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Friburgo, la guerra

Una mia amica, che da tempo vive a Freiburg, descrive con drammatica efficacia la mutazione antropologica, il controllo mediatico, la violenza quotidiana che stanno trasformando molte città tedesche. Ringrazio Giulia per avermi autorizzato a pubblicare una delle sue lettere (inviata il 16.1.2017). La frase conclusiva è una citazione dalla traduzione tedesca della prima serie di Game of Thrones e significa: «Ci sarà guerra: non so quando, non so contro chi, ma sta arrivando».

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Caro Alberto, 

ti mando un breve aggiornamento sullo stato di assedio friburghese.
Qualche mese fa, verso sera, un uomo sulla trentina nel tram ha cercato di mettermi una mano in mezzo alle cosce; prima che la appoggiasse gli ho spiegato molto chiaramente che se l’avesse fatto gliela avrei rotta; ha ritirato la mano. Dopo essermi assicurata che le telecamere di sorveglianza ci avessero inquadrato, sono scesa dal tram facendo attenzione che non mi seguisse (o forse sperandoci, un pochino…). Il giorno dopo sono andata a denunciarlo. La polizia ha recuperato i video di sorveglianza, ma purtroppo la definizione non era sufficiente ad un riconoscimento. Allora mi hanno mostrato una trentina di fotografie di uomini dai tratti simili che vivono vicino alla fermata dove lui era sceso, tutti entrati in Germania negli ultimi due anni e già noti per reati di violenza sessuale. Negli ultimi due anni???? Trenta uomini??? Tutti in quel paesino del cazzo??? Ma io sui giornali non ho letto nulla, tranne i casi di violenza che sono finiti con la morte della vittima… strano, no?
Oggi mentre ero in ufficio mi è arrivata un’email della moglie del mio capo: mi raccontava che una sua carissima amica è in ospedale, dopo essere stata stuprata e pestata da tre uomini, proprio vicino a dove lavoro, nel quartiere bene di Freiburg. La polizia ha proibito a questa donna di raccontare l’accaduto e soprattutto di parlare con la stampa. La prima notizia sulla Badische Zeitung di oggi è: grazie alle politiche verdi del comune le polveri sottili non sono più un problema.
Che cazzo sta succedendo in questa città?
1) Perché gente che ha già commesso reati contro le donne si trova ancora qui? Quando la facciamo una legge sull’espulsione?
2) Perché la politica mette la museruola alla stampa su questo tipo di reati? Forse per non farci incazzare? Ma noi siamo già incazzate…
3) Nemmeno con un presidente donna si riesce ad ottenere una società dove le donne possono vivere in pace. Questo tipo di società, semplicemente, non esiste.
4) Es wird Krieg sein, Alberto: ich weiss nicht wann, ich weiss nicht gegen wen, aber er kommt. 

Un abbraccio
Giulia

Per l’Università

L’Università italiana subisce da alcuni anni un attacco sistematico proveniente sia dalle istituzioni sia dai media.
Il MIUR (Ministero dell’Università, dell’Istruzione e della Ricerca) invece di favorire, finanziare, sostenere gli Atenei italiani, li sta progressivamente privando delle risorse economiche; li sta costringendo a incombenze burocratiche sempre più ramificate e sempre più insensate; sta umiliando in tutti i modi il loro lavoro e la loro funzione.
Stampa e televisioni invece di informare sulle attività, i meriti e i limiti dell’Università, lanciano campagne scandalistiche alle quali non corrisponde spesso la realtà dei fatti, come Roars mostra di continuo con ampia e rigorosa documentazione.
Si crea così una tenaglia che ha lo scopo di ridimensionare, e in prospettiva eliminare, uno dei pochi ambiti della vita sociale ancora istituzionalmente autonomi e culturalmente critici.
L’Università italiana ha naturalmente le sue zone oscure, le sue grandi responsabilità, disfunzioni, complicità, ma i provvedimenti legislativi e la disinformazione sistematica invece di contribuire a fare luce e a migliorarla producono una delegittimazione complessiva che serve soltanto al potere, che priva di risorse la ricerca, che ruba il presente e il futuro ai nostri figli.
Soltanto in questo contesto è stato possibile immaginare un Decreto che invece di sostenere l’intera Università si propone di arruolare 500 professori senza sottoporli alla valutazione delle rispettive comunità scientifiche ma delegando la chiamata alla Presidenza del Consiglio. I membri delle Commissioni nominate direttamente dal governo -formate da sole tre persone per ogni Settore Scientifico- percepiranno ben 160.000 € (Fonte: Il pdf del decreto Natta: compensi fino a 160.000 euro per singola commissione).
Come sempre accade, e contrariamente al fiume di bugie, i soldi ci sono. La questione è come vengono utilizzati. Quello previsto dal Decreto Natta è un uso del tutto politico e non scientifico, che nulla ha a che fare con il merito ma soltanto con il controllo sulla ricerca e con la ‘sistemazione’ degli amici di chi sta al governo
Un breve ma lucido e argomentato testo di Eugenio Mazzarella (Professore ordinario di Filosofia teoretica alla Federico II di Napoli) chiarisce il retroterra, il significato, gli scopi di questa operazione, che sta per fortuna suscitando le critiche e l’opposizione di molti Atenei e Società scientifiche. Mazzarella indica con chiarezza l’assoluta gravità di ciò che sta accadendo. È bene che i cittadini italiani ne siano consapevoli.

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[Versione pdf -quindi più comodamente leggibile- del testo di Mazzarella]

«Le vrai est un moment du faux»

Lui è tornato
(Er Ist Wieder Da)
di David Wnendt
Germania, 2015
Con: Oliver Masucci (Adolf Hitler), Fabion Busch (Fabion Sawatzki), Katja Riemann (Katja Bellini), Christoph Maria Herbst (Christoph Sensenbrink), Franziska Wulf (Vera Krömeier)
Trailer del film

er_ist_wieder_daNel punto di Berlino in cui si trovava il bunker nazionalsocialista ci sono oggi delle abitazioni private. In un loro cortile improvvisamente si sveglia Adolf Hitler. È un po’ malconcio, non sa di essere nel 2014, all’inizio fatica a rendersi conto della realtà in cui è ricomparso. Ma gli bastano poche ore per orientarsi e per capire che le condizioni della società tedesca e dell’Europa sono favorevoli a un suo ritorno. Le televisioni -che naturalmente lo scambiano per un ottimo caratterista- gli danno spazio, voce, megafono. Il Füher comprende che i suoi veri continuatori non sono i teppisti di estrema destra ma tutti coloro che  -da ogni parte politica- creano le condizioni affinché nascano sentimenti di difesa: che siano nazionalisti islamofobi o cosmopoliti dell’accoglienza universale. Ignorare che siamo anche animali territoriali è infatti un grave errore antropologico e politico. Dopo il successo televisivo, il revenant Hitler pubblica un libro che diventa un bestseller, interpreta un film e sfila di nuovo per le strade di Berlino, applaudito dai passanti.
Il carisma -nel senso weberiano- di Hitler fa di questo personaggio morto nel 1945 un ospite inquietante dell’immaginario collettivo. Lo scrittore Timur Vermes ne ha tratto un romanzo che David Wendt trasforma in un film a più strati, nel quale l’ironia si mescola alla sociologia, la fantasia alla tragedia, l’innegabile simpatia che il protagonista suscita si coniuga alla inquietante sincerità delle sue affermazioni. Allora come oggi Hitler non nasconde nulla del proprio progetto politico e per questo attira consensi. «”Lei è un mostro!” – ” Pensa questo? allora dovrebbe condannare tutti coloro che votarono questo mostro, erano tutti mostri? No, era gente comune che decise di votare un uomo fuori dal comune e di affidargli il destino del proprio paese. Lei si è mai chiesto perché il popolo mi segue? Perché in fondo siete tutti come me, abbiamo gli stessi valori’».
Er Ist Wieder Da penetra nel cuore di tenebra della storia contemporanea, nella sua tirannia mediatica, nella miseria che elegge personaggi ben modesti a membri delle attuali classi dirigenti, come coloro che oggi fanno politica intendendo con tale espressione i loro banali interessi finanziari. Il ritornato Hitler ha buon gioco rispetto a tale inadeguata feccia -formidabili gli epiteti con i quali gratifica alcuni attuali capi di governo- e riesce facilmente a incunearsi nella dismisura spettacolare della televisione e del web, che conquista con i suoi sguardi, i silenzi, le parole affilate e il condiviso delirio.
Questo è un film classico nella struttura ma situazionista nelle radici e debordiano nelle intenzioni: «Dans le monde réellement renversé, le vrai est un moment du faux» (La société du spectacle, § 9). Il falso Hitler magistralmente interpretato da Oliver Masucci mostra la verità di una società totalitaria che trasforma ogni istante reale nella falsità della comunicazione contemporanea.
Si ride molto, ci si diverte assai in questo film. E si pensa. Mi è sembrato geniale.

La dittatura liberale

Le democrazie contemporanee sono ridotte alla condizione di oligarchie finanziarie tenute in piedi dalla distribuzione di profitti a ben precise organizzazioni -tramite le strutture dell’economia legale e criminale- e da un apparato mediatico assolutamente ferreo, il quale presenta come universali, giuste e indiscutibili delle discutibilissime e strumentali espressioni ideologiche quali i diritti dell’uomo e il connesso gergo del politicamente corretto. I segnali linguistici di tale tendenza sono assai numerosi. Un esempio molto chiaro è la scomparsa della parola «sfruttati», sostituita da termini quali «esclusi, sfavoriti, ultimi» e soprattutto «discriminati». Mentre lo sfruttamento implica la critica a un ben preciso sistema produttivo e rapporto di produzione, i termini psicologistici e sociologici che lo hanno sostituito rimandano invece a una vaga e quindi innocua forma della morale (si comprende meglio, tra l’altro, quanta ragione avesse Nietzsche nel volere andare al di là del bene e del male).
La natura autoritaria del discorso politico e mediatico costruito su tali fondamenta arriva al suo vertice nella trasformazione dei sistemi elettorali da semplici metodi di amministrazione della volontà degli elettori a strutture ontologiche il cui obiettivo sarebbe una «governabilità» diventata l’altro nome -il nome soft– della dittatura. Ha ragione Marco Tarchi a iniziare una sua lucida analisi (dal significativo titolo I malpensanti) ricordando che «qualunque studente del primo o secondo anno di una Facoltà di Scienze politiche sa che le leggi elettorali sono uno strumento per eccellenza manipolativo. Servono cioè, a seconda della formula che ne è alla base, a distorcere il rapporto fra la volontà degli elettori, espressa attraverso il voto a un candidato e/o a un partito, e l’esito delle loro scelte, ovvero la presenza nelle istituzioni di eletti che corrispondano alle loro opinioni ed aspettative» («Diorama letterario», n. 318, pp. 1-3).
Chi è consapevole che i sistemi elettorali della democrazia rappresentativa costituiscono gli aritmetici e raffinati strumenti del dominio antidemocratico, ha sostanzialmente due alternative: il rifiuto del metodo elettorale (è la tesi della tradizione anarchica) o il voto dato alle formazioni che difendono esplicitamente la democrazia diretta e il controllo sugli eletti, formazioni che il mainstream mediatico liberista stigmatizza con la qualifica di «populisti». Una parola, quest’ultima, dal significato semplicemente descrittivo -analoga a termini quali «conservatori, socialisti, liberali, anarchici, comunisti»- e che invece ha assunto connotati valutativi e addirittura spregiativi. Il populismo viene definito antipolitico mentre è evidente che si tratta di una opzione politica come le altre e anzi volta a restituire significato ai diritti del demos ponendosi contro lo strapotere delle strutture amministrative e di governo, tese soltanto a blindare il potere di cerchie ristrette e tendenti all’autoperpetuazione dei privilegi acquisiti in decenni di espropriazione della democrazia dal basso.
La tendenza a criminalizzare le posizioni politiche distanti dagli assetti di governo attualmente imperanti in Europa si fa sempre più pericolosa poiché tocca il cuore stesso della libertà, che è il diritto di parola, di critica, di distanza dalle idee dominanti. Può sembrare un ossimoro e invece è la descrizione forse più adeguata degli eventi: quella in cui viviamo è e va sempre più diventando una dittatura liberale.

[Photo by Randy Colas on Unsplash]

La società dello Spettacolo

La Société du Spectacle (1967)
Commentaires sur la société du spectacle (1988)
di Guy Debord
Gallimard, Paris 1992
Pagine 209 e 149

Lo spettacolo è il dominio della rappresentazione sulla realtà, la confusione costante dei due livelli sino alla loro totale compenetrazione, che cancella i limiti del sé e del mondo, dell’effettuale e dell’immaginato: «la réalité surgit dans le spectacle, et le spectacle est réel. Cette aliénation réciproque est l’essence et le soutien de la société existante» (La Société du Spectacle, aforisma 8, pagina 19).
Lo spettacolare concentré e lo spettacolare diffus -che nel 1967 Debord ancora distingue- nei successivi Commentaires del 1988 saranno unificati nello spettacolare intégré. Tra tutte le forme dello spettacolo contemporaneo è soprattutto la televisione a costituire l’ininterrotto discorso che la folla solitaria e i suoi padroni intrattengono su se stessi, il dominante specchio autoelogiativo di un sociale divenuto autistico e totalitario. Un’immensa allucinazione collettiva sembra fare del mezzo televisivo il suo stesso scopo. Tale spettacolo

est le soleil qui ne se couche jamais sur l’empire de la passivité moderne. Il recouvre toute la surface du monde et baigne indéfinitement dans sa propre gloire (af. 13, p. 21).

Soltanto ciò che appare in televisione esiste veramente, il monopolio dell’apparire è diventato il monopolio dell’essere e del valore fino al punto che non apparire equivale a non esserci. Un mondo sempre più virtuale sembra mostrare evidenti le tracce del profondo nichilismo che lo attraversa: «le spectacle est le mauvaise rêve de la société moderne enchaîné, qui n’exprime finalement que son désir de dormir» (af. 21, pp. 24-25).
Quali le cause della vittoria televisiva? Debord tenta una sia pur sintetica storia del mondo (nel capitolo V: temps et histoire) ma certo non mira a cogliere tutte le radici del fenomeno. Si limita a individuarne due: da un lato la centralità del vedere unita al dominio della tecnica che caratterizza fin dai Greci il progetto filosofico europeo; dall’altro il dispiegarsi vittorioso del Capitale. Lo spettacolo nella sua essenza altro non sarebbe che «le capital à un tel degré d’accumulation qu’il devient image» (af. 34, p. 32).

È molto interessante seguire il percorso di Debord dall’opera del 1967 ai Commentari di vent’anni dopo passando per l’edizione italiana del ’79. In quest’ultima, infatti, le speranze rivoluzionarie e la fiducia nel proletariato “non stalinista” sono intatte, anche se mai Debord confonde la distruzione del presente con la sicura felicità del domani. I successivi Commentaires, invece, dichiarano fin dall’inizio di non voler giudicare né indicare ma soltanto descrivere e si chiudono con un’ambigua dichiarazione di resa affidata a una pagina di dizionario aperta alla voce vainement (“vanamente”): «le travailleur a perdu son temps et sa peine, sans préjuger aucunement la valeur de son travail, qui peut d’ailleurs être fort bon» (cap. XXXIII, p. 118).
Nel mezzo, si dispiega una compiuta descrizione di alcuni degli sviluppi più nascosti della società contemporanea. I temi, gli eventi, le connessioni toccate da Debord sono eccentrici e proprio per questo verosimili. Tucidide e Clausewitz servono a spiegare i servizi segreti, Gracián e La Boétie aiutano a cogliere i nuovi servilismi, mafie e terrorismi vengono inseriti –come è giusto- nel cuore dell’economia e della politica attuali. Aldo Moro e le Brigate Rosse ritornano con frequenza come prova della solidarietà e reversibilità che intercorre fra i servizi segreti e i rivoluzionari. Il «terrorisme illogique et aveugle» (Préface, p. 138) delle BR è l’emanazione della P2 chiamata da Debord Potere Due, in grado di assicurare impunità ai terroristi e la cui concordia è svelata da un lapsus: il S.I.M., il preteso “stato imperialista delle multinazionali” non sarebbe altro che il modo con cui le BR firmavano senza volerlo la loro vera natura di succedanee del Servizio Informazioni Militari del regime fascista (Ivi, p. 135). Non a caso, inoltre, le operazioni delle BR ottenevano il massimo di pubblicità da parte dei media, a suggello della «politique “spectaculaire” du terrorisme» (Ivi, p. 142). Terrorismo che nulla avrebbe quindi in comune con gli intenti sovvertitori della Internazionale Situazionista, della quale La Société du Spectacle volle essere il fondamento filosofico e critico. Ma, a proposito di lapsus, la Situationist International ha la stessa sigla dello SI, lo Spectaculaire Intégré, il quale s’impone ormai ovunque, perfettamente coeso con ogni forma di discorso pubblico, struttura istituzionale, modo di produzione. Esso si caratterizza per l’effetto combinato di

cinq traits principaux, qui sont: le renouvellement technologique incessant; la fusion économique-étatique; le secret généralisé; le faux sans réplique; un présent perpétuel (cap. V, p. 25).

Attraverso di essi l’arte di governo muta radicalmente, il dominio diventa assai più soft: «le destin du spectacle n’est certainement pas de finir en dispotisme éclairé» (cap. XXXII, p. 116). Non la violenza aperta è infatti lo strumento dello Spectaculaire Intégré ma una pervasiva disinformazione la quale «réside dans toute l’information existante; et comme son caractére principal» (cap. XVI, p. 69). La conseguenza è che tutti gli addetti all’informazione hanno sempre un padrone, sono tranquillamente sostituibili e meglio servono quanto meglio mentono. Ciò che conta è infatti rimuovere la storia, la memoria, la distanza poiché «l’histoire était la mesure d’une nouveauté véritable; et qui vend la nouveauté a tout intérêt à faire disparaître le moyen de la mesurer» (cap. VI, p. 30).
All’inizio dei Commentaires, Debord dichiara che non tutto potrà essere detto e bisogna scoprire il segreto fra le pieghe delle parole. Il caso forse più importante di applicazione di questa reticenza è il Sessantotto. Nonostante le sue esplicite intenzioni, esso non ha minimamente scalfito lo Spectaculaire Intégré che anzi ha continuato ovunque a rafforzarsi.

Già nel 1967, Debord aveva compreso e scritto che

À l’acceptation béate de ce qui existe peut aussi se joindre comme une même chose la révolte purement spectaculaire: ceci traduit ce simple fait que l’insatisfaction elle-même est devenue une marchandise dès que l’abondance économique s’est trouvée capable d’étendre sa production jusqu’au traitement d’une telle matière première (La Société du Spectacle, af. 59, p. 55).

E tuttavia secondo Debord dopo il Sessantotto nulla è davvero come prima poiché con esso la società ha perso la sua innocenza. L’ambiguità diventa enigma e persino mistero nel seguente giudizio:

Rien, depuis vingt ans, n’a été recouvert de tant de mensonges commandés que l’histoire de mai 1968. D’utiles leçons ont pourtant été tirées de quelques études démystifiées sur ces journées et leurs origines; mais c’est le secret de l’État (Commentaires, cap. VI, p. 28).

Tra i segreti dello Stato, il più palese è ormai la sua natura spettacolare, che in Italia si mostra in modo persino clamoroso. Le masse inebetite fanno della servitù la loro stessa vita, credendosi libere di scegliere quale spot politico-pubblicitario vedere. L’imbonitore che vende il nulla è diventato non più figura ma sostanza stessa del potere.

[I due testi sono stati tradotti e pubblicati in italiano con il titolo La società dello spettacolo, Baldini e Castoldi, Milano 2008]

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