Il caso Collini
(Der Fall Collini)
di Marco Kreuzpaintner
Germania, 2019
Con: Elyas M’Barek (Caspar Leinen), Franco Nero (Fabrizio Collini), Alexandra Maria Lara (Johanna Meyer), Manfred Zapatka (Hans Meyer), Sandro Di Stefano (II) (Claudio Lucchesi)
Trailer del film
Un anziano magnate dell’industria tedesca, Hans Meyer, viene ucciso a sangue freddo e con violenza in un albergo di Berlino. L’assassino si fa arrestare senza opporre alcuna resistenza. È un uomo di origine italiana che si chiude in un mutismo ostinato e completo. Gli viene assegnato un giovane avvocato d’ufficio che è stato amico della vittima e della sua famiglia. Anche se titubante, l’avvocato Caspar Leinen accetta l’incarico e ha come controparte quello che in Italia si definirebbe «un principe del Foro», che è stato anche suo professore. E tuttavia la determinazione e l’intelligenza dell’avvocato Leinen conducono alla scoperta e alla messa in pubblico di una parte della vita di Meyer che era stata accuratamente nascosta. A Fabrizio Collini, l’assassino, basta questo per riscattare la morte di suo padre, vittima senza ragione di una rappresaglia delle SS nel 1944 in Toscana, ordinata ed eseguita dall’allora SS Meyer.
Mῆνις – il rancore, la vendetta, l’ira – non va infatti mai in prescrizione.
Come viene difesa la memoria di Hans Meyer dal suo avvocato, dalla nipote, persino dalla legge? In che modo viene giustificata la fucilazione di venti civili come rappresaglia per la morte di due soldati tedeschi? Con la formula: «Ha eseguito gli ordini». La stessa formula di tanti ufficiali delle SS, la stessa formula di Adolf Eichmann, la stessa formula dei burocrati che ovunque e sempre si fanno portatori «innocenti e neutri» di ingiustizia.
Allo stesso modo, infatti, si giustificano in questo nostro tempo i tanti burocrati che «obbedendo» alle norme sull’epidemia hanno privato altri cittadini del posto di lavoro, dello stipendio, dell’integrità sociale; allo stesso modo si giustificano i tanti funzionari che hanno firmato dei vergognosi decreti di sospensione. La differenza con i burocrati nazionalsocialisti è quantitativa, è di grado, non è di sostanza. È facile infatti intuire che in altre circostanze i nostri contemporanei si sarebbero comportati allo stesso modo, da buoni funzionari, obbedendo sempre alla legge.
Ma la formula universale «è la legge che lo stabilisce» non legittima l’iniquità della legge e di chi a essa obbedisce, facendosene complice, assumendosi responsabilità molto gravi. Come, appunto, Eichmann, Meyer e tanti altri «esecutori» del passato e del presente.