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Paganesimi

Ho inserito su Dropbox il file audio (ascoltabile e scaricabile sui propri dispositivi) della conversazione svolta lo scorso primo ottobre a Lercara Friddi, dal titolo Vivere con pienezza: per una spiritualità pagana.
La registrazione dura un’ora e trenta minuti. I principali temi dei quali abbiamo discusso sono: i libri e gli alberi; il Credo dei cattolici e la sostanza aristotelica; i santi e la Grande Madre; il politeismo cristiano; differenza contro invidia; astrologia e new age; il sacro e il divino; l’unità del cosmo e la molteplicità degli dèi che lo abitano; il corpo; «Le cose che mai avvennero e sempre sono»; Delphi; il chiasmo Apollo/Dioniso; I miti greci di Robert Graves; la Sicilia pagana. E infine l’intenso dialogo con gli amici che hanno partecipato a questa lezione 🙂
Il numero 167 della rivista Eléments (significativamente intitolato: «Di fronte ai fondamentalismi. La risposta politeistica») a p. 67 afferma giustamente che «par définition, le paganisme est pluriel. Polythéisme des valeurs, disait Max Weber. C’est une école de sagesse, un art d’habiter la terre et d’en magnifier la beauté, une prédisposition à l’émerveillement, une façon de peupler la solitude cosmique».
Ecco perché paganesimi, al plurale.

Paladino, i libri, il Quijote

Disegnare le parole. Mimmo Paladino tra arte e letteratura
Milano – Museo del Novecento
A cura di Giorgio Bacci
Sino al 4 settembre 2016

Le opere che Mimmo Paladino dedica ai libri sono di grande ricchezza letteraria, grafica, estetica, sono un piacere degli occhi e dell’intelletto. Le parole, le lettere, le figure si intrecciano in legami sinestetici che rendono visibili alcune delle più alte narrazioni europee. Tra queste: l’Ulisse di Joyce, Pirandello, il Philobiblon di Riccardo de Bury, monaco e vescovo del XIV secolo, Raffaele La Capria, il De Universo che Rabano Mauro compose nel IX secolo, l’Agamennone di Eschilo, i Tristi Tropici di Lévi-Strauss, La luna e i falò di Cesare Pavese, la Divina Commedia pensata, interpretata, illustrata più volte e in forme diverse.

A tali libri e ai dipinti si accompagnano gli acquarelli e il film (girato da Paladino nel 2006) dedicati al Quijote. Un capolavoro liquido e onirico. L’amore, la luna, il sogno, la follia. Visionario. La corazza, le nuvole, il fuoco, le armi. Arcaismi simbolici e silenti. Strutture rabdomantiche e sciamaniche.
La finzione nella quale viviamo si fa verità proprio in quanto costanza della finzione. Un possibile segreto del platonismo, e dunque dell’arte, è che la finzione –la copia- sia la realtà perché è veramente una finzione, che la realtà non sia una copia di qualcos’altro ma che la copia sia l’unica realtà. L’immagine è dunque reale proprio perché è immagine e non altro.
Il Quijote di Paladino mi ha ricordato una frase di Carmelo Bene: «Ferita era la benda e non il braccio» (Sono apparso alla madonna. Vie d’(h)eros(es), Longanesi 1983, p. 208).
Cerchiamo sempre ciò che non si dà, perché ciò che cerchiamo è la Luce.

Nicosia

Nel cuore dell’Isola si trovano dei tesori. Tali sono i palazzi, le chiese, le strade, le prospettive di un luogo che fu tra i più importanti della Sicilia medioevale. Di tale storia fastosa, nobiliare e tragica, Nicosia conserva oggi relitti che sembrano navigare nel mare giallo delle sue pietre. Si vede che le chiese meritano che la città sia sede di un vescovo ma ad alcune di esse si arriva attraverso scalinate conquistate dalle erbe e dai lombrichi. La piazza centrale -quadrata, ottocentesca e rigorosa- ospita il suggestivo cortile interno del Municipio, il portico elegante della Cattedrale, alcuni bei palazzi.
In questo spazio si sono svolte, a fine maggio, Le tre giornate di Davì, una rassegna di libri, editori, autori, musica, pensieri. Molti dei quali di impronta libertaria. A dimostrazione che l’intelligenza nell’Isola non è passata invano e che è tuttora viva, feconda, luminosa.

I libri di Chagall

Chagall. Love and Life
Castello Ursino – Catania
A cura di Ronit Sorek
Sino al 3 aprile 2016

Chagall. Sopra VitebskI mistici e materici spazi del Castello voluto da Federico II ospitano oli, gouaches, acquarelli di Chagall e soprattutto numerose litografie ideate per illustrare dei libri.
Ma Vie è un racconto autobiografico pensato quando l’artista era ancora giovane; First Encounter narra i primi incontri con Bella, futura moglie; Burning Lights descrive alcune cerimonie e feste ebraiche; From My Notebooks prosegue la narrazione autobiografica che costella l’intera esistenza di Chagall, di questo artista felice nonostante la tragedia della morte dell’ancora giovane Bella.
Una felicità che si esprime nella densità dei colori, negli spazi che si ampliano alla mente, nelle tradizioni ebraiche reinventate attraverso forme serene, nella presenza calda e protettiva degli altri animali, nella radice popolare e favolosa che in mostra è documentata dalle litografie pensate per le Favole di La Fontaine. La ridondanza della natura semplice, gentile e ovvia come la luna, i fiori, il desco, la preghiera, il cielo tra le case contadine, l’uomo volante, gli amanti. Molte figure appena tratteggiate e mai realistiche. La realtà così com’è appare forse a Chagall troppo seria, troppo vera, troppo importante, troppo nel bene o nel male.
L’allestimento e le opere trasmettono una sensazione di gaiezza e di lievità, come se vivendo si potesse, nonostante tutto, sorridere.

Distanza e libertà

L’editoriale di Marco Tarchi sul numero 322 di Diorama letterario mi trova stavolta in radicale disaccordo. Mi sembra infatti grave e incoerente che una rivista la quale giustamente in ogni numero sottolinea la pervasività del potere nell’impedire la parola, accusi di «spudoratezza» e «irresponsabilità» i redattori di Charlie Hebdo (p. 3). Che costoro abbiano in passato chiesto a loro volta di censurare dei movimenti o abbiano espulso alcuni loro collaboratori è vero ed è esecrabile, ma questo non giustifica la richiesta del «diritto al rispetto delle altrui credenze» di tipo religioso o altro (3). Per l’idea, ad esempio, che io ho del divino e del sacro -un’idea profonda e radicale- la credenza che un qualche Dio si riduca al livello umano, o che addirittura mandi un suo figlio per salvare la specie umana, è né più né meno che una bestemmia, è blasfemia. Ogni volta che ascolto questa storia -e si può immaginare come la ascolti di continuo- io mi sento offeso, radicalmente offeso. Che cosa fare dunque? Denunciare per blasfemia e per offese alla mia concezione del Sacro i cristiani ogni volta che questi aprono bocca? Che un Dio abbia a cuore le vicende umane sino a soffrire e morire per questa «Elendes Eintagsgeschlecht, des Zufalls Kinder und der Mühsal [stirpe miserabile ed effimera figlia del caso e della pena]» (Nietzsche, La nascita della tragedia, § 31) è per me una bestemmia; anche che il Dio possa avere un figlio da immolare per gli umani è una bestemmia, come d’altra parte lo stesso Caifa dichiarò stracciandosi le vesti davanti a Jeshu-ha-Notzri. Come si vede, ciascuno può essere offeso da bestemmie diverse e per evitarlo l’unica strada sarebbe il silenzio assoluto, vale a dire la morte. Alain de Benoist -pur molto critico anche lui verso Charlie Hebdo– ricorda l’affermazione di Rosa Luxemburg per la quale «la libertà è sempre la libertà di chi la pensa diversamente» (20) ed esprime questa differenza anche in modo radicale.
Sempre De Benoist difende in modo argomentato le tesi di Jean-Claude Michéa contro i mandarini della sinistra (quelli francesi sono sempre assai temibili) che lo accusano di tradimento per aver semplicemente detto la verità, e cioè che la sinistra ha rotto con la classe operaia e con il socialismo ed è ormai «stata corrotta dal pensiero liberale» (32). È per questo che «Michéa non esita a dire, come Pier Paolo Pasolini, Cornielius Castoriadis, Christopher Lasch e molti altri, che lo spartiacque destra-sinistra è oggi divenuto obsoleto e mistificatore» (29). Questi e tanti altri studiosi -Orwell e Debord tra i più espliciti- hanno sempre rifiutato l’«idea ripugnante per cui un intellettuale non deve dire ciò che pensa, ma ciò che immagina di dover dire in funzione degli ultimi sondaggi elettorali» (31).
È a partire dalla libertà di espressione e di distanza che si può essere ebrei -come Alain Finkielkraut, Élisabeth Lévy, Éric Zimmer- e rifiutare l’’industria dell’olocausto’ o la reductio ad Hitlerum di ogni avversario dell’occidentalismo (14).
È a partire dalla libertà di espressione e di distanza che si può respingere l’esaltazione della ‘Grande Guerra’, ricordando che «quella guerra fu un abominio e che da essa sono scaturiti tutti gli orrori del XX secolo», una guerra che annientò la classe operaia, sancendo la fine delle rivoluzioni sociali che avevano costellato l’Ottocento; di questo evento fondamentale bisogna ricordarsi oggi più che mai, «oggi, nel momento in cui quegli stessi che nel 1914 volevano contenere la potenza tedesca cercano adesso di accerchiare la potenza russa» (De Benoist, 21-22), non per difendere il diritto degli ucraini all’autodeterminazione ma per distruggere o almeno controllare tutte le strutture politiche ed economiche che non si sottomettano all’ultraliberismo della troika e di Wall Street, «ovvero il mondialismo anglosassone» (Michel Lhomme, 38).
È a partire dalla libertà di espressione e di distanza rispetto alla rivendicazione contemporanea dell’ignoranza, che si può dire -come fa Michéa, ricordato da de Benoist- «che l’oblio della storia e delle lettere classiche non è affatto una ‘disfunzione’ della scuola, bensì lo scopo esatto che ad essa è ormai assegnato». L’oblio del passato, il disprezzo verso le lingue e culture antiche, l’ironia nei confronti delle ricerche accademiche non immediatamente trasformabili in brevetti commerciali, corrispondono «alle esigenze congiunte della sinistra liberale, dell’industria del tempo libero e del padronato. Per questo la scuola attuale fabbrica dei cretini in serie, cioè degli incolti spinti esclusivamente dall’immediatezza dei loro desideri mercantili» (15). Come è noto, Erasmo da Rotterdam disse una volta che «quando ho un po’ di denaro mi compro dei libri, e se me ne resta acquisto del cibo e dei vestiti» (cit. da de Benoist, 15). Ma Erasmo era un uomo libero e distante.

Creature della notte

Solo gli amanti sopravvivono
(Only Lovers Left Alive)
di Jim Jarmusch
Gran Bretagna-Germania-Francia-Cipro-USA, 2013
Con: Tom Hiddleston (Adam), Tilda Swinton (Eva), Mia Wasikowska (Ava), John Hurt (Marlowe), Anton Yelchin (Ian), Jeffrey Wright (il Dottor Watson)
Trailer del film

Adam vive a Detroit, Eve a Tangeri. Si amano appassionatamente. Lei conosce e legge molte lingue ed è antica amica di Marlowe. Lui compone musica per le chitarre di ogni tempo e luogo. Vivono e viaggiano di notte, prediligono la solitudine, coltivano la bellezza e la scienza. L’arrivo della sorella di lei, più giovane e decisamente viziata, disturba i loro luoghi, infrange i loro equilibri, ma non tocca la quiete profonda che li intesse. Adam e Eve hanno bisogno di procurarsi sangue. È però sempre più difficile trovarne di non contaminato. E forse sono rassegnati a spegnersi nella notte dalla quale sono venuti. Soprattutto Adam è stanco della follia, della stupida ripetitività, della gratuita ferocia degli umani. Ma Eve, saggiamente, gli ricorda che «se dovessimo elencare i crimini che gli zombie hanno perpetrato nei secoli, staremmo qui sino all’alba», l’alba in cui inizia il loro sonno.
Elegante e malinconica metafora dell’arte e dell’artista, della solitudine e dei solitari, della lettura e dei lettori. Metafora intrisa di musiche e di danze. La creatura della notte conosce la morte e sa che cosa è il tempo. Per questo il suo ritmo è così calmo e la sua angoscia così sapiente.

Arte / Politica

Cildo Mereiles
A cura di João Fernandes
Museu de Arte Contemporânea de Serralves  – Porto
Sino al 26 gennaio 2014

Politica è l’arte di Cildo Meireles. Grandi installazioni e piccole composizioni testimoniano infatti «di che lagrime grondi e di che sangue» il dominio degli Stati Uniti d’America nello spazio e nel tempo.
Olvido (1987-1989) è una tenda indigena costruita con banconote di tutti i Paesi del continente americano su un terreno composto da tonnellate di ossa e circondato da un muro formato da quasi settantamila candele. Marulho (1991-1997) è la suggestiva ricostruzione di un pontile che dà su un mare fatto di libri, di volumi aperti su immagini di onde mentre il sonoro diffonde la parola acqua pronunciata in centinaia di lingue. Nós formigas (2007-2013) si trova all’esterno del museo: si tratta infatti di una gru che sostiene un enorme cubo di pietra sotto il quale può collocarsi il visitatore per vedere la faccia inferiore del cubo abitata da una colonia di termiti. Noi formiche di una società nella quale «le spectacle n’est pas un ensemble d’images, mais un rapport social entre des personnes, médiatisé par des images» (‘lo spettacolo non è un insieme di immagini ma una relazione sociale tra persone, mediatizzata dalle immagini’, Debord, La Société du Spectacle, Gallimard 1992, prop. 4, p. 16).
E molte altre invenzioni nelle quali si entra come in un gioco, con cui si interagisce divertiti, sulle quali si riflette mentre si sta dentro la creazione artistica e i suoi significati politici.

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