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Consolo

Il Mediterraneo di Vincenzo Consolo e quello della storia
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
18 ottobre 2024
pagine 1-7

Indice
-Consolo, l’utopia
-Consolo, la storia

Vincenzo Consolo (1933-2012) rappresenta un singolare innesto di disincanto leopardiano, di impegno politico vittoriniano e di furore gaddiano. I temi antropologici, il destino, il dialetto, l’invenzione linguistica che ne fa un autore espressionista (e, interessante intuizione di Giuseppe Traina, anche postmoderno) vengono declinati in una evidente e inevitabile tonalità siciliana, quella che fa di Consolo un allievo, un amico, un fratello di Leonardo Sciascia e di Gesualdo Bufalino.
Uno dei temi più ricorrenti negli ultimi romanzi e racconti dello scrittore è quello dei migranti. In questo breve saggio formulo una critica alle sue prospettive. Mi riferisco in particolare al meticciato, nel quale lo scrittore vede un dispositivo di apertura, dialogo e arricchimento tra i popoli quando invece – lo si poteva vedere già all’inizio del XXI secolo ma certamente oggi è più evidente – rappresenta la tragedia e l’impoverimento della sostituzione, del crepuscolo dell’Europa fagocitata da un Occidente anglosassone al dominio del quale l’arrivo di masse di migranti dall’Africa e dall’Asia è del tutto funzionale.
Cerco di argomentare queste critiche anche sulla base degli studi di Fernand Braudel sul Mediterraneo e delle indagini sociologiche di Stephen Smith.
A fare da guida in questo percorso è la recente monografia che Giuseppe Traina ha dedicato allo scrittore: «Da paesi di mala sorte e mala storia». Esilio, erranza e potere nel Mediterraneo di Vincenzo Consolo (e di Sciascia) (Mimesis 2023).

Cancellare la storia

Perché bisogna cancellare la storia
Aldous
, 12 novembre 2024
Pagine 1-2

La storia esistita finora è certamente storia di lotta tra le classi e storia della continua metamorfosi dei modi di produzione. Ma è anche storia delle lotte tra credenze simboliche, tra progetti politici, tra convinzioni religiose, tra modelli scientifici, in una parola tra concetti. È nell’ambito di tali simboli e concetti che assume tutta la sua rilevanza e il suo spazio l’azione metapolitica, vale a dire quella che non si esercita direttamente nelle istituzioni che amministrano il potere e la cosa pubblica ma quella che agisce nell’ambito delle idee, dei modelli generali di convivenza tra gli umani e degli umani con i loro ambienti, nell’ampio ambito dei segni religiosi, artistici, etici, nelle questioni che riguardano le ragioni del vivere e del morire.
Anche per questo, negare ciò che ci ha preceduto, censurare il passato – sia nel senso di condannarlo sia in quello di nasconderlo e persino di cancellarlo – è un’operazione insieme astratta, e quindi ultraculturalista, e barbarica e quindi veramente rozza. Ma è soprattutto un’azione impossibile, il cui successo coinciderebbe con la dissoluzione di una società, così come accade a un individuo affetto dal morbo di Alzheimer, che dimentica progressivamente ogni elemento della propria vita passata, sino a morire di tale oblio.

Caltanissetta

La Sicilia come rovina. Questo accade di pensare di fronte alle imponenti e incompiute strutture e forme del Palazzo Moncada (o Bauffremont) di Caltanissetta (immagine di apertura). Un edificio seicentesco che rammenta la grandezza passata e la miseria presente dei Trao di Mastro-don Gesualdo. L’intera città posta al centro dell’Isola ricorda la ricchezza ottocentesca frutto delle miniere di zolfo e la modestia di un presente agricolo e terziario che ha prodotto i quartieri nuovi fatti di edifici francamente brutti e il progressivo abbandono di un centro storico elegante nelle sue strade risorgimentali e vibrante nelle chiese barocche di Santa Maria la Nuova, la cattedrale intessuta degli affreschi di Guglielmo Borremans (1720) e dei dipinti di Vincenzo Roggeri, dedicati a santi e martiri;

nelle chiese di Sant’Agata, a croce greca e parte del Collegio dei Gesuiti ora sede della Biblioteca pubblica; di San Domenico, edificio della fine del Quattrocento con una dinamica facciata curveggiante e che necessiterebbe di restauri; di Santa Maria degli Angeli, edificio che invece è in restauro e che è parte di un ampio convento che sta vicino ai resti del Castello di Pietrarossa. Da questa parte della città ben si osserva il complesso urbano anche nei suoi disordinati sviluppi.
Come accennavo, il centro storico è di fatto abbandonato, con molti negozi e attività chiuse (un chiaro regalo della vicenda Covid, come accade in tante altre città europee e specialmente italiane), tanto che non siamo riusciti a trovare un ristorante di domenica a pranzo. In mancanza d’altro abbiamo gustato un gelato in un bar, i cui gestori ci hanno detto che stavano per chiudere e che di sera il nucleo antico di Caltanissetta è frequentato e abitato da cittadini africani e asiatici, che infatti abbiamo visto numerosi mentre, dopo le messe della domenica mattina, i nisseni sembravano di colpo spariti. L’impressione di trovarsi in una città del Nord Africa è stata assai netta e francamente malinconica. La sostituzione etnica, della quale parlano alcuni sociologi, in questa zona apparentemente periferica della Sicilia è in uno stato assai avanzato. La Sicilia come metafora dell’Europa, della sua rovina.

Palermo 2024

Di tanto in tanto ho occasione di recarmi a Palermo, cosa che mi dà molta gioia. Si tratta infatti di una tra le più belle e contraddittorie città d’Europa, nella quale convivono fianco a fianco – praticamente strada accanto a strada – lo splendore di chiese, cattedrali, palazzi normanni e barocchi e la miseria di quartieri che sembrano essere stati appena bombardati. Uno di questi quartieri è stato da poco riqualificato. Si tratta della Marina, che ha al centro il Castello a mare; zona che per decenni è stata un insieme disordinato e sporco di macerie e che adesso scandisce tra la città e il mare uno spazio aperto, con specchi d’acqua, passeggiate, negozi. 

Tutto è nuovo e pulito ma trasmette una sensazione invincibile di artificiosità, lo spazio essendo stato riempito soprattutto di bar e ristoranti sin troppo alla moda. In ogni caso si tratta di un piccolo tratto di un fronte a mare assai più esteso, che richiederebbe non interventi cosmetici ma un vero ripensamento della città e del suo rapporto con il mare. Richiederebbe anche risorse finanziarie che i decisori politici nazionali preferiscono utilizzare in grande quantità per finanziare guerre e armi (nonostante la lettera e lo spirito dell’articolo 11 della Costituzione Repubblicana).
Altre strade di Palermo, che erano prestigiose e piacevoli, sono cadute nel degrado. In via Roma, l’arteria rettilinea che collega la Stazione centrale ai quartieri a ovest della città, un negozio su tre ha chiuso; saracinesche sprangate dappertutto; molti tra i negozi sopravvissuti sono drogherie venditutto, piene di ciarpame turistico. Sono locali gestiti per lo più da asiatici e da africani. Malinconia e sporcizia dappertutto.
Ma nelle stradine parallele e perpendicolari a via Roma pulsa ancora una città vera. In una piazzetta accanto a via Gagini un libraio accatasta tra il negozio e l’esterno 70.000 libri e riviste sugli argomenti più diversi. La qualità è bassa ma la passione del titolare e il fatto che si offrano e si acquistino libri di varie epoche regalano un sorriso.
Palermo è anche il manufatto edilizio incomprensibile che si vede qui sotto e che si trova nel Vicolo della neve all’alloro, una struttura che sembra nascere e finire nel nulla. E Palermo – come si vede nell’immagine di apertura – è anche un insieme armonioso di palme, rovine, castelli, mare e navi. Tutto insieme.

Qui sotto l’ingresso di Palazzo Steri, sede del Rettorato dell’Ateneo del quale sono stato di recente ospite per conversare su temporalità e metamorfosi con Salvatore Tedesco, Chiara Agnello, Rosaria Caldarone, Peppino Nicolaci e altri amici nella magnifica sede dell’Orto Botanico dell’Università. 

Una quantità innumerevole di specie vegetali e animali occupa gli ettari di questo luogo. Come viventi, la loro trasformazione è continua. Ma anche le pietre, i palazzi, i quartieri vivono una incessante metamorfosi. Perché, impalpabile e sfuggente, il tempo è motore della corruzione e della fine e anche per questo è l’adesso e l’ovunque, «il tempo sembra essere presente in ogni cosa, sulla terra e nel mare e nel cielo» (Aristotele, Phys., IV, 223a). Realtà e metamorfosi sono la medesima struttura, come le città mostrano agli occhi e alle gambe di chi dentro esse cammina.

Cosmologie antropodecentriche

Deus. La sfera nera
(Deus. The dark Sphere)
di Steve Stone
Gran Bretagna, 2022
Con: Claudia Black (Karla Grey), David O’Hara (Ulph), Philip Davis (Vance)
Trailer del film

Gli ingredienti classici della fantascienza spaziale – enormi astronavi, il viaggio verso l’ignoto, un equipaggio variegato e al proprio interno in conflitto, una potenza enigmatica ad attenderlo – sono tutti presenti ma vengono declinati in una chiave particolare, che è l’inganno. Un inganno di natura teologica, psicologica, politica.
Vari elementi della sceneggiatura sono superflui o francamente improbabili ma la tensione rimane costante dal risveglio dell’equipaggio ibernato al finale che svela il mistero. C’è una scena, forse solo una, che è disvelativa di una verità che in ambito politico, saggistico, informativo rimane per lo più accuratamente occultata. Questa verità è che siamo troppi, che questo piccolo pianeta non potrà sostenere ancora a lungo il peso di una massa di più di 8 miliardi di esseri umani, destinati a crescere ulteriormente. Si tratta di un numero veramente spropositato. Un personaggio del film lo dice con chiarezza, traendone conseguenze che dovrebbero apparire agli occhi dello spettatore negative, e che in effetti lo sono in alcuni aspetti. Ma la verità dell’assunto rimane: il numero degli esseri umani deve diminuire. Devono diminuire soprattutto gli abitanti di continenti dalla fecondità spaventosa e ancora fuori controllo come l’Africa e parte dell’Asia. L’Occidente europeo e anglosassone è invece da tempo stabilizzato verso il basso ma viene invaso senza posa da milioni di persone, generando problemi enormi. L’auspicio è che anche altri territori del nostro pianeta inizino la china della diminuzione demografica.
È questa una prospettiva malthusiana? Non ho difficoltà ad ammetterlo, per la semplice ragione che se la popolazione aumenta con progressione geometrica e le risorse crescono con progressione aritmetica, l’esito che ne risulta è la guerra, la fame, la distruzione dell’ambiente.
Confidavo che la truffa del Covid19 avesse almeno un aspetto positivo, che diffondesse sterilità nei giovani umani che hanno allegramente e irresponsabilmente inoculato nei loro corpi sostanze sconosciute, ma sembra che per vedere gli effetti di tale inganno di massa, peraltro limitato in gran parte ancora una volta all’occidente, bisognerà aspettare a lungo.
E quindi alcuni dialoghi di questo film sembrano costituire un avviso forse involontario ma certamente concreto sul fatto che «c’era un piccolo pianeta meraviglioso che la dismisura di una delle specie che lo abitava ha ridotto a un luogo invivibile» o, come scrive Dürrenmatt ne La guerra invernale del Tibet, «la natura, per quanto ottusa, non rifarà probabilmente la sciocchezza di creare dei primati, il caso culminato nella creazione della nostra razza non si ripeterà, probabilmente. Con questi esseri futuri non è possibile parlare di noi, ma solo di qualcosa che riguardi loro e noi insieme: le stelle» (in «Racconti», trad. di Umberto Gandini, Feltrinelli 1996, p. 270).
Le stelle, lo spazio vuoto, la cosiddetta materia oscura della quale sembra composto gran parte dell’universo, le galassie, la luce. Soltanto questo era, è e sarà.

Schizofrenie imperialiste

Che Israele abbia intenzione di accelerare il genocidio del popolo palestinese credo sia evidente a chiunque guardi con un minimo di oggettività quello che da più di settanta anni accade in Palestina. La deportazione di milioni di persone dalle loro case; il trasferimento forzato di migliaia di malati; il radere al suolo intere città della Striscia di Gaza; il massacro di vecchi, donne, bambini attraverso bombardamenti indiscriminati…se non risulta chiaro tutto questo, non c’è proprio niente da fare.
Vorrei invece osservare l’ennesima schizofrenia della soggettività che definisce se stessa «progressista» e che da un lato reclama l’accoglienza più o meno universale di «migranti» che sono per la più parte di religione e identità islamica e tuttavia sostiene l’entità sionista dello Stato di Israele che vede nell’Islam sia arabo (per la più parte sunnita) sia iraniano (sciita) un pericolo mortale. Israele è anche l’ennesimo strumento dell’imperialismo anglosassone; chi conosce un poco la storia sa che il movimento sionista fu ai suoi albori sostenuto appunto dallo Stato britannico come ulteriore strumento di controllo del Vicino Oriente.
L’incoerenza logica e politica costituisce una tendenza inevitabile dei «progressisti», che nel loro paradigma universalista, globalista e dunque imperialista si trovano sempre davanti a contraddizioni che o cercano di ignorare o non comprendono proprio o verso le quali nutrono sovrana indifferenza, essendo loro i «buoni e giusti» per definizione. Sostenere il più implacabile colonialismo e suprematismo anche culturale, basato sui «valori» dell’Occidente, contro tutti gli altri popoli e civiltà del pianeta (ritenuti autoritari, gerarchici, antidemocratici, maschilisti, patriarcali, superstiziosi, arretrati e così via) e insieme credersi «accoglienti» mi sembra che sia frutto appunto di una schizofrenia politica.
Nel caso di Israele, poi, dovrebbe mettere almeno un poco sull’avviso la modalità di impronta nazista con la quale il sionismo afferma questo:

«‘Abitanti di Gaza, negli ultimi giorni vi abbiamo esortato a lasciare Gaza City e il nord della Striscia e a spostarvi a sud del Wadi Gaza per la vostra sicurezza. Oggi vi informiamo che fra le ore 10 e le 13 Israele non colpirà l’itinerario indicato dalla nostra cartina per raggiungere quella zona’. Così il portavoce militare israeliano. ‘Sfruttate questo breve lasso di tempo per andare a sud. State certi che i dirigenti di Hamas hanno già pensato alla loro sicurezza’».
(Fonte: Televideo RAI, Gaza, Israele: corridoio 10-13, andate via, 15/10/2023, ore 09:00)

Si noti infatti la tragica ironia e il tono conciliante e burocratico con il quale si intima a milioni di persone (compresi migliaia di malati ricoverati negli ospedali) di spostarsi di decine di chilometri tutti insieme «fra le ore 10 e le 13». E questo mentre «il ministero della Sanità dell’Autorità nazionale palestinese ha aggiornato il numero delle vittime dei raid israeliani a Gaza e Cisgiordania. I morti sono 2.384 e i feriti 10.250 dal 7 ottobre, data dell’attacco di Hamas. In particolare nella Striscia le vittime sono 2.329, la maggior parte delle quali bambini e donne, e i feriti 9.042» (Fonte: Televideo RAI, Anp: 2.384 morti tra Gaza e Cisgiordania, 15/10/2023 15:00).
Una carneficina delle persone che si coniuga a quella dei pensieri delle persone. La Fiera del Libro di Francoforte ha annullato la cerimonia di premiazione della scrittrice palestinese Adania Shibli, con la motivazione della «guerra in Israele» ma contemporaneamente la stessa Fiera ha ampliato lo spazio degli autori israeliani. Tutto questo era prevedibile ed è stato previsto da me e per fortuna da molti altri: la reazione tirannica e irrazionale sulla questione vaccini ha dato il via a un piano inclinato che è continuato con la guerra Nato-Russia e ora con l’ostracismo verso gli intellettuali palestinesi. L’Europa è tornata a tempi assai bui, i tempi della censura, dell’inquisizione, dell’intolleranza.

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