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Palermo 2024

Di tanto in tanto ho occasione di recarmi a Palermo, cosa che mi dà molta gioia. Si tratta infatti di una tra le più belle e contraddittorie città d’Europa, nella quale convivono fianco a fianco – praticamente strada accanto a strada – lo splendore di chiese, cattedrali, palazzi normanni e barocchi e la miseria di quartieri che sembrano essere stati appena bombardati. Uno di questi quartieri è stato da poco riqualificato. Si tratta della Marina, che ha al centro il Castello a mare; zona che per decenni è stata un insieme disordinato e sporco di macerie e che adesso scandisce tra la città e il mare uno spazio aperto, con specchi d’acqua, passeggiate, negozi. 

Tutto è nuovo e pulito ma trasmette una sensazione invincibile di artificiosità, lo spazio essendo stato riempito soprattutto di bar e ristoranti sin troppo alla moda. In ogni caso si tratta di un piccolo tratto di un fronte a mare assai più esteso, che richiederebbe non interventi cosmetici ma un vero ripensamento della città e del suo rapporto con il mare. Richiederebbe anche risorse finanziarie che i decisori politici nazionali preferiscono utilizzare in grande quantità per finanziare guerre e armi (nonostante la lettera e lo spirito dell’articolo 11 della Costituzione Repubblicana).
Altre strade di Palermo, che erano prestigiose e piacevoli, sono cadute nel degrado. In via Roma, l’arteria rettilinea che collega la Stazione centrale ai quartieri a ovest della città, un negozio su tre ha chiuso; saracinesche sprangate dappertutto; molti tra i negozi sopravvissuti sono drogherie venditutto, piene di ciarpame turistico. Sono locali gestiti per lo più da asiatici e da africani. Malinconia e sporcizia dappertutto.
Ma nelle stradine parallele e perpendicolari a via Roma pulsa ancora una città vera. In una piazzetta accanto a via Gagini un libraio accatasta tra il negozio e l’esterno 70.000 libri e riviste sugli argomenti più diversi. La qualità è bassa ma la passione del titolare e il fatto che si offrano e si acquistino libri di varie epoche regalano un sorriso.
Palermo è anche il manufatto edilizio incomprensibile che si vede qui sotto e che si trova nel Vicolo della neve all’alloro, una struttura che sembra nascere e finire nel nulla. E Palermo – come si vede nell’immagine di apertura – è anche un insieme armonioso di palme, rovine, castelli, mare e navi. Tutto insieme.

Qui sotto l’ingresso di Palazzo Steri, sede del Rettorato dell’Ateneo del quale sono stato di recente ospite per conversare su temporalità e metamorfosi con Salvatore Tedesco, Chiara Agnello, Rosaria Caldarone, Peppino Nicolaci e altri amici nella magnifica sede dell’Orto Botanico dell’Università. 

Una quantità innumerevole di specie vegetali e animali occupa gli ettari di questo luogo. Come viventi, la loro trasformazione è continua. Ma anche le pietre, i palazzi, i quartieri vivono una incessante metamorfosi. Perché, impalpabile e sfuggente, il tempo è motore della corruzione e della fine e anche per questo è l’adesso e l’ovunque, «il tempo sembra essere presente in ogni cosa, sulla terra e nel mare e nel cielo» (Aristotele, Phys., IV, 223a). Realtà e metamorfosi sono la medesima struttura, come le città mostrano agli occhi e alle gambe di chi dentro esse cammina.

Temporalità e metamorfosi

Venerdì 5 luglio 2024 alle 18.00 nella sede dell’Orto Botanico dell’Università degli Studi di Palermo, nell’ambito del Metamorphosis Festival, insieme a Chiara Agnello e Salvatore Tedesco terrò una conversazione dal titolo «Temporalità e metamorfosi» .

L’identità della filosofia consiste nella sua struttura metafisica, mediante la quale la filosofia può tentare di comprendere quanto più profondamente possibile gli enigmi costituiti dalla vita e dal tempo.
Il tempo infatti si dice in molti modi e il loro insieme forma la φύσις, vale a dire l’ intero del quale enti, eventi e processi sono parte, forma e manifestazione. Il primo dato da cogliere è l’assimetria temporale tra passato e futuro. Su di essa si fonda l’identità tra il tempo e tutta la realtà; identità della quale dà conto la branca della fisica-chimica che si chiama termodinamica.
Uno sguardo sia metafisico sia fisico/termodinamico alla realtà del tempo aiuta a comprendere che realtà e metamorfosi sono identici, che la realtà è dunque una struttura che si trasforma di continuo senza dissolversi mai. Da qui è possibile riconciliarsi con il tempo che l’umano è, che noi stessi siamo. La filosofia come amore verso la conoscenza è nella sua dimensione più radicale una forma di amicizia verso il tempo.

Umanismo e metamorfosi

Recensione a:
Sandro Gorgone
Il trionfo di Proteo
Tecnica e metamorfosi dell’umano
InSchibboleth, 2021
Pagine 260
in Scienza & Filosofia
numero 28 / dicembre 2022
Pagine 257-260

Sandro Gorgone mostra quanto ingiustificate siano le interpretazioni che pongono il pensare heideggeriano in continuità con la tradizione umanistica. E tuttavia disegna poi una caratterizzazione dell’antiumanismo heideggeriano come «iper-umanistica» e posta a difesa della «dignità umana», interpretazione smentita in parte dallo stesso autore quando deplora Heidegger per l’assenza nella sua filosofia di un’etica, assenza testimoniata anche dal suo «pronunciarsi contro i valori umanistici tradizionali e in genere contro ogni tipo di valore».
Un altro limite del libro è la separazione ontologica tra l’umano e l’animale, come se ad “animale” corrispondesse davvero qualcosa e non fosse invece da sempre una parola pensata per il dominio, uno strumento linguistico fondamentale per la pretesa separativa umana.
Eppure le belle pagine dedicate alla metamorfosi in Goethe avrebbero potuto costituire una salvaguardia da tali cadute. Vi si legge infatti della inseparabilità nei viventi e nelle piante di Vis centrifuga – differenza – e Vis centripeta – identità. La metamorfosi non assimila né separa ma trasforma, espressione anch’essa del tempo.

Gli dèi a Milano

Recycling Beauty
Fondazione Prada  – Milano
A cura di  Salvatore Settis e Anna Anguissola con Denise La Monica
Sino al 27 febbraio 2023

Il dinamismo di Milano è sempre stupefacente. Luoghi che scompaiono, altri che nascono, più spesso spazi che si trasformano. Una città ovidiana, la cui metamorfosi è costante e, certo, non sempre apportatrice di bellezza e di senso. Le trasmutazioni realizzate nei luoghi dell’archeologia industriale sono tra le più riuscite. Così, a nord di Milano l’antica cittadella della Pirelli è diventata il quartiere Bicocca con Auditorium, Università, lo Hangar che ormai è un luogo classico dell’arte contemporanea. A sud alcune delle fabbriche intorno allo scalo ferroviario di Porta Romana sono diventate dal 2015 la Fondazione Prada. E qui l’antico e il contemporaneo si sono incontrati in una scintilla d’energia che è la mostra Recycling Beauty. 

Nello spazio aperto e vastissimo del Podium e in quello verticale e labirintico della Cisterna il passato  classico e rinascimentale diventa un presente mobile e cangiante, che – nei frammenti che lo compongono – disegna la potenza dell’antico; esprime la sua calma e la forza; innesta in molte sculture materiali di età moderna nelle parti antiche; crea delle esplicite imitazioni rinascimentali di opere venerate e verso le quali il rispetto, la nostalgia, l’ammirazione si volgono quasi nell’invidia di non poter raggiungere la medesima luce che i Greci e i Romani riuscirono a essere.
È pervasivo e molteplice infatti il riutilizzo materiale e formale dei marmi, dei bronzi, dell’εἶδος di cui è fatta l’arte dei pagani. Numerose tra le opere esposte sono diventate cristiane e qui il riutilizzo diventa vitale, essenziale, funzionale all’esistenza, al significato, alla sopravvivenza stessa di quella religione. Appare infatti assai evidente che senza i Greci e i Romani il cristianesimo sarebbe stato soltanto una setta di fondamentalisti esaltati e violenti.
Il prezzo, assai oneroso, pagato dal cristianesimo per sopravvivere è ben espresso nella ricostruzione – qui realizzata per la prima volta – della colossale statua di Costantino, l’imperatore che fece uccidere il suo primogenito, Crispo e fece morire la moglie Fausta bollendola in una vasca. I sacerdoti pagani si rifiutarono di purificare l’imperatore per questi delitti mentre quelli cristiani lo assolsero. Da allora Costantino difese il cristianesimo ma la statua enorme che si fece costruire, sostituendo il volto di Giove con il proprio, conferma come l’infausto imperatore che impose il cristianesimo a Roma era e rimase un pagano, immerso però ormai nella ὕβρις, nell’eccesso che in questa statua  – alta 11 metri occupando due piani di un edificio  – diventa plasticamente evidente. Eccesso che fu uno degli elementi della nuova religione giunta al potere a Roma.

I due grandi spazi nei quali la mostra è distribuita testimoniano il fascino del mondo antico ma soprattutto la sua presenza, la sua ininterrotta fecondità per chi vuole comprendere il mondo e ama, semplicemente, la bellezza.
Sentimenti e concetti che emergono in particolare di fronte alla Minerva Orsay che dal I-II secolo dell’era volgare venne negli anni Trenta del Seicento restaurata dandole mani, piedi e testa di bronzo, a loro volta sostituiti con marmo nel 1776 mentre il corpo della dea riluce sempre di onice dorato. Atena diventa così l’intelligenza fatta di pietra, di alabastro e di magia.

E poi un trono dedicato a Dioniso, proveniente da un teatro greco e che divenne un sedile dei Papi romani.

Un’altra opera affascinante ed emblematica del significato e delle intenzioni della mostra è il Leone che azzanna un cavallo, probabilmente parte di una vasta opera scultorea dedicata ad Alessandro il Grande, che dal IV sec. a.e.v. fu portata a Roma e poi durante il Medioevo posta nel Campidoglio a simboleggiare ancora la potenza della città eterna.

 

Un terzo spazio della Fondazione, la Torre, ospita invece in modo permanente opere e installazioni dell’arte contemporanea. Gli esiti sono, come sempre in questi casi, assai diversi tra di loro. Non mancano le ripetizioni, le imitazioni passive, il semplice mestiere travestito da talento ma si può anche entrare in contatto con alcuni dei modi d’arte emblematici del presente, tra tutti il gigantismo di Jeff Koons, i cui enormi tulipani che adornano il Museo Guggenheim di Bilbao si ritrovano anche in una delle sale di Atlas, la denominazione che è stata data alla raccolta ospitata nella Torre.

Questa Torre è un edificio dal quale lo sguardo si estende e si amplia verso l’orizzonte della città che mai si stanca di mutare, di essere viva. Come vivi sono gli dèi che sorridono anche del loro riciclo.

Dalí, la materiatempo

Salvador Dalí. La persistenza degli opposti
Complesso rupestre Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci – Matera

Pensata come temporanea, questa mostra è diventata di fatto permanente e dà la possibilità di visitare uno dei luoghi più belli di Matera, il complesso rupestre di Madonna delle virtù e San Nicola dei Greci. Sui diversi livelli che lo compongono, dalle grotte affondate nella terra a quelle che spaziano sul panorama della gravina che delimita i Sassi materani, questo spazio racchiude ed espande l’identità e il segreto della città.
Le opere che Dalí ha dedicato al tempo, al mito, al Cristo, all’animalità e alla metamorfosi sembrano collimare con la sostanza delle pareti, delle colonne, delle pietre che le ospitano, in costante permanenza e metamorfosi, come il tempo, tanto da diventare anch’esse il mito vivente di Matera. Alcune delle opere in mostra sono infatti riprodotte a scala ingrandita ed epica tra le vie della città, a battere il suo tempo.

L’artista spagnolo aveva ragione a dire «Le surréalisme c’est moi!», tanto inesauribile e feconda è la sua capacità di fondere stilemi, inventare figure, rendere possibile l’inverosimile, dare grazia al mostruoso. E aveva ragione a intuire la natura ovidiana, metamorfica del tempo, che non è una linearità semplice e precostituita ma è un rizoma labirintico e molteplice.

Il tempo non è una corrente «dentro la quale gli eventi accadono ma a produrre il flusso temporale è lo stesso accadere degli eventi. Non esiste una retta del tempo dentro la quale gli eventi scorrono o si dànno ma sono gli eventi che esistendo producono tale retta. Non c’è un tempo nel quale gli eventi accadono ma l’accadere degli eventi è il tempo. Che dunque non è un dato soltanto mentale ma non è  neppure soltanto fisico. È la differenza della materia nei diversi istanti del suo divenire ed è l’identità di questo divenire in una coscienza che lo coglie. Il tempo nel quale accadono gli eventi è un’illusione fisicalistica e teologica. La realtà – l’essere – consiste nell’accadere degli eventi come identità /differenza della materia nei diversi strati e strutture che la compongono» (Temporalità e Differenza, p. 111).
L’arte di Dalí e la materiatempo di Matera costituiscono una conferma di tale ipotesi.

Metamorfosi

Ovidio
in Vita pensata, n. 25, luglio 2021, pagine 86-89

Un Trionfo del Tempo sono le Metamorfosi di Ovidio. Sono anche tale trionfo. Questo libro fondamentale della cultura europea è un’enciclopedia del mito e della storia, della vicenda umana nel Mediterraneo antico e delle passioni che sempre e ovunque accompagnano e costituiscono gli umani. Passioni narrate ancor prima che cantate. Ovidio ha infatti scritto un romanzo, il primo romanzo dell’Occidente. Un romanzo libero dalla psicologia, un romanzo che narra in modo insieme oggettivo e fantastico gli eventi più vari, il più imprevedibile divenire.
Anche le trasformazioni più bizzarre e impossibili appaiono plausibili sino alla naturalezza e quasi ovvie poiché sono fondate su una decisa posizione antropodecentrica, che non attribuisce alcun primato ed esclusività all’umano, il quale viene posto nella necessaria contiguità con i divini, con gli altri animali, con la natura, le cose, gli eventi che da lui non dipendono e ai quali invece è del tutto sottomesso mentre ogni ente è sottoposto alla potenza primigenia e infinita del divenire e del tempo.
Nessun antropocentrismo, nessun privilegio attribuito all’umano, anche perché tra tutte le specie viventi ed enti mondani Homo sapiens è il più distruttivo, un vero e proprio errore degli dèi e della natura. Questo «inmedicabile vulnus» (I, 190), questa incurabile ferita, va estirpata poiché «qua terra patet, fera regnat Erinys» «dovunque si estende la terra, impera selvaggia la Furia!» (I, 241; 17).
Anche Ἀνάγκη, anche le Parche sono forma, segno e strumento della potenza vera e suprema, che è il Tempo, che è il divenire, che è – nel linguaggio contemporaneo – la termodinamica. La prima delle sue leggi è infatti il vero fondamento filosofico e concettuale delle Metamorfosi, presente ovunque e sempre confermata. Il primo principio è espresso con la densa efficacia della lingua latina: «Omnia mutantur, nihil interit» «Tutto si trasforma, nulla perisce» (XV, 165; 613) perché niente nasce dal niente e nulla muta nel nulla.
Le Metamorfosi sono storie raccontate dentro altre storie, mutazioni dentro altre trasmutazioni, dentro l’incastro incessante di elementi che è il reale.

Finitudine / Pienezza

Il 10.12.2019 tenni una lezione alla Scuola Superiore di Catania su Natura Cultura Ibridazione.
Lezione che venne registrata e si può seguire sul canale YouTube della Scuola.
Il video dura poco più di 2 ore (!), che sono comunque riempite anche da immagini, dall’intervento della Dott.ssa Selenia Anastasi -la quale ha affrontato alcuni aspetti del Transumanesimo e della sua complessità-, dalle domande delle persone presenti. La registrazione è leggermente (proprio leggermente) asincrona, un po’ alla Enrico Ghezzi 🙂

Il nucleo teoretico della lezione è -insieme all’ibridazione- il concetto e la realtà della finitudine, come essa si esprime anche in una celebre scena di Blade Runner, così commentata da Eugenio Mazzarella:
«Alla fine, mentre si spengono i circuiti, sogna d’essere quella fragile cosa tra le sue mani che è un uomo, e una colomba –quella nuda mortale vita che era già stato il sogno di ogni burattino animato, di ogni bugia di legno della vita; è un cyber che sogna di tornare, dopo averlo avanzato in ogni cosa, all’uomo da cui veniva». Il sogno si realizza proprio nel momento in cui sembra svanire. Roy Batty diventa umano nell’istante in cui accetta di morire lasciando che la vita prosegua in altri, dimostrando in tal modo di aver appreso l’essenziale, poiché davvero «il corpo e la sua morte restano i più grandi pensatori» (Eugenio Mazzarella, Vie d’uscita. L’identità umana come programma stazionario metafisico, il melangolo  2004, pp. 8 e 11).
Molti secoli prima di Ridley Scott e di Eugenio Mazzarella, un poeta cantava un’altra struttura ibridativa:
«Ha appena finito questa preghiera, che un pesante torpore le pervade le membra, il tenero petto si fascia di una fibra sottile, i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami; il piede, poco prima così veloce, resta inchiodato da pigre radici, il volto svanisce in una cima. Conserva solo la lucentezza»
(Ovidio, Metamorfosi, I, vv. 548-552; trad. di Piero Bernardini Marzolla).
Mentre si trasforma in alloro, Dafne remanet nitor unus in illa, conserva solo la lucentezza. L’ibridazione è anche la luce della materia che diviene.
Il corpo ibridato con le macchine che da esso stesso sono scaturite costituisce pertanto la vera identità del corpomente umano. Un’identità sempre cangiante e costantemente molteplice come cangiante e molteplice è il corpo. Accettare e accogliere tale molteplicità vuol dire:
-comprendere e vivere la nostra differenza dentro l’essere, coniugata alla nostra identità con l’intero naturale e artificiale del quale siamo soltanto una parte;
-vuol dire trasformare il labirinto in cui ci muoviamo nella ragnatela dei significati che il nostro corpo intesse e con i quali cattura la pienezza d’esserci, la gioia.

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