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Mater

Piccolo Teatro Studio – Milano
Stabat Mater
Oratorio per voce sola
di Antonio Tarantino
con Maria Paiato
scene Alessandro Chiti
musiche originali Paolo Coletta
regia Giuseppe Marini
Sino al 18 febbraio 2018

Maria Croce è corpoutero, è madre dolorosa, è linguaggio triviale, è anima pura ed è invocazione oscena.
Maria batte le strade di Torino, ha avuto un figlio dal siciliano Giovanni che non lo ha voluto riconoscere. Maria cresce «questo Cristo di figlio» con Simmenthal e Nutella. Lotta con insegnanti e assistenti sociali. Viene aiutata da don Aldo che le raccomanda di proibire al ragazzo giornaletti pornografici. Scopre che «quel testone» legge opuscoli politici in compagnia della fidanzata Maddalena, entra in una banda armata, viene arrestato per terrorismo dal commissario Ponzio, muore in carcere sotto le cure del giudice Carrafa.
Trasparente figura cristologica, dentro questa Madre gorgoglia la potenza della carne; esplode il dolore d’esser vivi; tumultua una lingua popolare sino al turpiloquio e alta nella poesia, nel pianto, nell’ira, nell’ironia, nella distorsione lessicale, nella compassione e nella ferita.
Un testo estremo, politicamente scorretto nei suoi accenti sarcastici verso «marrocchini, cupi ed ebrei», colmo di pietà verso la fatica di coloro che nulla possiedono se non la volontà di sopravvivere, commovente nel dolore mostrato a ogni suono, parola, movimento del corpo e piega dello sguardo.
La scena è una semplice e raffinata pedana a forma di cerchio, che Maria rende prigione e cosmo della propria fatica. Nessun elemento realistico o sociologico, per fortuna, nessun ambiente sottoproletario. L’ambiente è la parola, è il corpo dell’attrice, di una Maria Paiato che diventa ed è Maria Croce.
La sua saggezza arcaica e plebea le fa dire che per gente come lei, per il popolo, l’intelligenza risulta forma della dannazione e non dono che redime.
Dannati i poveri in spirito, perché di essi è lo strazio delle strade
Dannati gli afflitti, perché piangeranno invano
Dannati i miti, perché saranno surclassati
Dannati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché rimarranno inappagati
Dannati i misericordiosi, perché non troveranno pietà in alcuno
Dannati i puri di cuore, perché nulla capiranno
Dannati gli operatori di pace, perché saranno sbeffeggiati
Dannati i perseguitati per causa della giustizia, perché non è di questo mondo.

Medea

di Seneca
Piccolo Teatro Grassi – Milano
Traduzione e adattamento di Francesca Manieri
Con: Maria Paiato, Max Malatesta, Orlando Cinque, Giulia Galiani, Diego Sepe
Regia di Pierpaolo Sepe
Sino al 3 novembre 2013

Come un gorgoglio immane della Terra, il rancore la vendetta e l’odio di Medea si scatenano tra le mura di Corinto. La straniera che ha permesso a Giasone di non solcare vanamente il mare, agli Argonauti di raggiungere il vello d’oro, all’umano di aprire lo spazio nuovo delle acque, ora è disprezzata, temuta, radiata. Deve andare via perché Giasone ha una nuova moglie, la figlia di Creonte, re della città. Ma Medea non è nata per subire. Dopo aver donato agli umani le acque, regala loro il fuoco che distrugge Corinto. E a Giasone offre i corpi senza vita dei loro due figli. La passione umana per il possesso totale dell’Altro ha in Medea una delle sue più terribili figure.
Il corpomente di Maria Paiato diventa una Medea terrificante, tenera, disperata, tenace. Diventa parte di una rete simbolica che trasforma la tragedia di Seneca in un testo politico. Al centro della scena c’è infatti un grande e scolorito simbolo degli United States of America; Creonte, Giasone, il coro sono vestiti al modo dei cow-boys; Creusa/Glauce si fa più volte il segno della croce; Medea in certi momenti si copre il viso con un velo. La metafora mi è parsa dunque evidente: la donna straniera e barbara è il mondo islamico irretito e poi ripudiato dall’Occidente, un mondo che si vendica con il terrore.
Una lettura inconsueta e certo forse troppo attualizzante ma che ha il merito di non indulgere in intimismi psicologici che con il mito nulla hanno a che vedere. E che dà alla potente interpretazione della protagonista l’inesorabilità degli eventi che nessuno vuole ma che debbono accadere.

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