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Il Partito Unico

E così tutto è compiuto. Il sogno della fazione di destra del Partito Comunista Italiano -ricondurre una forza anticapitalista dentro l’alveo di un’Europa subordinata agli Stati Uniti d’America- si è realizzato al di là delle stesse speranze di colui che ha tenacemente operato per decenni in questa direzione: Giorgio Napolitano. Passato dallo stalinismo all’ultraliberismo, costui ha mantenuto costante il nucleo autoritario che lo ha sempre ispirato, sino a negare ora apertamente i tre capisaldi di qualunque democrazia degna di tale nome: la distinzione tra maggioranza e opposizione, la divisione dei poteri, l’informazione come strumento di critica dell’azione politica.

Contro la fisiologica e necessaria dialettica parlamentare tra governo e opposizione, Napolitano esorta da anni alla formazione di una maggioranza che si estenda a tutte le forze politiche, ha promosso un’unità intessuta di complicità, di interessi personali, di reciproci ricatti. Quando si poteva cancellare l’anomalia criminale del berlusconismo -nel novembre del 2011- sciogliendo le Camere e dando vita a un governo di sinistra, ha invece affidato l’Italia a un banchiere spietato, incapace e clericale, offrendo alla destra più corrotta d’Europa tutto il tempo per ricostituirsi. Ha poi predeterminato il risultato politico qualunque fosse stato l’esito delle elezioni. E infatti nonostante il 75% degli italiani che si sono recati alle urne abbia espresso con chiarezza la volontà di farla finita con Berlusconi, Napolitano ha operato affinché costui fosse di nuovo al centro della dinamica politica, esito non contrastato dal defunto Partito Democratico anche per la ragione indicata da Franco Berardi Bifo: «Il cinismo è il suo [del medium televisivo] tono morale predominante, perché l’inconscio collettivo prevale sulla ragione critica, e l’inconscio collettivo si identifica ora con la figura narrativa del vincente. La sinistra pensava che l’immoralismo avrebbe portato alla sconfitta del mammasantissima. Sbagliava perché gli italiani che vivono nel mondo descritto in Reality da Matteo Garrone voteranno Berlusconi anche quando lo vedranno inculare il bambino Gesù (purché sia mostrato in tivù)» («L’evento italiano», in Alfabeta2, n. 28, aprile 2013, p. 6).
Contro la divisione dei poteri ha lentamente ma inesorabilmente eroso l’autonomia del legislativo sottoponendolo all’azione dilatata di un esecutivo che a sua volta risponde soltanto a un potere -quello del Presidente della Repubblica- al quale la Costituzione nega un simile spazio. Napolitano ha poi sistematicamente umiliato il potere giudiziario sino alla clamorosa richiesta di un intervento della Corte Costituzionale che gli desse ragione nei confronti di chi stava indagando sui suoi amici.
Contro la libertà dell’informazione ha evocato il dovere per quest’ultima di «collaborare» con il governo. Affermazione di inaudita gravità antidemocratica.

La logica dell’Identità, il monoteismo autoritario e verticale del Padre, ha così prevalso sulla logica della Differenza e sulla pratica della molteplicità. Il panorama è quello plumbeo dei vecchi paesi sovietici, verso il totalitarismo dei quali l’anima di quest’uomo non ha in realtà mai cessato di rivolgersi.
E affinché sia ancora più chiara la fine che devono fare quanti osano davvero proporre la differenza, Napolitano e i suoi complici nel governo e nei partiti assistono gelidi all’inusitato attacco alla libertà e ai diritti dei parlamentari del M5S eletti da più di otto milioni di cittadini, assistono compiaciuti alla violazione delle loro caselle di posta elettronica, dei loro computer, delle loro vite private e delle azioni politiche, in modo che nessun personaggio importante che tenga a se stesso e voglia far carriera si azzardi a stare dalla parte di questi appestati. Sta accadendo qualcosa di simile a ciò che si verificò tra il 1922 e il 1924, quando l’immunità parlamentare garantì i fascisti ma non Gramsci e i nemici del Duce.
C’è molta ideologia nell’azione di Napolitano e dei suoi complici, c’è molta fedeltà al fascismo perenne della storia italiana e al sogno di società chiusa del comunismo sovietico. Ma credo ci sia anche la potenza di un ricatto che lo stesso Presidente subisce. Ricatto del quale le intercettazioni prontamente distrutte dopo la sua assurda ma emblematica rielezione sono la prova, il sigillo, il veleno.

In un denso articolo del 24 aprile scorso, Barbara Spinelli paragona l’azione del Movimento 5 Stelle al “folle volo” dell’Ulisse dantesco, al testardo rifiuto di morire nella quiete della non speranza, alla lotta contro «l’ideologia […] con cui Pangloss indottrina l’inerme Candide, in Voltaire: stiamo andando verso il migliore dei mondi possibili, l’Europa meravigliosamente si integra, ed ecco  – horribile visu!-  una coorte di paradossali e tristi sovvertitori mirano proprio al contrario: alla dis-integrazione».
Soltanto delle menti e delle vite profondamente autoritarie, meschine e complici dell’ingiustizia possono interpretare come “dis-integrazione” la parola che dice no, l’anelito alla differenza, la molteplicità politica e ontologica. Nel fallimento di quel folle volo -che non è di Beppe Grillo o del Movimento 5 Stelle ma è di chiunque voglia ancora vivere libero- c’è tutta la tragedia di un’Italia destinata alla miseria antropologica prima che economica; c’è il lutto senza fine di un Paese che da secoli è servo; c’è la prefigurazione di ciò che si vorrebbe diventasse l’intero pianeta, le cui risorse e bellezza e differenze devono cedere alla rapace azione di un unico potere che prende di volta in volta le maschere della finanza, dei Bilderberg, di tutte le massonerie e di tutte le mafie; un mondo le cui risorse e bellezza e differenze devono inabissarsi in un solo gorgo.
«E la prora ire in giù, com’altrui piacque, / infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso»
(Commedia, «Inferno», canto XXVI, vv. 141-142).

Realtà

Reality
di Matteo Garrone
Con: Aniello Arena (Luciano), Loredana Simioli (Maria), Nando Paone (Michele), Raffaele Ferrante (Enzo), Nello Iorio (Massimone), Ciro Petrone (barista)
Italia, 2012
Trailer del film

«Osservate la locandina del film (magari cliccando sopra per ingrandirla). Un ambiente visto dall’alto. Con alcune poltrone intensamente illuminate. Su quella in alto a sinistra sta sdraiato un uomo con le braccia incrociate dietro la testa. Tutti possono guardarlo. Il luogo è insieme chiuso e aperto. Quel soggetto ha raggiunto la pace. È diventato una sola cosa con lo splendore dell’immagine, con l’iridescenza della “Casa”. La vita di quest’uomo è cambiata da quando, quasi per caso, ha partecipato a una delle tante selezioni per il Grande Fratello. Lavoro, affetti, amici, famiglia, si sono a poco a poco dissolti nell’ossessione di un futuro di notorietà, di soldi, di luci. L’ambiente di lavoro ha cominciato ai suoi occhi a pullulare di persone inviate dal Grande Fratello a controllare se abbia detto o no la verità. Per mostrare a queste presenze la propria forza e originalità Luciano dà inizio a un vero e proprio potlatch, a uno spreco di beni, di risorse, di tempo, di senso».

Così comincia la recensione pubblicata sul numero 15 – ottobre 2012 di Vita pensata (pp. 65-67). Qui aggiungo quanto scrive Franco Berardi Bifo in un suo articolo dal titolo Incubi e schermi. La cornice perfetta, pubblicato a pagina 28 del numero 25 – dicembre 2012/gennaio 2013 di Alfabeta2:
«La fascinazione dello schermo e la cattura della mente sono irreversibili, e Reality di Matteo Garrone è il film definitivo sul potere biopolitico contemporaneo. Proprio oggi che in Italia credono che Berlusconi abbia perduto il potere, Garrone dice la verità: è vero il contrario. Berlusconi può essere sconfitto sul terreno fittizio della politica, un consulente della Goldmann Sachs può andare al suo posto per realizzare lo stesso programma, magari una coalizione di centro-sinistra può vincere le prossime elezioni. Ma l’Italia non esce dallo schermo.
Neo-realismo e barocco si incontrano perché il barocco è la realtà della storia italiana moderna. Quelli che credono che la corruzione e la demenza italiana siano il lato malato della sana austerità liberista, come al solito, non capiscono niente. Non capiscono cos’è la realtà del Semiocapitale, che si fonda sull’illusione ottica, l’ipertrofia dell’immagine, l’inflazione proliferante di flussi linguistici e la manipolazione predatoria dello scambio (semiotico ed economico tra loro confusi, interdipendenti). […] L’Italia è il laboratorio barocco della dittatura mondiale dell’ignoranza».
Reality è uno dei film più belli e più importanti di questi anni.

Tra Chicago e la miseria

Capire l’economia non è facile. Un articolo di Archimede Callaioli -pubblicato sul numero 309 di Diorama letterario, pp. 1/5- aiuta a comprendere meglio gli scenari macroeconomici del presente. Non tutto in questo testo è convincente, a partire da un eccessivo apprezzamento per il modello economico tedesco e dalla distinzione tra i lavoratori cinesi che lavorerebbero dieci ore al giorno per tutta la vita mentre quelli occidentali non aspetterebbero che di diventare “rentier”, godendo per molti anni di una pensione. Liquidazioni e pensioni non sono un regalo dei governi o delle aziende ma soldi che i lavoratori -soprattutto dipendenti- sono obbligati a versare proprio in vista della cessazione dell’attività lavorativa. Non solo: alla stregua di redditieri sarebbero da considerare tutti i salariati e gli stipendiati, tesi semplicemente bizzarra.

Al di là di questi limiti, l’analisi di Callaioli si rivela molto accurata e capace di spiegare bene ciò che sta accadendo all’economia globalizzata. L’Autore riferisce che il capo della Federal Reserve, Ben Bernanke, è uno dei maggiori studiosi delle politiche rooseveltiane, che si propone di ricalcare per uscire dalla crisi attuale. Una differenza clamorosa è però che mentre il New Deal impose la separazione tra le banche commerciali e quelle di investimento, i presidenti statunitensi da Reagan in poi hanno prima depotenziato e poi ufficialmente abolito tale distinzione, lasciando campo libero al dominio della speculazione finanziaria. Ma la differenza principale rispetto agli anni Trenta consiste nel fatto che «fu l’inflazione il vero fulcro dell’azione rooseveltiana, quella che permise di minimizzare i debiti e di ripartire praticamente da zero: le politiche espansive, la guerra e la ristrutturazione industriale ebbero effetto solo in quanto la loro ricaduta fu l’inflazione», la quale azzera i debiti ma anche le rendite. Proprio per questo essa non è più praticabile, poiché la massa dei percettori di rendite -pur se minime- è ormai tale che un loro azzeramento comporterebbe una catastrofe sociale: «una ondata inflattiva getterebbe sul lastrico quasi tutti i pensionati (decine di milioni di persone), con effetti che si possono facilmente immaginare, e che dobbiamo sforzarci di tenere presenti perché questo irresolubile dilemma è un ulteriore indizio del fatto che la crisi è la crisi  definitiva di un sistema».

Importante è anche la critica che l’Autore rivolge al culto tributato al Prodotto Interno Lordo -che è «il valore monetario dei beni e dei servizi finali -consumi, investimenti fissi, variazioni sulle scorte, esportazioni- prodotte in un anno sul territorio nazionale al lordo degli ammortamenti», il quale «può forse misurare la ricchezza prodotta da un paese ma non è una rappresentazione attendibile del suo benessere. Infatti, se aumentano gli ammalati di malattie gravi che richiedono cure costose, aumenta il Pil, ma il benessere generale probabilmente diminuisce». In sistemi dove la sanità e i servizi essenziali sono a carico dei singoli, come quelli anglosassoni, il Pil risulta dunque sovrastimato e per essi «vale il noto aforisma che l’eroe del Pil americano è un malato di cancro che sta divorziando, probabilmente non l’immagine migliore di una persona felice».

Callaioli descrive due modelli assai diversi per uscire dalla crisi attraverso il cosiddetto “rigore”: quello statunitense e quello tedesco. Il primo è dogma della troika costituita dai responsabili dell’Unione Europea, della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale, a proposito del quale «memorabile resta l’invettiva di Hugo Chávez: “su Marte c’era vita, poi ci ha pensato il Fondo Monetario Marziano”».

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«Economic Sense» e filosofia

Per fortuna temono ancora le parole. Definiscono “governo di tecnici” il governo dei banchieri; chiamano Spending review (insopportabili anglicismi da colonizzati) la sottrazione di risorse alla sanità, ai trasporti pubblici, ai servizi per i cittadini. L’Università è riuscita per ora a evitare che 200 milioni di euro le venissero rubati a favore delle scuole private. Ma l’esercito non è stato in pratica toccato, l’acquisto di centinaia di cacciabombardieri F-35 è in bilancio, lo spreco criminale di soldi pubblici nel Treno ad Alta Velocità è diventato un dogma di fede per tutti i partiti, le spese per far guerra all’Afghanistan e all’Iraq continuano.
Il fatto è che il capitalismo ha vinto le ultime due guerre mondiali: la Seconda sui campi di battaglia e la Guerra fredda sui campi della geopolitica. Chi vince impone le proprie assurdità. Come l’ultraliberismo che il premio Nobel per l’economia Paul Krugman, docente a Princeton, e Richard Layard, direttore del centro studi della London School of Economics, giudicano un errore rovinoso. Nel Manifesto for Economic Sense da loro promosso e pubblicato sul Financial Times -niente di sovversivo quindi- i due studiosi scrivono tra l’altro:

«Le cause. Molti responsabili politici insistono sul fatto che la crisi è stata causata dalla gestione irresponsabile del debito pubblico. Con pochissime eccezioni –come la Grecia– questo è falso. Invece, le condizioni per la crisi sono state create da un eccessivo indebitamento del settore privato e dai prestiti, incluse le banche sovra-indebitate. Il crollo della bolla ha portato a massicce cadute della produzione e quindi del gettito fiscale. Così i disavanzi pubblici di grandi dimensioni che vediamo oggi sono una conseguenza della crisi, non la sua causa.
[…]
Il Fondo Monetario Internazionale ha studiato 173 casi di tagli di bilancio dei singoli paesi e ha scoperto che il risultato coerente è la contrazione economica. Nella manciata di casi in cui il consolidamento fiscale è stato seguito da una crescita, i canali principali erano un deprezzamento della valuta nei confronti di un mercato mondiale forte, una possibilità non disponibile al momento. La lezione dello studio del FMI è chiara: i tagli al bilancio ritardano la ripresa. E questo è ciò che sta accadendo ora: i paesi con i maggiori tagli di bilancio hanno avuto le più pesanti cadute dell’output». [Una traduzione di questo Manifesto si può leggere su Keynes blog ]

Davvero sono delle affermazioni di buon senso economico, che però il puro ideologismo dei banchieri che governano la finanza mondiale si rifiuta di comprendere e di praticare, preferendo la catastrofe sociale e umana pur di salvare non i popoli ma le banche e le loro operazioni speculative. Banche che se vincono le loro scommesse d’azzardo -questo è di fatto “il Mercato”- incassano il danaro; se perdono, chiedono e ottengono che siano i cittadini a ripianare i loro debiti. È quello che sta succedendo a partire dal fallimento della Banca Lehman Brothers nel 2008.

Armi, guerre, speculazioni finanziarie, totale disinteresse verso le sorti del pianeta mentre la catastrofe ambientale si avvicina inesorabile. Sembra che una vera e propria pulsione autodistruttiva stia dominando i decisori politici e i popoli che ne seguono i dettami. Lo sguardo filosofico tutto questo lo sa. La filosofia è il regno della libertà, è il luogo di un potere altro, un potere senza armi, senza leggi, senza polizie, senza preti, senza banche, senza padroni. Il potere dell’entità che conoscendo se stessa apprende il nucleo dal quale si generano ogni sapienza e ogni luce. Questo senso e questa libertà accadono qui e ora ogni volta che un barlume di intelligenza spezza l’oscurità e fa vedere.

Poliziesco

Diaz
di Daniele Vicari
Italia, 2012
Con: Jennifer Ulrich (Alma Koch), Claudio Santamaria (Max Flamini), Elio Germano (Luca Gualtieri), Ralph Amussou (Etienne), Renato Scarpa (Anselmo Vitali), Mattia Sbragia (Armano Carnera)
Trailer del film

C’è qualcosa che non funziona se le riunioni dei capi dei Paesi democratici si tengono in città blindate e in stato d’assedio. Funziona ancora meno se in una di queste città -Genova, luglio 2001- i servizi segreti permettono l’afflusso di gruppi militarizzati. E smette del tutto di funzionare se centinaia di poliziotti in assetto di guerra irrompono di notte in una scuola dove dormono giovani e meno giovani e picchiano selvaggiamente, ripetutamente, fanaticamente gli ospiti inermi. Non contenti, portano ragazzi e ragazze nella caserma di Bolzaneto e li torturano.
La verità, però, è che tutto questo ha funzionato benissimo. Perché ha applicato l’indicazione di Mao Zedong di “colpirne uno per educarne cento”. Da allora, infatti, i movimenti di protesta sono stati più rari e più prudenti. Le persone ci pensano più di una volta prima di rischiare la vita e le ossa sotto i tonfa dei poliziotti.
Poliziotti che hanno fatto il loro mestiere di servi dei poteri criminali che a Genova stabilirono la politica economica ultraliberista che ci sta portando alla rovina. Le violenze e le torture del 2001 vennero decise a freddo dai capi di governo e dai padroni delle banche in vista di una strategia di repressione del pensiero critico tramite una vecchia tattica che gli stati utilizzano da almeno due secoli: infiltrarsi, provocare, diffondere il terrore, reprimere.
Di tutto questo Diaz racconta con efficacia la brutale azione dei servi ma tace quasi del tutto sulle volontà dei padroni. Non compaiono nemmeno i reali nomi dei poliziotti che sono stati condannati per lesioni, falsa testimonianza, violenza privata (in Italia il reato di tortura non esiste). Non compaiono i responsabili politici -Scajola ministro degli Interni; Fini, vicepresidente del consiglio presente non si sa a che titolo nella sala operativa della Questura nei giorni del G8; Castelli ministro della giustizia presente a Bolzaneto la notte delle torture. Compare solo un filmato nel quale Silvio Berlusconi recita le sue consuete menzogne anche sui fatti di Genova.

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I pessimi

«In considerazione della esigenza di rilanciare lo sviluppo economico del Paese e fornire un aiuto alla crescita…». Così inizia il testo della cosiddetta ennesima “Manovra” finanziaria. Che cosa è “il Paese”? È la terra, i fiumi, il paesaggio, le abitazioni. È la storia lunga, travagliata e tenace di una popolazione. Il Paese sono soprattutto le persone, gli esseri umani, la loro condizione economica, fisica, esistenziale. Il Paese che il governo Monti dichiara di voler salvare è invece altro. Sono gli speculatori finanziari, sono i grandi appalti criminogeni, sono le società di assicurazione, sono soprattutto le banche e i loro investimenti più a rischio e più lontani dall’economia reale, le loro scommesse sui fallimenti delle imprese, ad esempio sull’impossibilità da parte dei cittadini di pagare i loro mutui e i propri debiti (li chiamano “derivati”).
Per salvare il Paese reale si sarebbero potute prendere molte decisioni: cancellare TAV e Ponte sullo stretto; non acquistare 131 cacciabombardieri F35 dal costo di 18 miliardi di euro (chi dobbiamo andare a bombardare?) e ritirarsi dalle infami guerre nelle quali buttiamo altro denaro; stabilire misure efficaci contro l’evasione fiscale (rendendo ad esempio detraibili tutte le spese documentabili); far pagare le frequenze televisive alla RAI e a Mediaset, invece che regalargliele; imporre l’ICI sugli immobili di proprietà del Vaticano. A una domanda su quest’ultima possibile entrata Monti ha risposto: «È una questione che non ci siamo posti». Appunto. Come non se l’era posta neppure Berlusconi, il cui sostegno al governo rimane ovviamente fondamentale  -visto che il suo partito ha la maggioranza in Senato- e che può ben riconoscersi in una serie di provvedimenti che colpiscono i lavoratori che pagano già le tasse, non toccando invece i grandi patrimoni.

Ha ragione Guido Viale : «Monti e Marchionne sono esempi lampanti di banalità, ferocia contro i deboli, complicità con i forti, inconcludenza». Sono un esempio degli errori economici gravissimi ai quali conduce la dottrina liberista, oltre che della sua intrinseca disumanità, dell’essere il liberismo un’espressione di Mammona. Gli eventi della storia umana sono anche geometrici, posta una causa l’effetto segue: con il trionfo ottenuto nella Guerra fredda il liberismo ha dispiegato e dispiega ogni suo dogma fin negli interstizi più riposti delle vite umane. Uccidendole.  Pessimo governo perché pessimo è il Capitale.

La Russia di Cartier-Bresson

Henri Cartier-Bresson. Russia
Genova – Palazzo Ducale
Sino al 14 febbraio 2010

Cartier-Bresson visitò l’Unione Sovietica nel 1954 e nel 1972. All’indomani della morte di Stalin e nel pieno della Guerra Fredda. Ma ciò che il suo sguardo incomparabile sa cogliere è la costante antropologica che precede di molto le rivoluzioni e che a esse sopravvive. I santi, le icone, la fede che traspira dagli sguardi sono gli stessi sia che vengano rivolti alle Madonne ortodosse sia che abbiano come oggetto Stalin e gli altri santi del partito comunista. L’entusiasmo e la dedizione di milioni di russi al regime sembrano autentici. I bambini in divisa delle scuole elementari si alternano a una borsa oggetto di desiderio delle massaie moscovite; le gigantografie di Lenin -per quanto enormi tanto da coprire interi palazzi- sembrano sparire al confronto con gli immensi spazi della Russia profonda. La sensazione è che le tradizioni culturali, religiose, simboliche siano sopravvissute anche al dogmatismo rivoluzionario e che invece si stiano dissolvendo a contatto con il liberismo, che tutto riduce a merce e moneta. L’occhio di Cartier-Bresson suggerisce forse una triste verità: gli umani si adattano meglio alla servitù del gregge che alla libertà della polis.

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