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Renato Curcio

La sociologia del digitale di Renato Curcio
in Dialoghi Mediterranei
n. 71, gennaio-febbraio 2025
pagine 33-41

Indice
Capitalismo e spettacolo
-Sulle analisi sociologiche di Renato Curcio
-Il web come valorizzazione del capitale
-Sovraimplicazioni

Dopo una premessa dedicata alla fecondità dei principi marxiani, opportunamente ripresi, per comprendere la società del digitale, ho cercato di delineare alcuni dei dispositivi concettuali – sia sociologici sia teoretici – con i quali da molti anni Renato Curcio conduce un’indagine plausibile, argomentata e disvelatrice sulle tecnologie digitali e sul virtuale.
Il più recente di questi strumenti analitici è il concetto di sovraimplicazione, con il quale Curcio indica l’interferenza, il condizionamento, l’intrusione nell’esistenza quotidiana che le tecnologie predisposte dal capitalismo cibernetico inventano, saggiano, implementano e diffondono nella vita quotidiana di miliardi di umani nel XXI secolo. Si tratta di un’ulteriore manifestazione della colonizzazione dell’immaginario che è diventata colonizzazione del tempo-vita da parte dei dispositivi digitali, i quali costituiscono naturalmente dei formidabili strumenti dell’accumulazione finanziaria e del dominio politico.
La colonizzazione dell’immaginario scandisce «un progresso tecnologico inesorabilmente avverso ad ogni anelito di progresso sociale»  confermando in questo modo l’ambiguità originaria di ogni progressismo, che sin dal XIX secolo ha accomunato padroni e lavoratori nell’illusione di un avvenire inevitabilmente migliore di ogni passato.
Rispetto a ogni movimento collettivo e dinamica di emancipazione, la Rete, è «una macchina di solitudine estraniante», è un dispositivo di solitudine relazionale che dissolve i corpi sociali. La Rete è il fattore principe di quella «remotizzazione del lavoro» che è entrata a regime con l’epidemia Covid19 e tramite la quale «le aziende hanno fatto un triplo affare. Anzitutto hanno ridotto drasticamente le spese aziendali. In secondo luogo hanno visto accrescere la produttività […] E infine hanno frantumato ulteriormente la già quasi polverizzata compattezza dei lavoratori».
Strumento indispensabile per ottenere tale assenza di pensiero è la linguistica computazionale, la quale cerca di rimodellare e tradurre i linguaggi ordinari delle persone umane in linguaggi comprensibili e manipolabili dai software, in questo modo interferendo con i linguaggi e con i comportamenti che ne scaturiscono. Un esempio è il linguaggio politicamente corretto, definito da Curcio «l’ipocrisia istituzionalizzata», linguaggio che ha l’obiettivo di riprodurre l’esistente e rendere impossibile immaginare e organizzare «prospettive aperte, creative e istituenti».
Di fronte a tale potenza del capitalismo cibernetico non sono più sufficienti i paradigmi rivoluzionari del XIX e del XX secolo come non sono più effettive le modalità di sfruttamento del passato. Stiamo transitando dall’egemonia gramsciana alla «più ampia ibridazione cibernetica delle persone e delle loro pratiche entro sistemi di connessioni obbliganti». Quest’ultima espressione – ‘connessioni obbliganti’ – definisce con chiarezza le modalità quotidiane di vita alle quali Curcio fa nei suoi lavori costante riferimento e che ormai da molti anni illumina con singolare vividezza. E già con questo aiuta a rimanere liberi. 

Storia e specchi

Storia e specchi
Aldous
, 11 dicembre 2024
Pagine 1-2

In questo articolo ho cercato di mostrare quanto feconda sia la critica di Friedrich Dürrenmatt ai poteri politici e al dogmatismo culturale, come essa si esprime anche nell’ultimo testo drammaturgico da lui creato: Achterloo (1983). Un’affermazione quale «oggi siamo in grado di costruire una gabbia da cui è impossibile evadere» è molto più vera per il presente virtuale/digitale del XXI secolo che per gli anni Ottanta del Novecento, così come l’intuizione dei processi futuri – e oggi presenti – di ibridazione tra il corpomente umano e i computer: «Il computer, liberato dall’uomo suo creatore, è il senso ultimo dell’uomo; in esso l’uomo trova il suo perfetto compimento. […] Il rosso sanguigno del tramonto verso il quale, divenuta ormai superflua, l’umanità si avvia barcollando, per dissolversi in esso, è nello stesso tempo il rosso di un’alba da cui, come da un bagno di fuoco, sorgerà la nuova umanità, l’umanità dei cervelli artificiali».
Ho posto queste tesi del drammaturgo svizzero a confronto con le analisi di uno dei più attenti sociologi contemporanei, secondo il quale l’ontologia della Rete consiste nel fatto che «le macchine IA non ‘pensano’, operano» (Renato Curcio, Sovraimplicazioni. Le interferenze del capitalismo cibernetico nelle pratiche di vita quotidiana, 2024) e questo significa «che ciò che il dispositivo comunque e in ogni caso non può fare è proporre una risposta ‘intelligente’. E cioè una risposta creativa, non prevista o non desiderata nei magazzini in cui sono stoccati i suoi dati di riferimento o nei cloud di computo, assemblaggio e d’indirizzo. Una risposta che nasca da associazioni non consuete, improbabili, proiettate a suggerire un mutamento del sistema» e non a ribadire l’ineluttabilità dell’esistente attraverso il crisma algoritmico.
Strumento molto utile per ottenere tale passività del pensare (e dunque dell’agire) è la linguistica computazionale, la quale cerca di rimodellare e tradurre i linguaggi ordinari delle persone umane in linguaggi comprensibili e manipolabili dai software, in questo modo interferendo con i linguaggi e con i comportamenti che ne scaturiscono. Un esempio è il linguaggio politicamente corretto, definito da Curcio «l’ipocrisia istituzionalizzata», linguaggio che ha l’obiettivo di riprodurre l’esistente e rendere impossibile immaginare e organizzare «prospettive aperte, creative e istituenti».
I controlli linguistici che le piattaforme politicamente corrette operano contro parole, espressioni e concetti non coerenti con l’ideologia dominante del liberismo flussico costituiscono una delle più evidenti espressioni della società della sorveglianza nella quale siamo da tempo immersi.

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