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Cloaca

La verità sta in cielo
di Roberto Faenza
Italia, 2016
Con: Riccardo Scamarcio (Renato De Pedis), Greta Scarano (Sabrina Minardi), Maya Sansa (Maria), Valentina Lodovini (Raffaella Notariale), Shel Shapiro (John), Paul Randali (Monsignor Marcinkus), Alberto Cracco (il vescovo)
Trailer del film

La verità sul rapimento di Emanuela Orlandi «sta in cielo». Sulla terra rimane l’archiviazione definitiva del caso di questa ragazzina, cittadina dello Stato della Città del Vaticano, che scomparve nel giugno del 1983 e della quale quasi più nulla si è saputo. Ciò che è certo è l’esistenza ufficiale di un dossier negli archivi vaticani, che però la magistratura italiana non è riuscita a ottenere, nonostante le numerose richieste formulate nel corso degli anni. Perché? Che cosa c’è di così indicibile dentro e dietro questo caso?
Roberto Faenza racconta -in modo spesso didascalico e pedante- l’oscura vicenda di Emanuela Orlandi a partire da Mafia Capitale e dalle confessioni di Sabrina Minardi, compagna di Renato De Pedis, un criminale di primo livello che è stato amico di molti politici, del finanziere Roberto Calvi, di Monsignor Marcinkus, presidente dell’«Istituto Opere di Religione», vale a dire la banca vaticana.
Marcinkus (nella foto insieme a Wojtyla) è stato accusato di legami con la mafia e fu protetto sino alla fine da Giovanni Paolo II. L’ipotesi è che De Pedis avesse procurato a Marcinkus e Wojtyla i molti soldi necessari per sabotare il governo comunista della Polonia e altri governi marxisti in tutto il mondo. Tale danaro, di origine mafiosa, sarebbe stato dato a Calvi affinché lo prestasse allo IOR, il quale però non restituì il capitale. Emanuela Orlandi sarebbe stata rapita e uccisa da De Pedis come avvertimento al Vaticano.
Calvi finì impiccato sotto un ponte di Londra. Nel 1990 anche De Pedis venne ucciso tra le strade di Roma. La sua salma fu successivamente tumulata nella Basilica di Sant’Apollinare, privilegio rarissimo per un laico.
Qualunque sia la verità su questo gorgo di violenza, usura, ricatti e corruzione, esso sembra dare ancora una volta ragione alle parole che Dante Alighieri fa pronunciare a San Pietro nel Canto XXVII del Paradiso (vv. 22-27):

 «Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio,
il luogo mio, il luogo mio che vaca
ne la presenza del Figliuol di Dio,

fatt’ ha del cimitero mio cloaca
del sangue e de la puzza; onde ‘l perverso
che cadde di qua sù, là giù si placa».

Dante afferma dunque: «Il pontefice romano usurpa la mia sede terrena, la quale agli occhi di Cristo è priva di un successore degno della sua presenza. Tale usurpatore ha trasformato il luogo nel quale sono seppellito in una cloaca, in una fogna colma di sangue e di puzza; sino al punto che Satana -il perverso- che fu cacciato dal paradiso, trova nel Vaticano il suo conforto». Difficile enunciare parole più terribili di queste. La verità sta in cielo, sulla terra rimane il male vaticano.

Expo: l’avevamo detto, l’avevamo visto

«Ilda Boccassini, a capo del dipartimento Antimafia della procura, si concentra sulla ‘incredibile quantità di denaro sottratto al fisco da parte di imprenditori lombardi e siciliani. Un fiume di denaro contante, prodotto e transitato in nero che partiva da Milano e arrivava in Sicilia’. In particolare, ‘c’erano imprenditori che pagavano operai per farsi costruire in casa veri e propri imboschi per il denaro contante’. Sul giro di affari delle società coinvolte, Boccassini dice: ‘In pochi mesi, le società osservate hanno generato proventi per 20 milioni di euro, in parte trasferiti in Slovacchia e Romania’. Sul tenore criminale degli arrestati, il procuratore aggiunto dice: ‘Sono consistenti i legami con famiglie mafiose di Castelvetrano’.
Un meccanismo ‘desolante’, con ‘logiche e, soprattutto, condotte che si presentano in territorio lombardo con le stesse modalità con cui, da oltre un secolo, si manifestano in territorio siciliano’. Così, il gip Mannocci, descrive il meccanismo con cui gli indagati operavano per ottenere appalti e riciclare denaro per conto dei clan. ‘Pur concretizzandosi in un contesto territoriale del tutto differente da quello originario – scrive il giudice – le metodiche di gestione degli interessi mafiosi sono sostanzialmente le stesse’».
(Milano, le mani di Cosa nostra sugli appalti in Fiera ed Expo: 11 arresti, confische milionarie, la Repubblica, 6.7.2016)

«A Nastasi, a suo padre Calogero e a Pace è contestata anche l’aggravante di aver agito per favorire Cosa Nostra con la consegna di denaro in contanti (prodotto dal ‘nero’ delle fatture false e dal riciclaggio) ad un esponente (attualmente detenuto per associazione mafiosa) del clan di Pietraperzia: Pace, che in passato è stato assolto dall’accusa di associazione mafiosa, è sposato con la figlia di un condannato per associazione mafiosa, e la cognata è moglie di un altro condannato per mafia, mentre nell’hinterland milanese a Pioltello la zia della moglie di Nastasi è invece sposata con un condannato per associazione mafiosa nel processo di ‘ndrangheta Infinito, a sua volta fratello del pure condannato capo della “locale” di Pioltello.
Proprio uno dei viaggi del denaro in contanti dal Nord al Sud è costato l’arresto (con l’accusa di riciclaggio aggravata dalla finalità di favorire Cosa Nostra) anche all’avvocato nisseno Danilo Tipo. Il 23 ottobre 2015, mentre era in corso una perquisizione di routine in una cooperativa, Pace ha messo in salvo a casa sua e consegnato 295.000 euro in contanti all’avvocato, il quale, infilatili in 25 buste bianche di plastica dentro un sacchetto di carta nero, li ha portati dalla Lombardia in Sicilia nel bagagliaio della propria Fiat 500, provando a spiegarli (all’alt di un finto-casuale posto di blocco in autostrada) che erano parcelle forensi pagategli ‘in nero’ da alcuni clienti. Il solo Pace, invece, è accusato di riciclaggio per un secondo trasporto di contanti dalla Lombardia in Sicilia a bordo di un camion, stavolta 413.000 euro nascosti il 14 giugno 2015 dentro un valigia nella custodia di cartone di una piscina gonfiabile»
(La mafia e gli stand della Fiera per Expo, 11 arresti a Milano, Corriere della Sera, 6.7.2016)

Conosco bene i luoghi dai quali i miei conterranei partono per conquistare il mondo, compresa la Lombardia: Caltanissetta, Pietraperzia (Enna), Castelvetrano (Trapani). Centri medi e piccoli verso i quali i siciliani attirano l’immensa avidità degli amministratori della Lega Nord, di Forza Italia, del Partito Democratico, del Nuovo Centrodestra.
L’Expo di Matteo Renzi e di Beppe Sala è stato un banchetto per le mafie e un modello di distruzione del lavoro. Sono orgoglioso di non essere andato, di non averlo visitato, pur essendosi svolto a due passi dalla mia casa milanese.
La ‘Grande Opera’ che dà visibilità all’Italia di Renzi è il convergere delle mafie nel governo composto dal Partito Democratico e dal Nuovo Centrodestra. Reputo gli elettori di questi partiti complici del malaffare e della mafie. A loro -non ai loro capi- chiedo conto della rovina e della corruzione nella quale stanno precipitando l’Italia.

Partito Democratico Mafioso

pd_mafiaAppena Roberto Saviano apre bocca su una varietà di argomenti, tutto il mainstream pravdesco ne dà conto. Ora che invece ha dichiarato con estrema chiarezza che «nel Partito Democratico c’è Gomorra», i giornali -tranne il Fatto Quotidiano– tacciono con impressionante silenzio. Nel Partito Democratico Gomorra vuol dire anche sostegno senza condizioni e finanziamento indiscriminato a ‘Grandi Opere’ criminogene come il TAV e l’EXPO. Nel Partito Democratico Gomorra vuol dire anche alleanza politica e strategica con il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, ex tuttofare di Berlusconi. Nel Partito Democratico Gomorra vuol dire anche aver inserito nelle sue liste elettorali camorristi, vecchi democristiani, migliaia di inquisiti, italoforzuti (come il candidato sindaco del mio paese, Bronte, diventato ora candidato del PD).
Liste costruite per vincere. E per fare che cosa dopo aver vinto? Per devastare il territorio, la scuola, l’università, la sanità, il lavoro, il futuro. Una vittoria che è il trionfo della mafia nel suo più vero significato metafisico: la morte
Allora ripetiamolo: il Partito Democratico è un partito colluso con la mafia, di sicuro in Campania e in Sicilia, molto probabilmente anche altrove. Chi lo vota e chi lo sostiene della mafia si fa complice.

Contro il crimine

Si fa finta -i giornali fingono, la televisione finge, i cittadini fingono- di non sapere e di non capire che la corruzione pubblica in Italia non è un problema di natura morale, è un problema di carattere economico-politico. Il bene e il male non c’entrano. C’entra invece l’enorme spreco di risorse pubbliche che tiene la società in ginocchio ostacolando e spesso rendendo impossibile l’erogazione di servizi essenziali per le collettività. E questo accade perché coloro che dovrebbero combattere la corruzione con gli strumenti legislativi sono essi stessi i maggiori corrotti e corruttori.
Si può dunque dire che l’Italia è in mano a criminali di diversa natura, funzione, identità. E lo è da tempo. Un caso come quello di Andreotti -esponente governativo di primo piano anche a livello internazionale- affiliato e complice di Cosa Nostra (prescritto non assolto!) è stato presto dimenticato per ovvie ragioni ma è un caso che dice tutto. Di massoni, di soggetti oscuri e sempre menzogneri, di patologici pubblicitari, come recenti presidenti della Repubblica e del Consiglio non è neppure il caso di discutere.
I criminali governano gli enti locali -da Bronte a Roma-; governano le banche; governano la Chiesa papista; governano le ‘forze dell’ordine’; governano il calcio; governano le Grandi Opere; governano numerose associazioni della cosiddetta ‘società civile’; governano molte università e centri di formazione; governano la televisione e la ‘grande stampa’. Governano -senza alcun dubbio- i partiti politici.
Anche per questo quando sento di qualcuno dire «è (o fu) un fedele servitore dello Stato» io penso che si tratti di servitori del crimine. Pur essendo (anche) un pubblico funzionario, spero bene che nessuno si sogni di dire di me una cosa del genere. Non c’è trattativa Stato-mafie. Perché non c’è trattativa tra il braccio destro e quello sinistro dello stesso organismo.
Possiamo fare poco, certo, nei confronti di tutto ciò ma almeno questo dobbiamo capirlo. E non fingere.

Agrigento, i Democratici Italoforzuti

Ad Agrigento l’alleanza tra il Partito Democratico e Forza Italia è un fatto stabilito.
Il candidato sindaco uscito ieri dalle primarie comuni tra questi due organismi politici è Silvio Alessi, il quale tanto per cominciare ha dichiarato che «non sa nulla di mafia». E questo lo dice in una delle città e delle province siciliane dove Cosa Nostra domina e controlla pure il respiro.
Alessi, amico tra gli altri di Dell’Utri, appartiene alla corrente di Forza Italia del Partito Unico che comprende anche la corrente del Partito Democratico.
Di che cos’altro hanno bisogno gli elettori del Partito Democratico per vergognarsi? Sugli iscritti a quel Partito e sui suoi militanti, poi, non dico nulla. Non lo meritano. Basta applicare a costoro quanto ho scritto (anche in questo sito) sui berlusconiani e si avrà la mia opinione.

In difesa della trattativa

La trattativa
di Sabina Guzzanti
Italia, 2014
Con Enzo Lombardo, Filippo Luna, Franz Cantalupo, Claudio Castrogiovanni, Sergio Pierattini, Maurizio Bologna, Sabina Guzzanti, Nicola Pannelli, Michele Franco, Sabino Civilleri, Ninni Bruschetta
Trailer del film

«Quanto sia lodabile in un principe mantenere la fede, e vivere con integrità e non con astuzia, ciascuno lo intende: non di manco si vede per esperienza ne’ nostri tempi, quei principi aver fatto grandi cose che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con l’astuzia aggirare i cervelli degli uomini; e alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in sulla lealtà. […] Ma è necessario questa natura saperla bene colorire, ed essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici gli uomini e tanto obbediscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare»
(Niccolò Machiavelli, Il Principe, cap. XVIII, Cremonese editore, 1955, pp. 70-71).
Di fronte dunque alle stragi perpetrate da Cosa Nostra in Italia all’inizio degli anni Novanta del XX secolo, che cosa avrebbe dovuto mai fare il Principe? Il suo dovere -per garantire pace e ordine- era trovare un accordo con un’autorità che non si poteva sconfiggere militarmente. E non la si poteva sconfiggere perché in realtà non di un nemico esterno si trattava ma di una parte delle istituzioni della Repubblica. Si trattava -e si tratta- di una fazione della quale hanno fatto parte dal 1945 amministratori locali e nazionali, capi di partito, magistrati, militari, altri e alti funzionari dello Stato. Tale appartenenza dimostra che l’obiettivo dell’organizzazione che va sotto il nome di Cosa Nostra non è mai stato soltanto l’arricchimento dei suoi membri tramite l’uso della violenza ma anche il mantenimento del sistema democratico e dei partiti che ne costituiscono il fondamento. Fu l’esercito statunitense, infatti, a porre uomini di Cosa Nostra a capo dei comuni siciliani. E furono i mafiosi a dare un contributo fondamentale alla permanenza dell’Italia nella sfera occidentale contro il pericolo comunista. Il sostegno, inoltre, alle aziende edili che rinnovarono Palermo, alla produzione e ai commerci durante l’impetuoso sviluppo economico, alle nuove realtà imprenditoriali come Mediaset, è sempre da tenere in considerazione quando si giudica la mafia.
Era quindi fisiologico che il maggior partito italiano -la Democrazia Cristiana- si fondesse, in Sicilia ma non solo, con Cosa Nostra. Fisiologico che la massoneria accogliesse nelle proprie logge molti suoi esponenti, sino a rendersi di fatto indistinguibile da CN. Fisiologico che la più importante realtà culturale e spirituale della nazione, la Chiesa cattolica, collaborasse attivamente con quegli uomini per il mantenimento dell’identità religiosa del Paese. Da tutto questo scaturisce con evidenza come fosse altrettanto -e soprattutto- fisiologico che le istituzioni della Repubblica non soltanto entrassero in ‘trattative’ contingenti e specifiche con Cosa Nostra ma che si scambiassero con regolarità informazioni, strutture, finanziamenti, uomini.
Soltanto se si comprende tutto questo si può, credo, capire che cosa sia stata la cosiddetta trattativa. Essa costituì l’inevitabile accordo tra il Ministero degli Interni guidato da Nicola Mancino, il Ministero della giustizia, la commissione Antimafia di Luciano Violante, la presidenza del Consiglio retta da diversi soggetti, i carabinieri del ROS del colonnello Mori, i Servizi di sicurezza di Contrada e dall’altra parte i capi moderati di Cosa Nostra come Vito Ciancimino e Bernardo Provenzano. Lo scopo fu quello di arginare da un lato la tattica stragista dei fratelli Graviano e di Salvatore Riina; e di arginare dall’altro l’oltranzismo giudiziario di magistrati come Falcone e Borsellino. Lo scopo fu di salvare la Repubblica. E tale scopo venne raggiunto. Il segno più evidente di tale risultato fu la scomparsa di molti partiti ormai superflui o vecchi e la nascita di una formazione nuova, dinamica, aperta come Forza Italia. Uno dei cui fondatori fu per l’appunto un mafioso di primo piano -giudicato tale ormai anche dai tribunali- come il palermitano Marcello Dell’Utri, al quale Silvio Berlusconi ha più volte correttamente e pubblicamente attribuito l’identità e il successo elettorale del suo partito. Che Berlusconi accogliesse nella propria casa e tra gli amici più intimi esponenti importanti di CN, come Vittorio Mangano, è soltanto una delle manifestazioni di tale profonda consonanza.
Venendo al tempo a noi più vicino, è del tutto in linea con tale storia la giusta difesa che l’attuale Presidente della Repubblica conduce strenuamente a favore del suo amico e allora Ministro Mancino. Non solo: uno degli elementi di maggiore importanza e significato della strategia del Presidente Renzi consiste nell’innovare, sì, ma rimanendo in continuità con le forze più moderate, occidentaliste e pragmatiche del Paese, a cominciare dalla massoneria nei suoi esponenti più vicini al mondo degli affari, compreso ovviamente il mondo di Cosa Nostra. Non a caso le attività di tali organizzazioni sono state di recente e finalmente inserite dall’Istat tra quelle che concorrono a formare il Prodotto Interno Lordo dell’Italia.
Infine, ma per me è la questione più importante di tutte, c’era e c’è un problema di giustizia. Non si vede infatti in base a quale criterio etico e politico alcuni dei soggetti che hanno concorso e concorrono a tale vicenda debbano stare in carcere -e subire addirittura le restrizioni dell’articolo 41 bis- e altri soggetti altrettanto responsabili di tutto questo debbano stare nei ministeri e in istituzioni ancora più importanti. L’omicidio, a suo tempo, dell’onorevole Salvo Lima fu una delle espressioni più chiare anche se dolorose di tale esigenza di giustizia.
Il film di Sabina  Guzzanti si occupa in parte di tutto questo, coniugando molta documentazione con un po’ di immaginazione. E in tal modo offrendo una buona sintesi della storia italiana nella seconda metà del XX secolo e negli anni Zero e Dieci del XXI.

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