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Autoritarismo

«Il governo Renzi sarà ricor­dato per l’istituzione del ‘pre­side mana­ger’, una figura di padre-padrone dotato del potere di chia­mata diretta dei docenti, ma anche di quello di con­fe­rire un aumento sti­pen­diale, dopo avere con­sul­tato gli organi del suo isti­tuto. Lì dove non è riu­scito Ber­lu­sconi e Gel­mini, con il Ddl Aprea, lì è arri­vato il governo gui­dato dal Pd che rea­lizza un vec­chio sogno ricor­rente: quello di una scuola com­piu­ta­mente azien­da­li­sta, gerar­chica e pro­dut­ti­vi­stica. Ma non basta: a questo diri­gente dotato di super-poteri verrà con­cessa la parola finale sulla for­ma­zione dei docenti che avverrà nell’istituto dove lavora» (Roberto Ciccarelli, il manifesto, 13.3.2015). Sì, è un altro dei progetti berlusconiani che il Partito Democratico va realizzando, uno dei più importanti e dalle conseguenze di lunga durata.
Per comprendere in quali forme e sino a che punto sia autoritario il progetto illustrato dal governo del PD-Nuovo Centrodestra è utile il quadro sinottico pubblicato su repubblica. Basta guardarlo per capire come i presidi posti a capo delle scuole italiane durante il regime del Partito Nazionale Fascista fossero meno potenti dei Dirigenti Scolastici voluti dal Partito Democratico e dai suoi ministri. Non sono pochi, dunque, coloro che pur avendo militato nella sinistra antiautoritaria -compresi molti militanti del ’68 e di Lotta Continua- ora sono zitti e pronti a sostenere o almeno ad accettare una scuola peggiore di quella fascista. Dov’è adesso chi chiedeva a D’Alema di ‘dire qualcosa di sinistra’? È un’intera generazione ‘di sinistra’ che trova il proprio totale fallimento in questo grave progetto di subordinazione delle scuole alla volontà e all’arbitrio di un singolo soggetto.
Ho insegnato per molti anni nei Licei e ho conosciuto numerosi presidi; se uno di essi –un preside del Liceo Beccaria di Milano– avesse avuto i poteri che ora gli vengono attribuiti, la mia presenza in quella scuola sarebbe stata impossibile; invece che portarmi in tribunale -come fece- costui mi avrebbe semplicemente licenziato. Altri casi sono illustrati in un libro del 2012 dal titolo Presidi da bocciare?Ma la realtà del mobbing, del condizionamento, del ricatto è nelle scuole assai più pervasiva di quanto tali testimonianze indichino. In un clima di questo genere non è ovviamente possibile educare davvero i ragazzi. È possibile solo trasmettere loro ipocrisia, individualismo, sfrenata competizione. Vale a dire alcuni dei valori del Partito Democratico di Renzi. L’Università -forse a causa anche della sua tradizione secolare- rimane più democratica. I direttori dei Dipartimenti (i vecchi presidi di Facoltà) vengono infatti eletti dall’intero corpo docente. Ed è quanto si dovrebbe fare anche nelle scuole. Esattamente l’opposto di «questa trasforma­zione gene­tica delle forme demo­cra­ti­che nella scuola», una degenerazione del tutto coerente con l’estremismo liberista al quale l’intera politica italiana è subordinata.
Il governo del Partito Democratico sarà ricordato anche per aver istituzionalizzato le pratiche così descritte da Dario Generali: «La loro miserabile benevolenza viene concessa non ai docenti migliori e più qualificati, che appaiono sempre troppo autonomi e pericolosi, in quanto non controllabili, ma a chi sostiene l’aspirante despota nel proprio ruolo, mostrando deferente sottomissione» («Presidi e stato di diritto», in Presidi da bocciare?,  a cura di Augusto Cavadi, Di Girolamo Editore, Trapani 2012, p. 101).

«Sono a volte una persona felice»

Un grande privilegio di chi insegna consiste nel ricevere di tanto in tanto delle lettere scritte da allievi a distanza di anni, anche di molti anni. Ed è sempre una gioia. Ma quella che Francesca Arosio mi ha inviato qualche giorno fa è davvero particolare nella sua semplice radicalità. Autorizzato dall’autrice, la riporto qui per intero.
«Professore,
ho deciso dopo tanti anni di scriverle per ringraziarla.
Sono passati credo cinque anni dal mio ultimo giorno di scuola al Beccaria dove lei è stato il mio professore di filosofia per pochi mesi. Quei pochi mesi hanno determinato le mie scelte future.
L’anno scorso mi sono laureata in filosofia con un tesi sul rovesciamento del platonismo nella Ricerca del tempo perduto, quest’anno ho avuto modo di lavorare con il professor Zecchi sul superamento del nichilismo nell’opera di Proust.
Ricordo molto bene la sua ultima lezione al liceo, ha voluto parlarci di Proust. La ringrazio perché, in un certo senso, con le sue parole mi ha spinto ad amarlo. E ad amare la filosofia, come scelta di vita.
Insomma la ringrazio perché anche grazie a lei ora sono a volte una persona felice.
Francesca».
È la conferma che ogni parola del docente può essere l’apertura di un mondo, che la nostra responsabilità è grande, che insegnare è un dono. Proust, Platone, il nichilismo. Temi che possono da soli riempire una vita dedicata alla ricerca e alla riflessione. Una vita autenticamente umana. Ma qui c’è assai di più. C’è il raggiungimento di uno dei due obiettivi ultimi di ogni insegnamento e apprendimento: essere «a volte una persona felice». La filosofia è infatti questo: una ragnatela che il corpomente getta sul mondo per catturare la gioia. L’altro obiettivo è svelare l’enigma di questa nostra vita. Un enigma che mentre intuisci e comprendi il senso della parte e dell’intero, dell’ora e del sempre, dell’identità e della differenza, con ciò stesso ti regala l’istante della pienezza, la costanza di una faticosa ma inesorabile serenità.
Grazie a te, Francesca.

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