Πέρας, limite, è una parola fondamentale del vocabolario greco, vale a dire della vita dei Greci. Mηδὲν ἄγαν, nulla di troppo, non è un invito ad accontentarsi, a rassegnarsi, a patire ma è al contrario un’esortazione a cogliere la vita nella sua struttura complessa, ricca, a volte malinconica e altre spumeggiante, senza però -ecco il limite- pensare di imporre agli enti, agli eventi e ai processi la volontà umana, senza illudersi che tutto sia realizzabile, senza nascondersi che nella φύσις, nell’intero, esistono dei bastioni fisici e ontologici oltre i quali a nessuno è possibile andare.
La modernità nata dal volontarismo monoteistico è fatta invece di puro artificio, del sogno/incubo di una parte, la parte umana, che trasforma l’Intero sino a modificarne i fondamenti, immaginando persino di sconfiggere la morte. È la logica del funesto demiurgo contro cui gli gnostici hanno sempre pensato, scritto, operato. Il limite è quindi un tratto gnostico che induce non a rifare la realtà da zero -come fosse una tabula rasa– ma a rispettare l’immensa potenza che ci precede, la materia, anche se gli gnostici, ovviamente, non la chiamavano così ma la definivano pienezza, luce, Πλήρωμα. Vivere secondo natura significa anche «porsi il problema di come non ferire la trama della vita, di come ridurre nel migliore dei modi l’impatto dovuto ai nostri bisogni e consumi. Se c’è qualcosa che la natura indica perentoriamente, è il limite» (Eduardo Zarelli, Diorama Letterario n. 364, p. 39).
Il totalitarismo contemporaneo, che si manifesta e agisce in molte e diverse maniere, è invece «l’essenza del sistema mondo-mercantile, alle cui leggi economiche e alla cui ‘metafisica’ finanziaria siamo sottoposti nell’intero pianeta. Il totalitarismo è una riduzione all’identico e si realizza nell’omogeneizzazione culturale espressa dai mezzi di comunicazione di massa e dalla mercificazione consumistica dell’esistenza» (Ibidem).
La cosiddetta ‘politica’ è ridotta a fungere da servitore e maggiordomo di queste potenze. Tre soli esempi che sembrano diversi e persino lontani e che invece a guardar bene sono convergenti nell’obiettivo di distrarre i cittadini attraverso gli strumenti dell’informazione spettacolare.
Il primo: Giuseppe Conte, un avvocato arrivato non si sa come alla presidenza del consiglio dei ministri in Italia; confinatore dei cittadini nelle case e loro consolazione serale in televisione; scalzato da vecchie volpi come Matteo Renzi e Mario Draghi e diventato il «curatore fallimentare che cerca di trovare dei buoni acquirenti di quel che è rimasto di un movimento che aveva scosso alle radici il sistema politico italiano e illuso parecchi milioni di elettori», di un movimento politico ora defunto, diventato stampella del Partito Democratico (Marco Tarchi, ivi, p. 34).
Il secondo: Matteo Salvini, un interessante caso degli effetti che la tracotanza, la perdita appunto del limite, può produrre. Convinto di poter arraffare tutto il banco, costui spinse il Movimento 5 Stelle nella bara del PD; azione che da quel momento ha segnato il declino suo e della Lega. Giustamente Tarchi scrive che Salvini «dall’agosto 2019 ha effettuato una serie di mosse difficilmente comprensibili alla luce della razionalità politica» (35).
Il terzo: Greta Thunberg. Con questo personaggio si entra pienamente nella Société du Spectacle. Il ritratto che ne fa Archimede Callaioli è duro ma realistico.
«Un’accozzaglia di slogans ad un livello perfino più basso di un comizio elettorale americano, una rabbia insulsa e di maniera nel pronunciarli, il precipitato del più vacuo movimentismo degli ultimi vent’anni incastonato nel vuoto pneumatico dell’assenza di qualunque proposta concreta, di qualsiasi preciso obiettivo da raggiungere; il sublimato del ‘bla bla bla’. […] Cosa vuole Greta? La fine dell’inquinamento. Come vuole ottenerla? Subito: ‘Domani è troppo tardi’, ‘Non c’è un pianeta B’. Il problema è che ‘subito’ è un ‘quando’, non è un ‘come’ o un ‘cosa’. […] Lei non è una radicale, è un fumetto che vive in una realtà fatta di chiacchiere e distintivo, una ‘realtà aumentata’, come dicono oggi i nativi digitali, dove ciò che è reale è ologramma e ciò che è ologramma è reale. Dietro questa pagliacciata c’è però un problema vero, quello di un modello di sviluppo che non è più sostenibile, e che va sostituito con un modello diverso, che non sia predatorio nei confronti del pianeta» (Ivi, p. 40).
E torniamo così al limite, che per le pratiche e la forma mentis capitalistiche non esiste. Un modello di sviluppo economico indefinito e astratto, impossibile e velleitario. La crescita senza limiti della popolazione umana; la crescita dello sfruttamento delle risorse del pianeta; la crescita della sottomissione di tutte le vite animali a un animale solo; la crescita dell’irrazionale convinzione di poter estrarre energia infinita da un pianeta finito; tutto questo è ὕβρις, ed è quindi destinato a fallire.
Un’affermazione di Ivan Illich sintetizza e disvela la dismisura contemporanea:
«I popoli primitivi hanno sempre riconosciuto la potenza della dimensione simbolica: hanno avvertito come una minaccia il tremendo, il terrificante, il misterioso. Questa dimensione poneva limiti non soltanto al potere del re e del mago, ma anche a quello dell’artigiano e del tecnico. Secondo Malinowski, solo la società industriale ha consentito che gli strumenti disponibili venissero utilizzati al massimo della loro efficienza; in tutte le altre società, una base fondamentale dell’etica era il riconoscimento di limiti sacri all’uso della spada e dell’aratro. Ora, dopo parecchie generazioni di tecnologia sfrenata, la finitezza della natura torna a turbare la nostra coscienza. […] La fabbricazione di un’ecoreligione sarebbe la caricatura dell’antica hubris»
(Nemesi medica. L’espropriazione della salute [Limits to medicine-Medical Nemesis: the expropriation of health, 1976], trad. di D. Barbone, Red!, 2021, p. 278).
Matteo Renzi esce dal Partito Democratico e si accinge a formare nuovi gruppi parlamentari, del tutto fedeli alla sua linea e ai suoi voleri. Anche un Machiavelli bambino (come ho scritto) avrebbe compreso questo gioco. Ora il Governo Conte 2 e il Movimento 5 Stelle saranno sotto costante ricatto, in mano ai parlamentari del nuovo partito renziano e ai suoi interessi nella magistratura e nelle banche.
Il Movimento 5 Stelle merita questa fine, vista l’insipienza politica che ha dimostrato. Per quanto riguarda gli uccellini di Twitter e della Rete, sono stati (e sono) tutti a starnazzare intorno allo spaventapasseri Salvini mentre il padrone del campo faceva e fa il suo lavoro.
L’ingenuità, non l’immaginazione, al potere.
In politica -ma non soltanto, ovviamente- accadono a volte degli eventi bizzarri. Uno è il recente successo elettorale della Lega Nord in un paesino etneo, Maletto. Su questo singolare episodio la Dott.ssa Nunzia Sanfilippo, che di Maletto è originaria, ha formulato la persuasiva analisi che ospito molto volentieri.
Lo chiamano “feudo di Salvini” il piccolo paese alle pendici dell’Etna che, tutto ad un tratto, una mattina di maggio, si è svegliato leghista. Oltre 500 preferenze per il candidato del luogo con il partito di Matteo Salvini. È bene premettere che questa riflessione non intende esprimere alcuna valutazione sull’operato e sulla persona del candidato, piuttosto vuole essere un’analisi avalutativa sulle insolite vicende di Maletto.
“Abbiamo votato il nostro compaesano”, queste le parole che venivano continuamente ripetute dalla gente del posto, quasi fosse un mantra, o forse una giustificazione dinanzi al “no sense” della situazione. Perché l’episodio, dalla Sicilia alla Lombardia, è stato interpretato come un grande “ossimoro elettorale”.
Ha spiazzato proprio tutti, anche quei media che ostinatamente hanno cercato di veicolare un messaggio che affonda le sue radici nella menzogna: perché Maletto non è un paese leghista. I giornalisti questa volta si sono proprio divertiti, effettivamente la vicenda aveva qualcosa di teatrale. Dopo anni e anni di cori da stadio che intonavano il motivetto “Forza Etna” ecco che il paesello, situato proprio alle pendici del demone invocato dai leghisti, improvvisamente si scopre verde, come il cocktail offerto a Salvini in occasione della sua visita a Maletto.
C’è del comico in tutto questo, ma ancor di più dell’umorismo, quel sentimento del contrario che nasce da una considerazione meno superficiale del fatto. «Quello che inizialmente ci faceva ridere adesso ci farà tutt’al più sorridere». Quel “terun” di Pirandello aveva proprio ragione!
La motivazione che ha spinto i cittadini malettesi a votare il Carroccio non è stata di certo la condivisione del programma alle elezioni europee né quella delle idee prettamente leghiste, ma la semplicistica logica del “si vota u paisanu”. Constatazione che, nella sua sconcertante ovvietà, trova la sua giustificazione. Ovvietà che ha ferito quei pochi che all’indomani delle votazioni hanno dovuto spiegare alla gente che non vivevano in provincia di Bergamo e che non avrebbero portato il foulard verde al collo.
Il 32,6% dei voti dati alla Lega è una cifra che comunica altro. Un paese che si sveglia leghista è un paese completamente sfiduciato, che ha rinunciato al valore “regolativo” delle idee e si aggrappa alla logica del “votiamo chi conosciamo”.
Questo è il risultato della confusione ideologica e politica che domina nelle società, della mancanza di punti di riferimento credibili. L’elettore, per uscire dalla marginalità politica, senza alcun criterio preferisce votare una persona a lui vicina, su cui contare e contro la quale puntare il dito. Non importa cosa propone il partito, le idee su cui poggia. Tutti i partiti cadono nell’indifferenziato calderone dello scetticismo. Il venir meno del riferimento ideologico, non inteso in maniera dogmatica ma come forma di convinzione ideale sul mondo reale, come idea che guida la società, ha portato a una mancanza di stabilità, a un volgare “attivismo politico”. Non esistono più obiettivi e direzioni chiare, si dichiara e si ritratta allo stesso tempo, si agisce senza studiare, il tempo della politica è diventato un eterno “presente spettacolare”, non c’è più memoria, non c’è più progetto.
La bramata visibilità e la spettacolarizzazione delle vicende di un paesino diventano quindi gli obiettivi da raggiungere per una comunità. Alle numerose critiche che giungevano dai paesi limitrofi la gente rispondeva: “Almeno adesso siamo conosciuti in Italia”, “Adesso avremo un motivo in più per essere ricordati”.