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Lezioni 2023

Lunedì 6 marzo avranno inizio le lezioni dei tre corsi che terrò nel 2023 nel Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania.
Riassumo qui gli argomenti dei corsi, l’articolazione dei programmi, i libri e i saggi che analizzeremo, gli orari delle lezioni.
I link ai titoli rinviano a presentazioni o a recensioni e – in alcuni casi – al pdf del testo.
Il link al titolo di ogni corso apre la pagina Disum con le schede didattiche, vale a dire le informazioni relative alle modalità di svolgimento delle lezioni, ai prerequisiti richiesti (da prendere molto sul serio), alla scansione del programma, agli esami.

Chiedo di porre particolare attenzione ad alcuni elementi delle schede didattiche:
-le lezioni saranno svolte in modalità frontale, vale a dire con un dialogo in presenza nell’aula, con la possibilità di interagire anche tramite elementi non verbali, poiché non sono soltanto i cervelli a insegnare e ad apprendere ma è l’intero corpomente che vive in uno spaziotempo reale, non virtuale;
-il metodo è la lectio, che significa lettura, analisi, commento e discussione dei testi;
-a motivo dei due primi elementi – corpimente e lectio – pur non essendo obbligatoria, la frequenza alle lezioni è fortemente consigliata;
-prerequisito di tutti e tre i corsi è una conoscenza adeguata della storia della filosofia.

Riassumo anche gli obiettivi principali che i corsi si propongono di conseguire.
-Per Filosofia teoretica:
1) Conoscenza e comprensione delle principali questioni ontologiche e metafisiche
2) Capacità di applicare conoscenza e comprensione all’esistenza individuale e collettiva
3) Autonomia di giudizio in ogni ambito della conoscenza e del vivere
4) Abilità comunicative nel presentare razionalmente le proprie posizioni
5) Capacità di apprendimento in ogni sfera del sapere.
-Per Epistemologia:
1) Conoscenza e comprensione dello statuto delle metodologie scientifiche
2) Capacità di applicare conoscenza e comprensione al rapporto teorico e prassico con i saperi scientifici
3) Autonomia di giudizio rispetto a ogni forma di dogmatismo
4) Abilità comunicative nell’affrontare questioni inerenti i saperi scientifici
5) Capacità di apprendimento in una varietà di ambiti.
-Per Filosofia delle menti artificiali:
1) Conoscenza e comprensione dello statuto dell’intelligenza
2) Capacità di applicare conoscenza e comprensione al rapporto con gli artefatti digitali
3) Autonomia di giudizio rispetto alle informazioni ricevute in questo ambito
4) Abilità comunicative nell’utilizzo dei dispositivi digitali
5) Capacità di apprendimento da una varietà di fonti e strumenti.

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Filosofia teoretica
LA STORIA, IL PRESENTE
Corso magistrale in Scienze Filosofiche
lunedì 12-14 (aula A7) / mercoledì 10-12 (aula A4) / venerdì 12-14 (aula A6)

-Alberto Giovanni Biuso, Sullo statuto del presente: ontologia e storia, in Vita pensata, n. 23, novembre 2020 (pp. 24-30)

-Friedrich W. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, Adelphi 2015

-Friedrich W. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Adelphi 1974

-Eugenio Mazzarella, Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia della vita, Carocci Editore 2022

-Alberto Giovanni Biuso, Disvelamento. Nella luce di un virus, Algra Editore 2022

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Epistemologia
SUL METODO
Corso magistrale in Scienze Filosofiche
martedì 10-12 (aula A12) / venerdì 10-12 (aula A12)

-Alberto Giovanni Biuso, Epistemologia e filosofia della scienza, in Vita pensata, n. 25, luglio 2021 (pp. 94-96)

-John Losee, Filosofia della scienza. Un’introduzione, Il Saggiatore 2016

-Paul Feyerabend, Contro il metodo, Feltrinelli 2021

-Alberto Giovanni Biuso, Sul realismo, in L’invenzione della realtà. Scienza, mito e immaginario nel dialogo tra psiche e mondo oggettivo, ETS, Pisa 2022 (pp. 125-135)

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Filosofia delle menti artificiali
MENTE, INTELLIGENZE ARTIFICIALI E LIBERO ARBITRIO
Corso magistrale in Scienze Filosofiche
martedì 14-16 (aula A12) / mercoledì 12-14 (aula A12)

-Anthony A. Long, La mente, l’anima, il corpo. Modelli greci, Einaudi 2016

-Naief Yehya, Homo cyborg. Il corpo postumano tra realtà e fantascienza, Elèuthera, nuova edizione 2017 (la recensione si riferisce alla prima edizione del libro, uscita nel 2004)

-Aa. Vv., L’algoritmo pensante. Dalla libertà dell’uomo all’autonomia delle intelligenze artificiali, Il Pozzo di Giacobbe 2020

-Alberto Giovanni Biuso, Il libero arbitrio tra neuroscienze e filosofia, in Aa. Vv., «Kαλλὸς καί ἀρετή. Bellezza e virtù», Bonanno 2015 (pp. 801-817)

Metafisica occidentale-orientale

Ripensare la metafisica tra samsara e nirvana
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
19 gennaio 2023
pagine 1-3

Esistono e si danno delle differenze radicali tra la filosofia europeo/mediterranea e la riflessione delle grandi culture orientali, siano esse induiste siano buddiste.
La filosofia è e dà primato alla conoscenza in quanto tale, fine a se stessa, compimento della razionalità e insieme della vita. La riflessione orientale pone invece al centro una condizione di vita della quale la conoscenza è soltanto una parte, per lo più da oltrepassare per giungere alla serenità, che consiste soprattutto nella consapevolezza del vuoto e del nulla.
Più fecondo è, invece e non a caso, uno dei concetti fondamentali del buddismo, ripreso e sostenuto con particolare forza dal monaco Nagarjuna, vale a dire una continuità tra samsara (il mondo nel quale viviamo) e nirvana (l’essere giunti nel vuoto) che si spinge sino a identificarli. In questo modo il nirvana che sta all’inizio e alla fine, il nirvana che è tutto rispetto all’inconsistente e insignificante intervallo del samsara, riscatta quest’ultimo riconducendo l’esistere di ogni vivente, la sua sofferenza, pensiero e gioia, a un minuto «tracotante e menzognero» (Nietzsche), destinato a non lasciare traccia di sé nell’infinito volgersi della materia e dei mondi.

Una metafisica materialistica

Sul realismo
in «L’invenzione della realtà.
Scienza, mito e immaginario nel dialogo tra psiche e mondo oggettivo. Una prospettiva filosofica»
a cura di Emanuele Coco
Edizioni ETS, Pisa 2022
pagine 125-135

  • Indice del saggio
    1 Qualcosa è
    2 Qualcosa è: metafisica
    3 Qualcosa è: realtà
    4 Qualcosa è: il nulla

In questo saggio ho cercato di sintetizzare in poche pagine uno dei fondamenti del mio tentativo di pensiero: una metafisica materialistica per la quale il mondo esiste e accade oltre il soggetto, oltre la specie, al di là di questa catena di tracotanza che vorrebbe legare l’universo alla Terra abitata dagli umani e che invece lega gli umani ai confini nei quali abitano, ai limiti di ciò che sono, alla materiatempo.
La materia e il tempo sono e solo per questo possono poi essere, anche se in modi imperfetti, conosciuti. Compito di una filosofia in rigoroso dialogo con le scienze fisiche ma anche da esse autonoma nella sua identità teoretica è riconoscere e difendere l’immanentismo insito in questo primato dell’ontologia su qualunque forma di gnoseologia.
Gli enti permangono trasformandosi incessantemente – e questo è la loro identità – e mutano permanendo ciò che sono – e questo è la loro differenza. Necessario è l’essere perché inevitabile è il suo divenire, impensabile la stasi, inconcepibile per le nostre menti una morta eternità. Necessaria è la metafisica in quanto scienza di tutto questo. Una scienza razionale, totalistica e immanentistica.
Domande metafisiche sono quelle che riguardano:
– lo statuto di ciò che esiste;
– il legame tra la parte e il tutto;
– il vincolo tra la materia di cui gli enti sono composti e la loro forma;
– la connessione tra il loro essere adesso, l’essere stato e l’essere nel futuro;
– la relazione tra i confini che delimitano un ente e ciò che lo circonda;
– il nesso tra un ente particolare e l’universale al quale può essere attribuito;
– il concatenamento tra gli oggetti e gli eventi, tra gli eventi e i processi, tra gli eventi e i fatti; la corrispondenza tra le strutture spaziali e le dinamiche temporali.
Un atteggiamento metafisico implica anche l’andare oltre la dualità realismo / trascendentalismo. Il realismo si illude di poter pensare il mondo senza transitare dalla complessità del corpomente che ne elabora i significati. Il trascendentalismo si illude di poter rendere conto dei modi e dei limiti della conoscenza senza ammettere che essa inizia sempre dalla materia che c’è e rimane immersa nella prassi esistenziale ed ermeneutica in cui la vita procede e si raggruma. L’essere non dipende da alcuna coscienza, la quale consiste in quella parte della materia che è diventata capace di autocomprendersi.
La metafisica è dunque un sapere perenne. Perenne, ovviamente, nei limiti della presenza di parti della materia che sulla materia riflettono. Là dove queste strutture mentali non esistono, e cioè praticamente ovunque nell’universo conosciuto, la metafisica rimane non come pensiero della materia su se stessa ma come la struttura stessa dell’essere, vale a dire l’essere e il divenire delle galassie, il tempo cosmico.

Gloria

Hans Urs Von Balthasar
Gloria. Un’estetica teologica
Volume IV: Nello spazio della metafisica. L’antichità
(Herrlichkeit. Im Raum der Metaphysik. I Altertum, 1965)
Trad. di Guido Sommavilla
Jaca Book, 2017
Pagine 379

La Herrlichkeit, la gloria, «non si può definire» (p. 19). Così comincia il percorso di Hans Urs von Balthasar nello spazio della metafisica antica, da Omero a Tommaso d’Aquino. Eppure lungo l’itinerario le definizioni della gloria si moltiplicano, partendo sempre e pervenendo ogni volta ai trascendentali, vale a dire alle proprietà dell’essere che lo coinvolgono e lo definiscono nella sua totalità, essendo sempre in reciproca relazione, non delimitandosi a vicenda ma costituendo l’uno con l’altro l’universale che traspare in ogni ente, evento, processo e proprietà particolare, dandogli significato, esistenza e luce. Sono quattro gli universali così intesi dalla Scolastica sul fondamento della filosofia greca: l’uno, il vero, il bene, il bello.

Prima che nel XVIII secolo, con Baumgarten e Kant, l’estetica venisse ricondotta e ridotta «a una scienza  regionalmente delimitata, essa era – vista nel complesso della tradizione – un aspetto della metafisica in quanto scienza dell’essere dell’ente» (26), il quale a sua volta rinvia all’assoluto, che per il pensiero cristiano è Dio. Il tentativo del teologo svizzero è difendere dunque il bello come sostanza ed espressione del divino cristiano filosoficamente inteso: «Come ultimo trascendentale il bello custodisce e sigilla gli altri: nulla di vero e di buono alla lunga senza la graziosa luce di quello che viene donato senza uno scopo» (42).
A questo fine, l’indagine assume un andamento che attraversa lo spazio storico  – come detto, dai Greci al culmine della Scolastica – poiché soltanto se implementato in un particolare l’universale è reale, e attraversa lo spazio metafisico, poiché soltanto se hanno le loro radici nell’essere gli enti ed eventi particolari possiedono senso e sostanza.
Il ‘Dio’ di von Balthasar è dunque una forma prima di tutto estetica, è un’esperienza artistica dalla quale soltanto può irradiarsi la gloria. Il percorso è lo stesso di ogni avvertita e colta teologia cristiana: un consapevole, dotto ma anche disperato tentativo di ancorarsi ai Greci, vedendo in loro una continuità germinale e fondante con il cristianesimo. A questo scopo l’autore respinge ogni volontà di voler ‘depurare’ la fede cristiana dalla filosofia e dal mito, ogni pretesa di « voler essere più biblici della bibbia e più cristiani di Cristo» (224), poiché, in questo modo, del cristianesimo non rimarrebbe quasi nulla, soltanto cascami settari, fanatici, semplicemente e soltanto filantropici. Una domanda posta a proposito di Giovanni Eriugena vale per tutto il libro, vale per l’intera sua estetica teologica: «Tutto questo è biblicamente tollerabile, oppure qui l’antica forma filosofica di pensiero ha trionfato definitivamente sui contenuti biblici?» (316). Interrogativo ammirevole nella sua sincera chiarezza, tanto più che von Balthasar ammette che «visto nel complesso il cristianesimo ha pensato se stesso soprattutto con categorie straniere» (291), vale a dire con le categorie dei Greci.

Per comprendere la portata e il fallimento del tentativo, ricordiamo che questo teologo – nato nel 1905 e morto nel 1988, due giorni prima di ricevere la porpora cardinalizia – è stato uno degli uomini più colti del Novecento, che ha ben compreso come il cristianesimo possa continuare a vivere soltanto in un dialogo reale con il proprio tempo, basato però non sulla sua trasformazione in un’agenzia filantropica (cosa che appunto lo sta facendo morire) ma continuando il dialogo  con la cultura greca e romana, che per il cristianesimo è costitutivo e fondante. Egli costruisce però tale dialogo da gesuita (fu membro dell’Ordine sino al 1956), dando sempre l’impressione che sia il cristianesimo a gettare luce sulla filosofia, quando è accaduto e continua ad accadere esattamente il contrario. Leggendo questa e altre sue opere appare infatti evidente che la persona del Nazareno non c’entra nulla con la teologia cristiana.
Il fondamentale tentativo di ancorare la fede cristiana nel linguaggio teoretico e mitologico dei Greci e dei Romani (soprattutto Virgilio e il neoplatonismo) spiega anche la lettura tendenzialmente monoteistica, e dunque arbitraria, che von Balthasar attua di Omero: «In nessun poema della letteratura mondiale Dio viene pensato in modo così incessante ad ogni situazione della vita» (52, il corsivo è mio). E tuttavia il teologo è capace di leggere Omero con una profondità, finezza ed empatia straordinarie. Al poeta greco «fu accordato […] il dono della bellezza per tempi illimitati» (69); «con Omero fu deposta nella culla dell’occidente» una «‘inconcepibile grazia e bellezza’» (75). Questa capacità di sentire i Greci – Omero ma anche i tragici, i lirici, i filosofi- conduce von Balthasar ad ammettere che il Prometeo di Eschilo si rivolge alle potenze della materia, ben oltre i nomi degli dèi antropomorfici «rivolgendosi non agli dèi che gli hanno inflitto il tormento, ma alle potenze cosmiche e più antiche (a quelle precisamente che per Hölderlin rappresentano il fondo primordiale di ogni divino poi formato e definito): al santo Etere, al Vento spirante, alle Sorgenti e all’ondoso Mare, alla Terra Madre di tutti i viventi e al Sole che illumina ogni cosa» (109-110, il riferimento è a Prom. Vv. 88-91), ad ammettere quindi che il ‘Dio’ greco è il cosmo, è la materiatempo.

L’ammissione diventa piena e teoretica nelle indagini su Platone, Aristotele, i neoplatonici, per i quali tutti il dio, la perfezione, la bellezza, la gloria è costituita dal cosmo, dalla materia infinita e perfetta dei cieli. Andando quindi ben al di là dell’effimero umano, della sua patetica presunzione di stare al centro quando invece l’umano è semplice periferia.
In Plotino la vista del cielo conferma la divinità del mondo, così come «Aristotele vede nell’ordine celeste immediatamente rivelarsi il divino» (206) e prima ancora l’Epinomide platonico pone al centro dell’essere la «gloria dell’ordine astrale» (196). Tutto il Timeo, poi, costituisce la bella, significativa e ultima soluzione platonica al male dell’umanità e della vita: andare μετά, oltre, e guardare gli astri, il cosmo, il loro essere immuni da ogni imperfezione, lamento e dolore. Per lo sguardo di Platone «l’anima singola, per restaurare equilibri (ἰσορρόπο) perturbati tra se stessa e il corpo o in se stessa, non ha bisogno che di guardare al cosmo, che è sempre in perfetto divino equilibrio, per avere un modello da imitare» (194).
Anche se il cristiano von Balthasar vede nella «grande vendetta come la compiono Ecuba, Medea e alla fine un’altra volta Elettra ed Oreste […] suoni di paganesimo selvaggio» (132), il teologo von Balthasar sa bene che anche questa vendetta si radica nella potenza teoretica dei Greci ed è anch’essa espressione del carisma proprio del maggiore tra i filosofi cristiani dopo Agostino. Tommaso d’Aquino scrive infatti (nel De Malo, 4, 2 obj 17) che la «maxima pulchritudo humanae naturae consistit in splendore scientiae» (361).
Su tale splendore aleggia ovunque la potenza del tempo «che copre tutto ciò che è svelato e svela tutto ciò che è nascosto» (118), tempo la cui «ardente pienezza mitica, la qualità della gloria, può essere paragonata soltanto con la qualità sacramentale che la assume e la supera» (102). Su tale splendore si innesta ἀλήθεια, la quale «significa appunto lo stesso che: realtà come essa è» (159). Su tale splendore domina la gloria del divenire, la materia-luce che per i teologi di Chartres è «tra le cose del mondo infraspirituale, la cosa massimamente simile allo spirito, anzi a Dio» (334), la materialuce che è Dio.

Una metafisica antropodecentrica

La metafisica come antropodecentrismo
in Mechane. Rivista di filosofia e antropologia della tecnica
n. 3/2022
pagine 45-57

Indice
-Martin Heidegger e Eugenio Mazzarella
-Il campo metafisico
-Il campo anarchico-ermeneutico: Schürmann
-Metafisica e antropodecentrismo

Abstract
The essay tries to grasp starting from Heidegger and beyond Heidegger, from Mazzarella and beyond Mazzarella, the anthropodecentric structure that constitutes the real reason for the fecundity and necessity of metaphysics. Human meaning, its history and its future are inseparable from the atomic, molecular, thermodynamic story of the cosmos. Metaphysics, πρώτη φιλοσοφία, is also this attempt to observe and understand the world from the point of view of matter, of the whole, of the Φύσις.

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Aggiungo qualche altra parola al contenuto sempre necessariamente stringato dell’abstract.
Mia convinzione è che la struttura antropodecentrica costituisca la vera ragione di fecondità e necessità della metafisica. Ho cercato in questo testo di confrontarmi sia con Mazzarella sia con la lettura anarchica e antimetafisica che Reiner Schürmann ha dato del cammino heideggeriano.
Metafisico è infatti lo sguardo antropodecentrico, così diverso dalla centralità dell’umano e della soggettività che caratterizza invece il pensiero cristiano, cartesiano e moderno. Pensare la nostra specie come senso, centro e vertice significa concepire ancora una volta l’umano come un impero dentro l’impero, errore dal quale Spinoza ci ha messo in guardia con grande chiarezza. L’obiettivo è invece la delineazione di un campo metafisico nel quale l’umano è soltanto una parte trascurabile dell’intero, del cosmo, dell’essere.
Il saggio parte dalla centralità della relazione essere/esserci che Eugenio Mazzarella ha sempre posto alla base del cammino di pensiero di Heidegger. La salvaguardia di un elemento è condizione per la salvezza dell’altro, tanto che l’essenza umana è individuata nella costante apertura all’essere, che significa anche e immediatamente riconoscimento ‘greco’ dei limiti dell’umano, della finitudine, dell’inoltrepassabile che è il morire come destino e sostanza di tutto ciò che è vivo.
È qui che affonda la questione della tecnica, al di là di eventi storici, prospettive epistemologiche, inquietudini politiche. Affonda nei limiti umani e nel loro impossibile e quindi autodistruttivo superamento. A salvare l’οἶκος e a garantire dentro di esso l’umano è necessaria la rimemorazione di una finitudine biologica che è figura della colpa ontologica insita nell’esserci, come la filosofia sa da Anassimandro a Heidegger. I grandi temi gnostici della colpa e della pena sono stati affrontati tematicamente da Mazzarella solo nelle opere più recenti ma la loro genesi sta nel gioco di finitudine e ὕβρις che l’umano è da sempre.
Antiumanista come antiumaniste sono le filosofie di Marx e di Nietzsche, il pensiero di Heidegger è disvelatore dei limiti intrinseci a ogni prospettiva e progetto umanistici mediante il pieno riconoscimento di una differenza ‘ontologica’ proprio nel senso della differenza che sta a fondamento dell’essere. L’umano è sempre la situazione che lo precede, nella quale è comparso e in cui rimane gettato per l’intera sostanza dei suoi giorni; l’umano è dunque sempre una ben precisa possibilità che compare, accade e agisce dentro i bastioni del tempo storico che gli è stato destinato dall’eventuarsi della realtà. Il venire alla presenza non è niente di soggettivo e coscienzialistico, non ha a che fare con qualche volontà e proponimento, non è nulla di umanistico e nemmeno di antropologico.
Il punto chiave è che a essere finita non è soltanto l’umana esistenza, il Dasein, ma è «l’essere stesso in quanto tempo» (Sein und Zeit, § 47), l’essere come di-venire alla presenza per poi tornare nell’assenza. L’essere in quanto dissoluzione e processo.
Cerco insomma di leggere l’ontologia, anche quella heideggeriana, in profonda relazione con la cosmologia e la termodinamica.

Parmenide

Un parmenide epistemologo?
in Vita pensata
n. 27, settembre 2022
pagine 73-75

Per Giovanni Cerri il poema parmenideo non va letto – come è stato fatto di solito – in una chiave metafisica e dialettica ma in una prospettiva rigorosamente scientifica sia dal punto di vista del metodo sia dei contenuti. Scientifica proprio nel senso galileiano e contemporaneo. A sostegno di una simile ipotesi ci sono certamente molte importanti testimonianze. Parmenide è infatti un filosofo dell’intero, dai presupposti metafisici assai forti e consequenziale in ogni sua tesi e ragionamento. Ma, a parte ogni altra considerazione, il suo pensare non segue le «sensate esperienze e matematiche dimostrazioni». Farne quindi un collega di Galilei, di Einstein o di Planck significa non rendere a Parmenide l’onore filosofico che merita.
Condivisibile è invece la tesi che la metafisica e la cosmologia di Parmenide sono di impronta fortemente materialistica, chiarendo che il materialismo di Parmenide è lo stesso di Eraclito e di Empedocle; viene dunque prima di ogni dualismo tra spirito e materia o altre analoghe opposizioni.
Posto tra ciò che noi oggi chiamiamo ‘scienza’ e ciò che noi oggi chiamiamo ‘profezia’, Parmenide è uno scienziato ed è anche uno degli «sciamani razionalizzati» dei quali parla Eric R. Dodds. La forza del suo pensare abita anche in questa identità molteplice.

Programmi 2022-2023

Nell’anno accademico 2022-2023 insegnerò Filosofia teoretica, Epistemologia e Filosofia delle menti artificiali. Pubblico i programmi che svolgerò, inserendo i link ai pdf della piattaforma Syllabus del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania, sulla quale i docenti  ‘caricano’ i loro programmi. In questi pdf si trovano tutte le altre (importanti) informazioni relative ai miei corsi.
I link che compaiono qui sotto nei titoli dei libri in programma portano a presentazioni e recensioni dei testi o, nel caso dei saggi in rivista, ai pdf dei testi stessi.

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Filosofia teoretica
LA STORIA, IL PRESENTE

-Alberto Giovanni Biuso, Sullo statuto del presente: ontologia e storia, in Vita pensata, n. 23, novembre 2020 (pp. 24-30)

-Friedrich W. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, Adelphi 2015

-Friedrich W. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Adelphi 1974

-Eugenio Mazzarella, Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia della vita, Carocci Editore 2022

-Alberto Giovanni Biuso, Disvelamento. Nella luce di un virus, Algra Editore 2022

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Epistemologia
SUL METODO

-Alberto Giovanni Biuso, Epistemologia e filosofia della scienza, in Vita pensata, n. 25, luglio 2021 (pp. 94-96)

-John Losee, Filosofia della scienza. Un’introduzione, Il Saggiatore 2016

-Paul Feyerabend, Contro il metodo, Feltrinelli 2021

-Alberto Giovanni Biuso, Sul realismo, in L’invenzione della realtà. Scienza, mito e immaginario nel dialogo tra psiche e mondo oggettivo, ETS, Pisa 2022 (pp. 125-135)

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Filosofia delle menti artificiali
MENTE, INTELLIGENZE ARTIFICIALI E LIBERO ARBITRIO

-Anthony A. Long, La mente, l’anima, il corpo. Modelli greci, Einaudi 2016

-Naief Yehya, Homo cyborg. Il corpo postumano tra realtà e fantascienza, Elèuthera, nuova edizione 2017 (la recensione si riferisce alla prima edizione, 2004)

-Aa. Vv., L’algoritmo pensante. Dalla libertà dell’uomo all’autonomia delle intelligenze artificiali, Il Pozzo di Giacobbe 2020

-Alberto Giovanni Biuso, Il libero arbitrio tra neuroscienze e filosofia, in Aa. Vv., «Kαλλὸς καί ἀρετή. Bellezza e virtù», Bonanno 2015 (pp. 801-817)

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