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Mente & cervello 79 – Luglio 2011

La relazione che intercorre tra il cervello umano e il linguaggio è uno degli eventi più affascinanti e complessi della natura. Infatti «la nostra capacità di svolgere compiti come quello di individuare il significato di una parola ambigua è frutto di milioni di anni di evoluzione», tanto da rendere la struttura del linguaggio «misteriosa persino per noi esseri umani, che pure ne padroneggiamo l’uso» (J.K. Hartshorne, p. 68). È anche per questo che ogni tentativo di realizzare robot dotati di parola, delle intelligenze artificiali capaci di parlare, è sempre miseramente naufragato. A metà del Novecento Alan Turing e dopo di lui altri studiosi pronosticarono che entro pochi anni il linguaggio dei robot sarebbe stato indistinguibile da quello degli umani. Ma «in realtà stiamo ancora aspettando. […] Un robot veramente dotato della facoltà della parola non sembra essere più vicino a realizzarsi rispetto ad altre fantasie tecnologiche tipiche del secolo scorso, come le città sottomarine o le colonie marziane» (Ivi, 66).

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Mente & cervello 78 – Giugno 2011

Tutto ciò che colpisce il cervello ci distrugge. Ogni ricordo, emozione, sentimento, concetto, tratto della personalità ha una corrispondenza puntuale nelle diverse, articolate e complesse aree che compongono l’encefalo. Il morbo di Alzheimer cancellando i neuroni dissolve le capacità cognitive della persona. Una malattia analoga e però meno nota è la demenza frontotemporale (FTD), che all’Alzheimer somiglia ma colpisce prima e riguarda più gli aspetti emotivi e sociali della vita che quelli mnestici. «Vedere qualcuno perdere le proprie emozioni è ancora più duro che assistere al crollo delle capacità cognitive di una persona. “Il fatto che qualcuno che amiamo ci riconosce ancora ma non mostra più interesse per noi sembra ferirci molto di più”. È un tipo di rifiuto che non ci rende tristi. “Ci rende furiosi”» (I. Chen, pp. 84-85).

Nel corpo tutto si radica, tutto accade, tutto si fa parola, comunicazione, silenzio. Le azioni e i pensieri, i gesti pubblici e il flusso interiore, le convenzioni sociali e le tecnologie (come la scrittura) sono elementi convergenti a spiegare il nostro vivere. Infatti, anche una dimensione così fondamentale e così apparentemente astratta «come il concetto di tempo si basa sulle sensazioni e azioni del corpo» (M. Cattaneo, 3); lo confermano alcuni fatti scoperti da Lynden Miles e dai suoi colleghi: «ripensare al passato fa inclinare le persone di un paio di millimetri all’indietro, mentre pensare al futuro le fa inclinare impercettibilmente in avanti. Altre ricerche rivelano che gli esseri umani pensano al tempo come se occupasse fisicamente un posto nello spazio, con il passato a sinistra e il futuro a destra, in coerenza con il fatto che, nelle culture occidentali, la scrittura procede da sinistra a destra» (S. Carpenter, 47). Ciò che siamo soliti definire concreto e astratto è una medesima realtà unitaria, la quale si esprime in diverse forme. Le metafore che utilizziamo ogni momento costituiscono il segnale forse più evidente di tale unità:

Come mai alziamo reverenti lo sguardo a coloro che rispettiamo, ci abbassiamo al livello di coloro che disdegniamo e pensiamo con calore a quelli cui vogliamo bene? Per quale ragione nascondiamo i nostri sporchi segreti e ci laviamo le mani di quel che ci preoccupa? Perché ponderiamo le più gravi questioni e ci sentiamo sollevati da un peso quando prendiamo una decisione? Per quale motivo ci voltiamo indietro a considerare il passato che abbiamo alle spalle, e procediamo in avanti verso il futuro? (Id., 43).

Tutto accade nella mente, come già sapeva Aristotele (De anima, III, 431b) e come confermano gli studi sulla percezione visiva: «Quello a cui assistiamo è, in realtà, un capolavoro del cervello. Nel mondo fisico, infatti, non esistono colori, ma soltanto emissioni elettromagnetiche di una data lunghezza d’onda» (T. Grüter, 97). La distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno affonda nelle strutture neurologiche profonde, poiché «il mondo come noi lo conosciamo viene costruito nel cervello, gli occhi forniscono soltanto i dati grezzi» (Id., 100).

Anche questo numero di Mente & cervello si occupa della prossima edizione, la V, del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) che uscirà nel 2013. Ebbene, tra le novità previste c’è la cancellazione dall’elenco delle malattie mentali del “disturbo di personalità narcisistico”. Non tutti gli psichiatri condividono tale decisione ma questo conferma che la malattia mentale è anche un fatto costruito,  una struttura sociale, qualcosa quindi che accade sì nel cervello e nel corpo ma anche nel tempo e nell’ambiente.

Mente & cervello 77 – Maggio 2011

Il corpo è anche la relazione con lo spazio, la struttura prossemica che segna le diverse distanze alle quali permettiamo agli altri di incontrarci, la «bolla virtuale che circonda ciascuno di noi e dove la gente non penetra abitualmente, salvo per gesti sociali ammessi, come la stretta di mano» (N. Guéguen, p. 27). Penetrare con maggiore o minore facilità nello spazio altrui, permettere che altri entrino nel nostro o proibirlo è una delle manifestazioni più chiare -perché in gran parte involontarie- della “dominanza”, di quel legame di ciascuno con ogni altro umano fatto anche di autorità e che sembra davvero non risparmiare «né le relazioni tra amici né quelle tra familiari o di coppia» (Id., 28).
La “chimica del maschio dominante”, alla quale questo numero di Mente & cervello dedica alcuni articoli, arriva al parossismo storico nel potere totalitario esercitato da alcuni gruppi, come quello nazionalsocialista. Della personalità di Hermann Goering si occupa lo psichiatra Douglas Kelley con il resoconto degli incontri che ebbe col vice di Hitler e Maresciallo del Reich, prima e durante il processo di Norimberga. Le conclusioni a cui Kelley pervenne furono che «Goering e i suoi accoliti fossero persone comuni, e che le loro personalità “potevano ripetersi oggi in qualsiasi paese del mondo”» (J. El-Hai, 53). Questo conferma che spiegare il nazionalsocialismo o qualsiasi altro fenomeno politico con la categoria della “pazzia” è del tutto privo di senso. Gli eventi storici hanno cause economiche, sociali, antropologiche e nessuna interpretazione soltanto psicologica e privata può darne conto.
La tristezza della storia collettiva ha il suo riflesso in quella delle vite individuali. Anche per questo la medicalizzazione della tristezza sotto il nome di “depressione” è in gran parte scorretta e frutto degli interessi delle case farmaceutiche e di alcuni psichiatri, come documenta il libro di Gary Greenberg dedicato alla Storia segreta del male oscuro, recensito da M. Capocci (pp. 104-105). Ai «problemi difficili della vita» si può rispondere, certo, anche con dei farmaci -visto che siamo chimica che cammina- ma soprattutto con quell’«esercizio della saggezza» che aiuti a «fare pace con il proprio passato e a proiettarsi verso il futuro» (K. Baumann e M. Linden, pp. 84-89), visto che siamo tempo che cammina.

 

Mente & cervello 76 – Aprile 2011

Il corpo è il luogo del potere, della memoria, delle passioni, dei significati. Ipermnesia e amnesia costituiscono forme patologiche dell’identità di un umano, che consiste nel ricordare e nel dimenticare, inseparabili. Il sonno, la cui funzione è rimasta per secoli un enigma, è necessario per selezionare e consolidare nel cervello le informazioni ricevute e le esperienze vissute durante la veglia. Nessuna parte, sezione, area dell’encefalo conserva ricordi come un cassetto conserva dei documenti. L’ippocampo, la struttura cerebrale senza la quale si perde la memoria, costituisce «non la fonte o il magazzino della memoria, ma un mediatore essenziale per la sua formazione» (A.J. Greene, p. 61), «una stazione di passaggio per la conservazione dei ricordi a lungo termine» (Suzanne Corkin, intervistata da D. Ovadia, 45).

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Mente & cervello 75 – Marzo 2011

Comprendere l’umanità nelle sue potenzialità e nei suoi limiti significa prima di tutto accettare e accogliere il dato di fatto della nostra corporeità anche chimica e molecolare, quella che -ancora una volta- rende illusorio il libero arbitrio. Il corpo che siamo, infatti, comunica sì con i segni verbali ma parla anche con i feromoni -come fanno altre specie viventi- e «laddove le conversazioni verbali sono astratte e piene di sfumature, quelle chimiche sono fisiche e largamente predeterminate» (J. Castro, p. 102). La parola è uno strumento naturale che veicola significati non materiali, esattamente come gli odori.

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Mente & cervello 74 – Febbraio 2011

La plasticità del cervello è enorme, esso possiede «una capacità apparentemente infinita di cambiare,  adattandosi millisecondo per millisecondo» (C.H. Kinsley e E.A. Meyer, p. 102). Fra le tante prove di tale potenza ci sono le illusioni ottiche, già illustrate nei due numeri precedenti di Mente & cervello e che qui arrivano allo spettacolare fuoco d’artificio illustrato dai titoli di tre articoli di Susana Martinez-Conde e Stephen L. Macknik: Falso movimento, Scolpire l’illusione, Cibo per la mente. Il triangolo impossibile di Penrose, le prospettive cangianti di Escher, le ombre di Shigeo Fukuda, il cubo tribarra di Guido Moretti provano come il “semplice fatto” della visione sia una realtà di inimmaginabile complessità nella quale convergono fattori cerebrali, processi evolutivi, condizionamenti culturali, attese, desideri, abitudini. Una vera e affascinante sintesi dell’identità psicosomatica della persona umana, già saputa da artisti come Giuseppe Arcimboldo -che con frutta, verdura, ortaggi, libri costruisce figure umane- e dalla lunga schiera dei suoi continuatori.

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Mente & cervello 73 – Gennaio 2011

«La nostra esperienza del mondo, e la capacità di interagire con esso, passa interamente per il nostro corpo», esso «è l’oggetto di gran lunga più familiare al mondo», tanto che gli strumenti -l’artificio– costruiti per estendere le capacità delle mani diventano per il cervello esattamente come le mani, una loro parte naturale (P.Haggard e M.R.Longo, pp. 102-103).

L’insieme di strutture e funzioni che è il corpo è capace di individuare prima di tutto i volti di altri umani, poiché è attraverso loro che transitano le intenzioni amichevoli oppure ostili, affettuose o indifferenti, in una parola transita la relazionalità. E poiché la visione è un insieme di «processi probabilistici con cui il cervello costruisce la realtà» (G.Sabato, 105), i volti sono in gran parte il risultato di una costruzione del tutto mentale, sul fondamento anche di pochissimi e scarni dati empirici. Si osservi la locandina del film Premonition e se ne avrà un esempio, uno soltanto tra le migliaia che è possibile indicare. A pag. 71 di questo numero di Mente & cervello, infatti, alcune efficaci immagini impongono al lettore la percezione di un viso anche là dove ci sono soltanto «una sala sbarrata da un cordone, una penna USB, un rubinetto, un vecchio telefono, una palla da bowling e un ciocco di legno» (S.Martinez-Conde e S.L.Macknik). «Ciò che vedo è un significato», afferma Wittgenstein (Osservazioni sulla filosofia della psicologia, I, § 869, Adelphi 1990, p. 246) e ha perfettamente ragione, anche perché «gran parte della nostra esperienza quotidiana è data da analoghi processi di riempimento degli spazi vuoti tra un’informazione e l’altra, in cui prendiamo ciò che sappiamo del mondo e lo usiamo per immaginare quel che non sappiamo» (S.Martinez-Conde e S.L.Macknik, 81)

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