellica che Roma rappresenta, incapace di adattarsi alla nuova presenza del popolo nel cuore del potere mediante i tribuni della plebe. Eroe vittorioso e scacciato a causa della sua ambizione e durezza, eroe dal coraggio senza posa e dallo sconfinato orgoglio aristocratico, che muore per la città di cui pure disprezza gli abitanti. Dai drammi shakespeariani Roma emerge in un’altra delle sue dimensioni di fondo: una civiltà del suicidio che antepone l’onore alla vita, la vittoria su se stessi al desiderio di esserci ancora, consapevole che il nulla infinito è il rifugio ultimo contro ogni male.
Al di là della sapienza tecnica, da ritrattista navigato, colpisce in Barbieri la profonda fedeltà al testo di Shakespeare, a come il poeta ha presentato, descritto e vissuto questi suoi personaggi. Una fedeltà coniugata però a una coinvolgente personalizzazione. Questa piccola mostra nel cuore di Milano, a due passi dal Cordusio e dal Duomo, costituisce una riuscita unione di Glamour/Moda e di Classicità/Parola. E  dunque è da gustare.

Gian Paolo Barbieri – Coriolano

Periferie

Framarin – Barbera
Cascina Linterno – Milano
22 giugno 2024

La qualità di una città si misura anche da come appaiono e vivono i quartieri lontani dal centro, al di là dunque dei palazzi più o meno in buon ordine e lustrinati delle zone maggiormente frequentate dai turisti e dagli stessi residenti. La Cascina Linterno si trova certamente alla periferia di Milano, per secoli è stata parte di una zona agricola, fu anche abitata da Francesco Petrarca  durante i suoi soggiorni in Lombardia e forse anche a questo si deve il fatto che non sia stata travolta e distrutta dal delirio edificatorio-industriale che nel Novecento ha trasformato Milano da città d’acque a città di fabbriche. Fabbriche che adesso sono sparite nel processo di deindustrializzazione e di impoverimento dell’intero Paese, nella fasulla smaterializzazione delle società occidentali.
La qualità di vita a Milano, che nonostante tutto sopravvive, è confermata anche da come questo spazio viene preservato, vissuto e reso luogo di cultura viva. Assai bello e dinamico è stato infatti un evento musicale che lo scorso 22 giugno si è svolto nella piccola cappella della Cascina (evento previsto nel cortile – assai più ampio – ma che a causa del tempo che minacciava pioggia è stato spostato all’interno). Due giovani musicisti e compositori sono riusciti a portare la musica del Novecento e del presente in un luogo antico e tra un pubblico non particolarmente specializzato. Selene Framarin (clarinetto) e Lorenzo Barbera (percussioni) hanno eseguito con abilità e passione brani di Chick Corea, Edward Knigth, Gene Koshinski, Nick Heilborn, Steve Reich, di Arcangelo Corelli e dello stesso Barbera.
Il brano di Reich Clapping music viene eseguito senza strumenti ma con quello strumento del tempo e del suo battere che è il corpo umano. La composizione di Barbera prevede, insieme al body percussion, l’utilizzo di una palla da basket. Il brano più completo e catturante sono state le variazioni di Framarin-Barbera sul tema della Follia di Arcangelo Corelli (Sonata op. 5, n. 12). Elaborazioni pensate per il clarinetto e per una varietà di strumenti percussivi che hanno trasmesso l’emozione del ritmo che si fa sentimento, discorso, meditazione, potenza.
Sono riuscito a trovare un solo video nel quale Selene Framarin esegue in parte tali elaborazioni ma lo fa soltanto al clarinetto: https://www.youtube.com/watch?v=6s1wAdwePBQ. L’esecuzione alla Cascina Linterno è stata molto più ricca e coinvolgente, confermando, appunto, come le città siano vive quando sono vive le loro periferie.

 

 

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