Lunedì 30 maggio 2022 alle 16,00 nel Centro Studi di via Plebiscito 9 a Catania terremo il terzo e ultimo incontro del ciclo dedicato a Manzoni contemporaneo. Ciclo che è stato organizzato dall’Associazione Studenti di Filosofia Unict (ASFU).
Dopo I Promessi Sposi e la Storia della colonna infame analizzeremo la prospettiva intimamente tragica con la quale Alessandro Manzoni pensa e descrive il mondo, gli «intricati avvolgimenti di menzogna» che lo intessono (Il Conte di Carmagnola, Atto IV, vv. 396-397), il fatto che «nelle cose umane» mai si possa trovare qualcosa che si avvicini all’«assoluta giustizia» (Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia) e soprattutto che nelle relazioni individuali e collettive alla fine «non resta / che far torto, o patirlo» (Adelchi, Atto V, scena VIII, vv. 353-354).
Per uno che si dice credesse alla Provvidenza, si tratta di affermazioni molto significative. O forse la Provvidenza di cui parla Manzoni è qualcos’altro.
Giovedì 7 aprile 2022 alle 16,00 nel Centro Studi di via Plebiscito 9 a Catania l’Associazione Studenti di Filosofia Unict (ASFU) organizza il secondo incontro del ciclo dedicato a Manzoni contemporaneo. Nel primo avevamo parlato dei Promessi Sposi («Così va spesso il mondo…»); nel prossimo analizzeremo quello che da capitolo di Fermo e Lucia divenne poi un testo autonomo, che Manzoni volle porre come Appendice al romanzo, un testo tragico e disvelatore, la Storia della colonna infame.
Il libro comincia in questo modo:
«Ai giudici che, in Milano, nel 1630, condannarono a supplizi atrocissimi alcuni accusati d’aver propagata la peste con certi ritrovati sciocchi non men che orribili, parve d’aver fatto una cosa talmente degna di memoria, che, nella sentenza medesima, dopo aver decretata, in aggiunta de’ supplizi, la demolizion della casa d’uno di quegli sventurati, decretaron di più, che in quello spazio s’innalzasse una colonna, la quale dovesse chiamarsi infame, con un’iscrizione che tramandasse ai posteri la notizia dell’attentato e della pena. E in ciò non s’ingannarono: quel giudizio fu veramente memorabile».
Dopo Proust (2018), Dürrenmatt (2019), Gadda (2020), Céline (2021), avrò il piacere di dialogare su uno scrittore che leggo e amo sin da bambino, Alessandro Manzoni.
L’Associazione Studenti di Filosofia Unict dedica infatti quest’anno un ciclo a Manzoni contemporaneo. La sede è il Centro Studi di via Plebiscito 9, a Catania. Il primo appuntamento è per lunedì 21 marzo 2022 alle 16.
Parleremo di un romanzo che narra la vicenda umana come un susseguirsi di «legali, orribili, non interrotte carnificine» (cap. 32); descrive la logica profonda del potere, la corruzione capillare dei funzionari, dei sindaci, degli avvocati, la continuità e la collaborazione tra l’autorità legale e quella illegale; racconta la «svisceratezza servile» da parte della “gente comune” (cap. 22) che è una delle ragioni più profonde del dominio arbitrario, della tirannide, del conformismo.
E su tutto il vero motore del testo: quel prete con il quale l’opera si apre e si chiude; l’anima nera il cui orizzonte è limitato al proprio infimo ego in mondo pervicace, irredimibile, assoluto: Don Abbondio, così vile e dunque così cattivo perché così intellettualmente ottuso, così ferocemente legato a qualcosa che Carlo Emilio Gadda -lettore e ammiratore di Manzoni- definisce «l’io minchia».
E le guerre, le epidemie, gli innamoramenti, un’ironia disincantata, insieme calorosa e distante.
Insomma, Manzoni.
[Ho rilasciato un’intervista alla radio di Ateneo –Radio Zammù– a cura di Gloria Vincenti. La registrazione audio dura 8 minuti e la si può ascoltare sul sito della radio:
La “storia” raccontata da Manzoni rivive nel XXI secolo.]
Piccolo Teatro Strehler – Milano
La notte dell’Innominato
da Alessandro Manzoni
Regia e adattamento Daniele Salvo
Con: Eros Pagni (L’Innominato), Gianluigi Fogacci, Valentina Violo, Simone Ciampi
Produzione Centro Teatrale Bresciano e Teatro de Gli Incamminati
Sino al 31 ottobre 2021
La notte è il luogo della pace ma anche dell’angoscia, dei tormenti che da nulla possono essere attutiti, risolti, ribaltati. L’intero peso della vita a volte si raggruma nell’insonnia, nelle ragioni disperate e violente che impediscono al corpomente di placare la propria fame di dolori. Onde su onde allora rendono il tempo un istante che non finisce più e al quale l’albeggiare sembra offrire solo i segni lividi della morte che si è stati, della morte che si è desiderato essere. Questo può accadere anche a un uomo spietato, sicuro sino alla tracotanza, portatore di morte e di dolore per tanti. Ma Francesco Bernardino Visconti (1579-1647) non sentiva più soddisfazione nel crimine e anzi «già da qualche tempo cominciava a provare, se non un rimorso, una cert’uggia delle sue scelleratezze» (I Promessi Sposi, a cura di Giovanni Getto, Sansoni Editore, Firenze 1985, cap. XX, p. 475).
E allora bastò -nella finzione del romanzo- che davanti a quest’uomo di malaffare piangesse una donnetta per ridurlo all’angoscia più insostenibile. «Cos’è stato? che diavolo m’è venuto addosso? che c’è di nuovo? Non lo sapevo io prima d’ora, che le donne strillano? Strillano anche gli uomini alle volte, quando non si possono rivoltare. Che diavolo! non ho mai sentito belar donne?» (Ivi, cap. XXI, pp. 502-503), dice nella notte a se stesso rimproverando nella notte se stesso, cercando a tentoni nel buio l’uomo che è stato e che ora non è più. A ogni modo pur di scrollare da sé quel tormento, è pronto a liberare la ragazza. Lo farà. Subito, al mattino. Ma «poi? che farò domani, il resto della giornata? che farò doman l’altro? che farò dopo doman l’altro? E la notte? la notte, che tornerà tra dodici ore! Oh la notte! no, no, la notte!» (Ivi, cap. XXI, p. 506).
Questo il nucleo di una messa in scena fedele al testo del romanzo e capace di rinnovarne la lettura tramite dipinti che diventan vivi -Bosch, Antonello e altri-; mediante il trasformarsi dei terrori interiori dell’Innominato in figure orribili e potenti; attraverso quella tonalità gotica che costituisce uno dei segreti dei Promessi Sposi.
È in questa notte che Manzoni ha toccato uno dei vertici della sua arte: il tempo, la noia, il vuoto, l’essere per la morte. Sì, gli esistenziali di Essere e tempo: «Ricaduto nel vòto penoso dell’avvenire, cercava indarno un impiego del tempo, una maniera di passare i giorni, le notti» (Ibidem). Quest’ultima frase non vale soltanto per un criminale incallito, per un delinquente diventato vecchio, per un personaggio di romanzo, per una psiche ormai consunta. Questa frase suona per noi, vale per tutti; è vera per l’umano fatto di tempo, divenire, attesa; costituito di «gewesen-gegenwärtigende Zukunft», ‘avvenire essente-stato-presentante’ (Sein und Zeit, §§ 7C e 65).
Quando il tempo diventa il nemico e l’andare delle ore si trasforma nell’insostenibile itinerario dell’assurdo, vuol dire che intorno a noi si addensano le allucinazioni delle quali questo spettacolo è cosparso: nere come la notte, lugubri come il terrore, impersonali come il vuoto. Larve che scandiscono il fallimento dell’esistere e trasformano i corpi nel battere irrefrenabile dei denti, della febbre, di un’alba che è ancora notte.
La grandezza di Manzoni sta anche nel disvelamento della psiche umana ma abita soprattutto nella piena consapevolezza gnostica del male. L’Innominato è questa psicologia, è questa conoscenza. Certo, poi tale consapevolezza si dissolve nella gloria edificante della provvidenza incarnata dal cardinale Borromeo. Ma a quel punto interviene un bisogno di superficiale redenzione morale. La sostanza profonda sta nelle altre poche pagine dalle quali l’assurdo dell’esserci, di ciò che si è fatto, del vuoto che si farà, emerge come un mostro indicibile dal lago del tempo.
«Un qualche demonio ha costei dalla sua, – pensava poi, rimasto solo, ritto, con le braccia incrociate sul petto, e con lo sguardo immobile sur una parte del pavimento, dove il raggio della luna, entrando da una finestra alta, disegnava un quadrato di luce pallida, tagliata a scacchi dalle grosse inferriate, e intagliata più minutamente dai piccoli compartimenti delle vetriate. – Un qualche demonio, o… un qualche angelo che la protegge… Compassione al Nibbio!… Domattina, domattina di buon’ora, fuor di qui costei; al suo destino, e non se ne parli più, e, – proseguiva tra sé, con quell’animo con cui si comanda a un ragazzo indocile, sapendo che non ubbidirà, – e non ci si pensi più. Quell’animale di don Rodrigo non mi venga a romper la testa con ringraziamenti; che… non voglio più sentir parlar di costei. L’ho servito perché… perché ho promesso: e ho promesso perché… è il mio destino» (ivi, cap. XXI, p. 496).
Il destino, appunto, il demone che esso è per l’umano. Ἀνάγκη, l’inevitabile. Sino a che la morte verrà a offrire a questo grumo di passioni la grazia. E allora la notte sarà solo pace.
Nell’anno accademico 2021-2022 insegnerò Filosofia teoretica, Epistemologia e Filosofia delle menti artificiali. Pubblico i programmi che svolgerò, inserendo i link al sito del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania per tutte le altre (importanti) informazioni relative ai miei corsi.
I link che compaiono qui sotto nei titoli dei libri in programma portano a presentazioni e recensioni dei testi o, nel caso dei saggi in rivista, ai pdf dei testi stessi.
___________________________________________________
Filosofia teoretica
TEOLOGIE GNOSTICHE
–Testo del Simbolo niceno-costantinopolitano (edizione a scelta, anche digitale)
–Testi gnostici in lingua greca e latina (a cura di Manlio Simonetti, Valla-Mondadori 2009)
-Emil Cioran, Il funesto demiurgo (Adelphi 1986)
-David Benatar, Meglio non essere mai nati (Carbonio Editore 2018)
-Alberto G. Biuso, Platone a Colmar. Una lettura gnostica de L’essenza della verità di Heidegger in «InCircolo Rivista di filosofia e culture», Numero 4 – Dicembre 2017, Pagine 111-129
___________________________________________________
Epistemologia
REALISMO ONTOLOGICO E MECCANICA QUANTISTICA
-John Losee, Filosofia della scienza. Un’introduzione (Il Saggiatore 2016)
-Lee Smolin, La rivoluzione incompiuta di Einstein. La ricerca di ciò che c’è al di là dei quanti (Einaudi 2020)
-Alberto G. Biuso, Tempo e materia. Una metafisica (Olschki 2020)
___________________________________________________
Filosofia delle menti artificiali
IL DIGITALE, LE EPIDEMIE E I CORPI COLLETTIVI
-Naief Yehya, Homo cyborg (Elèuthera, nuova edizione 2017)
-Kazuo Ishiguro, Klara e il Sole (Einaudi 2021)
-Aa. Vv., Krisis. Corpi, Confino e Conflitto (Catartica Edizioni 2020)
-Aa. Vv., Divagazioni filosofiche ai tempi del Coronavirus (Corisco Edizioni 2020, edizione digitale gratuita); i saggi di P. Perconti, A.G. Biuso, M. Carapezza, V. Cardella, M. Graziano, R. Manzotti, A. Pennisi-D. Chiricò (§§ 1-3), A. Schiavello, C. Scianna
-Aa. Vv., Koiné 2020. Tempi Covid moderni; i saggi di A. Dignös, F. Mazzoli, A.G. Biuso, S. Bravo, M. Guastavigna, L. Dorato, F. Mazzoli-G. Paciello
-Alessandro Manzoni, Storia della Colonna infame (edizione a scelta)
Sacco e Vanzetti
di Giuliano Montaldo
Italia-Francia, 1971
Con: Gian Maria Volonté (Bartolomeo Vanzetti), Riccardo Cucciolla (Nicola Sacco), Cyril Cusack (Frederick Katzmann), Milo O’Shea (L’avvocato Moore), Geoffrey Keen (Il giudice Webster Thayer), Rosanna Fratello (Rosa Sacco)
Trailer del film
[Il 23 agosto del 1927 venivano trucidati sulla sedia elettrica negli Stati Uniti d’America gli anarchici italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. A 94 anni da quell’evento ricordo il film di Montaldo a loro dedicato]
Anni Dieci e Venti del Novecento. La polizia al servizio della democrazia statunitense compie delle retate sistematiche nei quartieri operai, nei circoli politici anarchici e socialisti. Raccoglie uomini, donne, bambini e li deporta nei lager, dopo averli debitamente picchiati e torturati. Somiglia a quanto negli anni Trenta accadrà nella Germania nazionalsocialista, vero? Sì, è vero. E tuttavia dato che gli USA sono usciti vincitori dalla Seconda guerra mondiale e la Germania sconfitta, di quei fatti non si fa parola, si dissolve la memoria.
Ma il caso dei due immigrati italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, quello è ancora vivo nella coscienza storica del XXI secolo e nella memoria politica del movimento anarchico. Per loro infatti si mobilitarono i movimenti d’emancipazione di tutta Europa con l’obiettivo di evitare un crimine politico le cui vittime furono un calzolaio e un pescivendolo, che erano emigrati negli Stati Uniti illudendosi di migliorare la propria condizione economica. La stessa illusione che spinse uno dei miei nonni, Biagio Biuso, a emigrare in Argentina, da dove ritornò povero come era partito.
E però per Sacco e Vanzetti tutto fu vano. La macchina stritolatrice delle ‘libertà americane’ li condusse a finire i loro giorni sulla sedia elettrica. Le modalità dell’assassinio di due innocenti la cui colpa fu di intendere la libertà in un modo diverso rispetto a quello con cui la intendeva e tuttora la intende la Nazione Americana (con i suoi ‘diritti civili’ posti quale maschera deforme della giustizia sociale, con la sua ‘democrazia’ da esportazione che produce catastrofi come quella afghana), queste modalità sono ben descritte da Alessandro Manzoni:
Que’ giudici condannaron degl’innocenti, che essi con la più ferma persuasione dell’efficacia dell’unzioni, e con una legislazione che ammetteva la tortura, potevano riconoscere innocenti; e che anzi, per trovarli colpevoli, per respingere il vero che ricompariva ogni momento, in mille forme, e da mille parti, con caratteri chiari allora com’ora, come sempre, dovettero fare continui sforzi d’ingegno e ricorrere a espedienti, de’ quali non potevano ignorar l’ingiustizia
(Storia della colonna infame, in «Tutte le opere», G. Barbèra Editore 1923, p. 772).
Un importante e riuscito film italiano mette in scena esattamente queste parole di Manzoni: la ferocia razzista del procuratore Frederick Katzmann, la complicità del giudice Webster Thayer, il conformismo assoluto della giuria che pronunciò il verdetto giudicando Sacco e Vanzetti colpevoli di rapina a mano armata e omicidio, quando tutte -davvero tutte- le prove mostravano la loro innocenza. Il film è una ricostruzione storica accurata, documentata e sobria. Il cui momento chiave è la dichiarazione finale di Bartolomeo Vanzetti, interpretato dal magnifico Gian Maria Volonté:
Quando le sue ossa, signor Thayer, non saranno che polvere, e i vostri nomi, le vostre istituzioni non saranno che il ricordo di un passato maledetto, il suo nome, il nome di Nicola Sacco, sarà ancora vivo nel cuore della gente. Noi dobbiamo ringraziarli. Senza di loro noi saremmo morti come due poveri sfruttati. Un buon calzolaio, un bravo pescivendolo, e mai in tutta la nostra vita avremmo potuto sperare di fare tanto in favore della tolleranza, della giustizia, della comprensione fra gli uomini. Voi avete dato un senso alla vita di due poveri sfruttati.
L’anarchismo è anche e soprattutto questo: è il non diventare «così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni» (De André, Nella mia ora di libertà). Qualunque nome, partito, regime sia al potere. Compresi quelli dell’Italia e dell’Europa contemporanee. E degli Stati Uniti d’America, naturalmente.
I Promessi Sposi
di Mario Bonnard
Italia, 1922
Con: Domenico Serra (Renzo), Emilia Vidali (Lucia), Umberto Scalpellini (Don Abbondio), Mario Parpagnoli (Don Rodrigo), Enzo Billiotti (Fra’ Cristoforo), Rodolfo Badaloni (L’Innominato), Ida Carloni Talli (Agnese), Ninì Dinelli (Gertrude), Olga Capri (Perpetua)
Restaurato e accompagnato da musiche contemporanee, questo capolavoro del cinema muto mostra una coinvolgente originalità formale e narrativa. Mario Bonnard fa del romanzo di Manzoni un percorso dentro la storia, l’antropologia, il male. La vicenda di Renzo e Lucia quasi rimane sullo sfondo delle grandi scene collettive, fatte di folle, soldati, appestati, ribellioni. Scene nelle quali la violenza delle vicende, la malvagità degli umani, l’inesorabilità degli eventi emergono dallo sfondo ora idilliaco del lago ora concitato della città. I rappresentanti dell’ideologia religiosa di Manzoni – fra’ Cristoforo, il cardinale Federigo – appaiono costantemente rivolti verso l’alto, distanti, quasi emaciati, ininfluenti. Come se fossero estranei rispetto alla concretezza della manzoniana fenomenologia dell’umano. Le libertà narrative che Bonnard si è preso – l’Innominato alla guida dei suoi soldati contro i lanzichenecchi; Lucia malata in casa di Donna Prassede; i dettagli del tradimento del Griso e della sua morte; le lunghe scene del saccheggio di Mantova; – sono funzionali a una disincantata descrizione della città umana, così come essa va sempre o come andava ‘nel secolo XVII’:
«In mezzo a questo serra serra, non possiam lasciar di fermarci un momento a fare una riflessione. Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s’era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l’apparenza d’un oppressore; eppure, alla fin de’ fatti, era l’oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente a’ fatti suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo…voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo»
(I Promessi Sposi, a cura di G. Getto, Sansoni, Firenze 1985, cap. VIII, p. 184).
E tutto questo viene narrato in una tonalità color seppia, con moderne dissolvenze delle forme, tramite giochi tra sfondo/primi piani e altre modalità espressionistiche. Un grande film.