Inside Magritte
Milano – Fabbrica del Vapore
A cura di Julie Waseige
Sino al 10 febbraio 2019
Lo dico subito: una mostra di pittura senza nemmeno un quadro lascia perplessi. Ma se c’è un artista che può essere attraversato mediante strumenti multimediali, è Magritte. E questo anche perché fu lo stesso Magritte in alcuni suoi brevi film a tentare di dare movimento ai suoi quadri, di ripensarli come video.
La milanese Fabbrica del Vapore si presta benissimo all’operazione. Nello spazio di ingresso svetta una grande bombetta, intorno alla quale si squadernano riproduzioni a parete del magnifico Empire des Lumières e di Golconda, gli omini vestiti di tutto punto e sospesi nel cielo azzurro come gocce di pioggia nello spazio. Nella sala successiva campeggiano degli schermi -accompagnati da titoli e frasi di Magritte- sui quali in ordine cronologico si susseguono le opere nella molteplicità delle loro fasi, dagli inizi astrattisti al surrealismo, dal periodo vache alle continue invenzioni oniriche, ossimoriche, ludiche. Il cuore dell’esposizione è una grande sala entrando nella quale si sta dentro le tele, in un flusso continuo che si dipana alle pareti, sul pavimento, dentro gli specchi, dentro la musica.
Scorre la varietà e molteplicità dell’opera di Magritte, la sua ricchezza linguistica ed espressiva, la realtà oltre la realtà, l’esaltazione della luce, delle ombre, delle figure, dei vuoti. Gli oggetti e i soggetti dei quadri acquistano movimento, diventano il dinamismo che è loro intrinseco, la tridimensionalità alla quale sembrano aspirare sin dalla loro concezione. Anche se la pittura non è cinema e non può diventare video, si tratta di un’immersione in ogni caso divertente e dissacrante come voleva essere l’arte di Magritte nella sua paradossale precisione della figura, nel rigore geometrico, nel suggerimento teoretico ed emotivo che vuole offrire a chi la osserva. Come si può forse vedere in questo brano:
«Tante volte dentro di sé e nella realtà che chiamano oggettiva se ne era andato. E anche lei, tante volte dentro di sé e nella realtà che chiamano oggettiva se ne era andata. Ma il rischio per lei era troppo grande. Lo sapeva. Glielo aveva anche detto mentre lo abbracciava: ‘immenso è il tuo orgoglio, lo so. Sei capace di stare senza respiro pur di non dire il bisogno che hai di me. Sei capace di morderti la vita prima che la morte del tuo io ti si pari innanzi nell’umiliazione della supplica. Lo sapevo già, dio della mia vita, dai tuoi racconti di chi non hai più amato dopo essere state per te tutto l’universo. Non le hai più volute neppure leggere negli inutili fogli della loro speranza. Per questo ogni volta che l’impulso mi è nato di lasciarti, ho messo le guardie alla mia follia e ho taciuto’. Così diceva, impaurita sorridente e forte del suo incanto. Ma alla fine era caduta nell’errore che pure conosceva. Ed era stata sintesi di tutto, lei, un riassunto dell’abbandono nel quale avevano tentato di costringerlo e che invece ogni volta e matematicamente si trasfigurava in gloria».
Magritte è anche questa gloria.