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Multipli

Multipli d’artista
Fondazione Marconi. Arte moderna e contemporanea – Milano
Sino al 5 gennaio 2013

 

Appannata la sua tradizionale sacralità attraverso la moltiplicazione degli esemplari, l’opera d’arte non perde tuttavia l’aura benjaminiana. Non si tratta, infatti, di serialità ma di ripetizione. Come se l’unicità si moltiplicasse attraverso gli spazi diventati specchi nei quali la creatività si riflette e si amplia. Al di là delle ragioni commerciali -abbassamento del prezzo di ogni esemplare- c’è qualcosa di strutturalmente interessante nel multiplo. La coesistenza temporale diventa in esso successione spaziale. Esattamente all’inverso del museo, nel quale la coesistenza spaziale delle opere si coniuga alla successione temporale delle epoche.
In ogni caso, Multipli d’artista è una coloratissima e ludica antologia del Novecento (e oltre) in miniatura. Vedere infatti le grandi e meravigliose sculture di Arnaldo Pomodoro diventare oggetto da scrivania dà la sensazione di essere dei giganti. Lo stesso per Christo, che qui non impacchetta monumenti, palazzi e ponti ma -più poeticamente- una rosa. Man Ray reinventa ancora una volta gli oggetti d’uso quotidiano e Lucio Fontana produce su differenti supporti i suoi concetti spaziali, i suoi tagli. Più di tutti è divertente Enrico Baj con le sue sculture realizzate con il Meccano e i suoi generali tronfi, grotteschi, violenti e miserabili. Figure fatte con i materiali più diversi, come l’Horatius Nelson duke of Bronte costituito di conchiglie, medaglie e bussole. Di Baj sono due Specchi nei quali il tema dell’opera diventa anche colui che la guarda. Tra la mostruosità del potere e la dissoluzione del soggetto individuale si apre uno spiraglio di molteplice libertà.

Geometrie corporali

Francesca Woodman
Milano – Palazzo della Ragione
A cura di Marco Pierini e Isabel Tejeda
Sino al 24 ottobre 2010

Parti del corpo che però rimangono sempre colmi della vitalità dell’intero, del dinamismo che assicura la vita anche quando essa è pregna della tristezza densa e antica che le immagini di Francesca Woodman sanno evocare. Una tristezza classica, che affonda nella statuaria greca ma che questa giovanissima artista (1958-1981) seppe ricreare in forme che qualcosa devono, certo, a Man Ray o a Luxardo ma che sono assolutamente originali sia nella ripresa della tradizione dell’autoritratto sia nella sapienza geometrica dei risultati.
Le immagini sono quasi tutte scattate in interni, in angoli di stanze vuote alle quali Woodman affida il proprio corpo e spesso la propria nudità. Un corpo che si fa una cosa sola con le pareti, con la plastica che l’avvolge, con le sedie e i pavimenti sul quale poggia. Luoghi che diventano gabbie -alla lettera- ma che poi si aprono a esterni di grande potenza, dove la figura di Francesca sembra assorbita dalle radici di alberi secolari, dalle spiagge, dal mare.
Il volto appare di rado, mentre in una tra le serie più efficaci -dal titolo Face– il pube è coperto da specchi, maschere, vetri, quasi a moltiplicare all’infinito l’enigma della sostanza che lo compone.
Nella fotografia forse più cosmica ed emblematica l’artista raffigura se stessa appesa a uno stipite, in una forma che non può non richiamare la crocifissione di questa donna al legno della propria solitudine.

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