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Mente & Cervello 57 – Settembre 2009

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Sul sito del fondatore e capo della “Guardia nazionale italiana” si leggono le seguenti affermazioni, in parte citate a p. 29 di questo numero di Mente & Cervello: «Migliaia di prostitute straniere schedate e non espulse. Migliaia di zingari che commettono furti nella totale impunità. Milioni di clandestini che si aggirano impunemente nelle città. Migliaia di stranieri che spacciano, rubano, stuprano, uccidono. Un aumento dell’80% di scioperi e di occupazione di uffici pubblici e privati. Centinaia di assalti armati contro la proprietà privata commessi da stranieri. attentati contro la proprietà dello Stato. Gruppi di giovani SOVVERSIVI che agiscono al di fuori dei limiti parlamentari.

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Frammenti di un discorso amoroso

Frammenti di un discorso amoroso
di Roland Barthes
(Fragments d’un discours amoureux, 1977)
Trad. di Renzo Guidieri
Einaudi, Torino 1979
Pagine 218

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Echi del tao, dello zen, della mistica medioevale, del romanticismo, dell’arte contemporanea tentano di esprimere l’indicibile, di dire l’ineffabile. Non un sommario d’amore o dell’amore una sociologia ma un dizionario per frammenti che accoglie l’innamorato e del suo sentimento fa parola.

Un discorso amoroso che non conosce medietas, teso nello spasimo, nell’eversione di ogni istituzione, nell’oscenità del rovesciamento per il quale «ciò che è indecente non è più la sessualità, ma la sentimentalità -censurata in nome di ciò che, in fondo, non è che un’altra morale» (pag. 149), nella potenza dell’immaginario, nell’ambiguità del «non voler prendere» che desidera solo prendere (213). L’Altro è una figura del desiderio, del nostro e di quello diffuso nel corpo collettivo, nella filogenesi della specie. L’amato è per l’innamorato l’imprendibile che rimane desiderio -e dunque è la pienezza dell’assenza. L’ultimo “ricordo di cose lette e vissute” con cui il libro si chiude è di Ruysbroeck (1293-1381): «Il vino migliore e il più squisito, e anche il più inebriante […] di cui, senza berlo, l’anima annichilita è inebriata, anima libera ed ebbra! dimentica, dimenticata, ebbra di ciò che non beve e che mai berrà!» (213). Pur sapendo che non raggiungerò mai l’amorosa quiete delle tue braccia, in cui spasimi e drammi saranno appagati e redenti, io continuo a spogliarmi di ogni cosa, continuo a barattare la mia forza con l’istante del tuo sguardo, a rinunciare al mio sorriso per il tuo. Teso verso l’impossibile, il mio discorso è un soliloquio.

L’Altro, infatti, non esiste. «È dunque un innamorato che parla e che dice» (11) la serie delle figure da dizionario in cui il libro consiste, da AbbraccioAbito, Adorabile a Verità, Vie d’uscita, Voler prendere. «Una figura è fondata», scrive Barthes, «se almeno una persona può dire: “Com’è vero tutto ciò! Riconosco questa scena del linguaggio”» (6). Il linguaggio avvolge l’umano sin dal suo apparire, è l’umano nella concretezza del suo agire, esistere, comprendere, comunicare, pensare. L’innamorarsi è una delle pratiche linguistiche che della parola sanno esprimere l’intera potenza nel racconto che la mente narra a se stessa, che il corpo dice. Riconosciamo dunque nelle figure e nelle scene del libro di Barthes la vita.

[Anche a partire da questo testo ho svolto alcune lezioni sull’amore]

The Reader

di Stephen Daldry
Con: Kate Winslet (Hanna Schmitz), David Kross (Michael), Ralph Fiennes (Michael adulto), Bruno Ganz (Rohl)
USA – Germania, 2008
Trailer del film

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Berlino 1958. Il quindicenne Michael si sente male per strada. Viene soccorso da una donna con la quale nei mesi successivi inizia una relazione fatta di corpi e di parole. Di parole dei romanzi che il ragazzo legge a voce alta a Hanna, che le assorbe da lui, gelida e insieme inebriata. Un giorno la donna sparisce. Diventato studente di legge, Michael la ritrova imputata a un processo in quanto responsabile della morte di centinaia di prigioniere ad Auschwitz. Sarebbe facile per lei uscirne con una lieve pena ma si assume tutte le responsabilità perché si vergogna di qualcosa che ai suoi occhi è più umiliante dell’accusa di omicidio. L’uomo non va mai a trovarla in carcere. Le invia le cassette con la propria voce, con i racconti.

Straordinaria interpretazione di Kate Winslet che dà vita a un personaggio tenero e implacabile, fragile e fortissimo, al di là del bene e del male. La prima parte è una bella iniziazione all’eros di un adolescente; la seconda rischia a volte di diventare il solito film da lager ma per fortuna riesce a mantenere uno spessore problematico e aperto. Il segreto di Hanna, e dunque del film, è la sacralità della scrittura, la purezza della parola, la potenza del verbo che racconta l’accadere e lo riscatta.

La nottola di Minerva

La nottola di Minerva.
Storie e dialoghi fantastici sulla filosofia della mente

di Sandro Nannini
Mimesis, 2008
Pagine 228

Questo libro è frutto di una duplice passione: per la fantascienza e per il corpomente. E poi di una convinzione: che in filosofia non siano possibili dimostrazioni logiche o prove empiriche e che quindi il miglior metodo filosofico rimanga il dialogo platonico. E infatti il testo consiste in cinque dialoghi, un prologo, un intermezzo e un epilogo. Dialoghi dedicati rispettivamente a scienza e filosofia, alla mente, al suo rapporto col mondo, al linguaggio, alla coscienza e alla verità, alla relazione corpo-mente. In essi una grande competenza viene sciolta ed espressa in pagine insieme lievi e rigorose.

Si immagina che in un lontano futuro attraverso un tunnel spazio-temporale arrivi sulla Terra da un pianeta lontanissimo -di nome Elea- uno Straniero venuto a confrontarsi con alcuni umani e androidi sul tema della mente a partire da una prospettiva naturalistica, «ossia quella concezione secondo la quale l’uomo è un animale come gli altri, frutto anch’egli dell’evoluzione biologica» (pag. 57). Tale cornice generale racchiude un’ontologia materialistica e una posizione eliminativista sul mentale. Anche il materialismo è infatti definito un’«ipotesi e cornice teorica» come ce ne sono altre (p. 206) e «non è vero che tutta la metafisica sia ugualmente cattiva e non è vero che tutte le ontologie si equivalgano» (p. 48). L’eliminativismo qui difeso è davvero assai raffinato e pone alla base dei fenomeni mentali tre condizioni: un sistema autonomo di locomozione; uno o più organi di senso che permettono all’organismo di ricevere stimoli e dati dal mondo; un sistema nervoso in grado di guidare tale sistema. Su questa base, le regolarità del mondo fisico vengono replicate dal cervello allo scopo di consentire all’intero corpo di dare risposte motorie funzionali agli input dell’ambiente e quindi sopravvivere.

Ma, ed è questa una delle tesi più importanti tra quelle sostenute dallo Straniero, tale riconoscimento di regolarità non si limita a rispecchiare il mondo fisico bensì lo plasma: «Il cervello costruisce, a partire dai dati sensoriali, una rappresentazione mentale del mondo, che mette in evidenza, tra le regolarità del mondo esterno, quelle capaci di guidare delle risposte motorie che incrementino, in media, le probabilità di sopravvivenza dell’animale» (77). La realtà è assai più ricca e complessa di quanto una concezione prefilosofica e prescientifica ritenga. Ad esempio, il collegamento (binding) tra i neuroni del colore e quelli della forma mostra la reciproca autonomia di queste aree della percezione, che poi il cervello connette sino a costruire la rappresentazione di un oggetto. «Un percetto», insomma, «è il risultato di un processo di “costruzione” dei dati sensoriali al pari di un concetto, sebbene ad un livello di astrazione più basso» (112).
La mente quindi non è né una sostanza (cartesiana) né un insieme di fasci (humeani) ma consiste in una incessante attività (kantiana) di ordinamento degli input sensoriali e dei relativi stati di coscienza. Il Sé neuronale è «la rappresentazione che noi in ogni momento abbiamo del nostro corpo, attraverso la propriocezione» (187), cioè la consapevolezza che il corpo ha di se stesso nello spazio e nel tempo. Ne consegue che l’identità dell’io è dinamica, molteplice, temporale.
L’epistemologia quineana che sta alla base di questi risultati è altrettanto raffinata, essendosi lasciata alle spalle ogni concezione corrispondentistica della verità -per la quale essa consisterebbe nella adaequatio tra la mente e il mondo fisico- a favore di una teoria coerentistica tra rappresentazioni diverse all’interno di una cornice teorica che le sottende.

Il materialismo di Nannini sembra dunque ben lontano da qualunque ingenuo riduzionismo positivistico ed è talmente ricco di teoria da poter senz’altro essere accolto. Così come del tutto condivisibili sono il rifiuto dell’analogia funzionalistica mente-computer, in quanto «biologicamente implausibile» (83); la critica al cosiddetto “principio antropico”, l’illusione che ci fa apparire straordinarie le condizioni che hanno permesso la comparsa dell’uomo sulla Terra, illusione nata dall’attribuire alla improbabilità di questo evento un valore particolare e diverso rispetto a ogni altra e analoga improbabilità; l’ammissione che «la relazione semantica tra il mio pensiero ed il suo contenuto non è direttamente naturalizzabile» poiché i segnali sonori diventano linguaggio soltanto quando il contenuto della comunicazione ha una sufficiente quantità d’astrazione legata ad altri concetti che formano un sistema (124 e 137). Tra le tante ipotesi descritte in modo davvero assai brillante dallo Straniero e dai suoi interlocutori, la più convincente è il monismo neutrale di Spinoza, Mach, W. James, Husserl, Russel, «che vede, in forme ovviamente spesso diverse, nella materia e nel pensiero due manifestazioni parallele di una sostanza indistintamente estesa e pensante» (195).

L‘onestà intellettuale di questo libro è rara forse quanto la sua inconsueta -per la tradizione accademica- forma dialogica e narrativa. L’Autore enuncia e difende una posizione ben precisa ma non riduce mai le posizioni avverse a delle caricature. Riconosce, piuttosto, i limiti delle proprie quando ammette che essendo un «processo irripetibile, l’evoluzione biologica è perciò solo un’ipotesi storica non definitivamente provata e probabilmente mai definitivamente provabile» (57-58) e, più in generale, si dice convinto «che il sapere umano è solo un piccolo spot di luce gettato in un mare di buio» (65).
Sandro Nannini ha costruito un testo splendido nella sua chiarezza e precisione, un dialogo filosofico sempre vivacissimo e con un finale a sorpresa che ovviamente non posso svelare. Basti sapere che vi sono coinvolti i tunnel spazio-temporali, Pirandello e Matrix: «ciascun essere umano non sa se egli è qualcosa di reale, oppure se è una sorta di avatar che vive entro (ed è parte di) una realtà virtuale costruita dal suo cervello» (227). È anche in questa inoltrepassabile ma feconda ignoranza che la filosofia della mente affonda le proprie radici e produce i suoi frutti migliori.

Mente & Cervello 54 – Giugno 2009

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Per quanto parziale sia la conoscenza che abbiamo del cervello, sappiamo comunque che il potere della mente nell’interpretare la realtà -e dunque nel produrla- è davvero molto grande. Il caso del placebo è una delle prove più evidenti. L’effetto placebo agisce persino su malattie gravissime -quali i tumori- poiché «le aspettative e le convinzioni del paziente hanno una grande influenza sul decorso della malattia» (M.B. Niemi, pag. 29). Un’altra e assai diversa manifestazione di tale potere sono le allucinazioni, quegli stati mentali «il cui contenuto è cosciente, involontario e, sotto certi aspetti, simile al sogno e alla percezione» e che in alcune culture sciamaniche svolgono una reale funzione terapeutica (A. Lehmann e J. González, pp.76 e 80).

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Skariphaomai

Milano – Imageware
Valentino Candiani. Skariphaomai
Sino al 24 giugno 2009

Che cos’è il mondo? Un segno. E che cosa sono le parole? La manifestazione più profonda di tale segno. Il fatto che all’espressione grafica e sonora delle parole corrisponda un universo di significati -comprensibile, comunicabile- è l’enigma potente del parlare umano, del linguaggio.
È dunque coerente con la propria identità che l’agenzia Imageware ospiti i segni essenziali di Valentino Candiani, il suo skariphaomai, lo scalfire la superficie della materia traendone forme e, con esse, natura. Le parole di Candiani indicano la radice di ogni divenire -i quattro elementi-, gli strumenti della percezione umana -i cinque sensi-, le passioni che nelle menti nascono dalla percezione della materia –love e hate-, e infine e soprattutto light e time che della materia e degli umani sono sostanza e segreto.
La pulizia assoluta di questi caratteri scalfiti sulle superfici e scolpiti nel ferro riporta i segni alla loro semplicità arcaica, al loro millenario percorso, ma li rinnova anche, li ricrea nelle modalità concettuali e complesse della vita e dell’arte contemporanee.
Un bellissimo segno, questa mostra, della vita del pensiero.

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Ultimi rimorsi prima dell’oblio

Derniers remords avant l’oubli
(1987)
di Jean-Luc Lagarce
Teatro Out Off – Milano
Traduzione di Franco Quadri
Regia di Lorenzo Loris
Con: Gigio Alberti, Giovanni Franzoni, Sara Bertelà, Sabrina Colle, Alessandro Quattro, Paola Campaner
Teatro Out Off, in collaborazione con Face à Face – Parole di Francia per scene d’Italia
Sino al 5 luglio 2009

Una casa è da vendere. È abitata da un professore -Pierre-, rimasto solo dopo che Paul e Helène sono andati via anni prima. Avevano condiviso tutto, ora gli altri due hanno delle nuove famiglie. Arrivano, infatti, coi rispettivi coniugi e con una figlia. La tensione è profonda. Le parole emergono come iceberg da un oceano di risentimenti, di desideri, di nostalgie, di concentrazione sull’io. Ciascuno si dice pronto ad assecondare le volontà degli altri e tuttavia i rapporti sono guerra. Scorrono sullo sfondo le immagini di quando i tre erano giovani e bohèmiens ma l’illusione di fermare il tempo può solo moltiplicare il conflitto.

Lagarce ha l’immenso talento di trasformare le parole più ovvie e le situazioni più stantie in uno scavo dentro l’umano, i suoi movimenti, le memorie, le attese. «Non ho detto niente», è la formula spesso pronunciata dai protagonisti, come se il linguaggio fosse un’arma da nascondere («A lingua n’avi ossa e ruppi l’ossa» dicono in Sicilia), come se parlare fosse il vuoto della comunicazione, l’inquietudine dell’incompreso, l’ambiguità del taciuto, l’infinitezza dell’interpretato. Lagarce costruisce dei testi potentemente corali (come I pretendenti ) nei quali ciascuno dei personaggi sembra di volta in volta il centro della rappresentazione. Una splendida qualità.
Gli attori e la regia di questa messa in scena assecondano il testo nella sue pieghe, nell’implicito e nella forza. Il risultato è uno spettacolo che pensa alla radice le relazioni umane. Tra di esse, quella di un professore coi propri allievi; Pierre ritiene che l’insegnare sia un «parlare nel vuoto ai terribili eredi degli altri». Trasformare tale orrore in incontro è il compito -esaltante e duro- di chi educa.

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