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Modernità

La natura reazionaria e socialmente criminale del Partito Democratico è ormai confermata da una miriade di parole e azioni. Tra queste spiccano per la loro intelligenza le affermazioni della ministra Boschi a proposito della sua riforma costituzionale -nelle quali ha preso per fascisti anche i partigiani– e quelle della ministra Giannini sulla bellezza e modernità insita nell’essere precari.

«Dobbiamo abituarci all’idea di un mondo impostato su un modello economico di stampo americano, dove il precariato è la norma. Dobbiamo abituarci a vite con meno certezze immediate, fatte da persone che si spostano continuamente e dobbiamo incentivare i loro movimenti». Un concetto, questo, che la Ministra riprende da Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, che intervistato dall’Espresso ha spiegato come il modello sociale a cui si debba tendere sia quello statunitense, nel quale «bisognerebbe tassare tutto ciò che è immobile e detassare tutto ciò che è dinamico». (Fonte: Huffington Post, 4.5.2016)

A queste ridenti dichiarazioni il Prof. Andrea Miccichè -docente di Storia contemporanea presso l’Università Kore di Enna- ha risposto sulla lista del Coordinamento Unico di Ateneo di Catania. Il collega ha ricordato la modernità del nonno emigrante. Un modello, questo, al quale evidentemente si ispirano non soltanto gli ultraliberisti statunitensi ma anche il Partito e il Governo guidati da Matteo Renzi:

«Leggendo le parole del ministro ho pensato a mio nonno e alla sua modernità, perché non aveva certezze immediate e si muoveva continuamente. Stava una stagione in Venezuela, e poi tornava in Sicilia. Là faceva l’ambulante, qui il contadino, e con una plurima condizione: un po’ bracciante, un po’ piccolo(issimo) proprietario, un po’ mezzadro. Si muoveva continuamente da una parte all’altra del globo. Poi si è imborghesito, ma solo un po’,e ha limitato i suoi movimenti al continente europeo. Andava in Germania da manovale (o ‘mastro’, le fonti sono incerte, ma non doveva essere un gran ‘mastro’ evidentemente) e poi tornava giù in Sicilia  a mietere il grano, a raccogliere l’olio, a vedere i figli, perché erano sempre diversi ogni volta che li incontrava. Alternava professionalità in gran numero, però, e con gran modernità si muoveva continuamente. Come un ‘modello americano’. Magari di meno che in passato, ma continuava a essere modernissimo. Poi ha smesso di essere moderno e si è comprato un pezzo di terra e ha fatto di tutto per dare un’istruzione a suo figlio, affinché almeno lui avesse l’opportunità di vivere con meno modernità. La modernità se l’era già fatta lui per tutti, anche per i nipoti. Almeno quella era la sua speranza.
Ma malgrado tutto, malgrado i cedimenti finali, lo possiamo dire: quanta modernità americana in quella generazione di emigranti».

Democrazia?

Le recenti elezioni politiche portoghesi hanno visto la vittoria di una sinistra critica nei confronti dell’Europa delle banche. È bastato questo perché il presidente della Repubblica -Anibal Cavaco Silva- attuasse una sorta di colpo di stato, affidando la formazione del governo alle forze sconfitte, favorevoli alla Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale).
Come si sa, in Grecia la volontà dei cittadini è stata calpestata in vari modi.
Se in Italia il Movimento 5 Stelle vincesse le elezioni, ipotizzo che la conseguenza sarebbe un colpo di stato anche violento, orchestrato dalle massonerie e dalle mafie che dominano i partiti -in primo luogo Forza Italia e il Partito Democratico-, le quali stanno letteralmente spolpando la nostra società e la nostra economia.
Sono, questi, alcuni degli eventi che provano come di fatto la democrazia in Europa non esista più, sostituita dalla Troika, dai criminali della finanza. Un processo che consegue dalla vittoria del liberalismo totalitario, il quale in tutto il mondo sta distruggendo con inesorabile miopia culture, differenze, libertà, popoli, pensiero, economie. Lo fa non soltanto con le armi che uccidono i corpi ma anche e soprattutto con l’enorme «manipolazione di massa che è in atto nel mondo occidentale con lo scopo di annientare tutti gli anticorpi in grado di ostacolare la diffusione del pensiero unico liberale, molla e, nel contempo, veicolo del più grande progetto di colonizzazione e sradicamento che l’umanità ha conosciuto» (M. Tarchi, in Diorama letterario, n. 324, p. 3).
È questo imperialismo liberista a produrre fenomeni apparentemente antitetici ma di fatto convergenti verso il tramonto del pensiero. Così nasce anche l’ISIS, che ha tra i suoi scopi il cancellare la memoria storica e i documenti antropologici di intere civiltà la cui struttura è stata o è diversa rispetto all’economicismo ultraliberista. E infatti, a proposito di Palmira e di altre grandi città, Tarchi ha ragione a osservare che

non vi è dubbio che chi rispondesse che, per quanto tragica sia la perdita di vite umane, la cancellazione della testimonianza di una civiltà fiorita due millenni orsono sarebbe un crimine ancor più orrendo, perché attenterebbe alla memoria collettiva di interi popoli, che trascende la somma delle individualità che li hanno composti, sarebbe inchiodato al muro della vergogna mediatica e trattato alla stregua di un cinico barbaro, privo di sentimenti e di spirito civico (Ivi, p. 1).

Analoga a tale devastazione è quella che gli organismi finanziari dominanti esercitano sui lacerti di democrazia appesi al gancio dell’estremismo liberista. Assai chiaro è quanto «ha detto senza fronzoli Jean-Claude Juncker, portavoce degli strangolatori liberali e in subordine presidente della Commissione europea, ‘non ci può essere scelta democratica contro i trattati europei’ (sic)» (A. de Benoist, ivi, p. 6).
Una frase che ha il pregio della chiarezza.

Autoritarismo

«Il governo Renzi sarà ricor­dato per l’istituzione del ‘pre­side mana­ger’, una figura di padre-padrone dotato del potere di chia­mata diretta dei docenti, ma anche di quello di con­fe­rire un aumento sti­pen­diale, dopo avere con­sul­tato gli organi del suo isti­tuto. Lì dove non è riu­scito Ber­lu­sconi e Gel­mini, con il Ddl Aprea, lì è arri­vato il governo gui­dato dal Pd che rea­lizza un vec­chio sogno ricor­rente: quello di una scuola com­piu­ta­mente azien­da­li­sta, gerar­chica e pro­dut­ti­vi­stica. Ma non basta: a questo diri­gente dotato di super-poteri verrà con­cessa la parola finale sulla for­ma­zione dei docenti che avverrà nell’istituto dove lavora» (Roberto Ciccarelli, il manifesto, 13.3.2015). Sì, è un altro dei progetti berlusconiani che il Partito Democratico va realizzando, uno dei più importanti e dalle conseguenze di lunga durata.
Per comprendere in quali forme e sino a che punto sia autoritario il progetto illustrato dal governo del PD-Nuovo Centrodestra è utile il quadro sinottico pubblicato su repubblica. Basta guardarlo per capire come i presidi posti a capo delle scuole italiane durante il regime del Partito Nazionale Fascista fossero meno potenti dei Dirigenti Scolastici voluti dal Partito Democratico e dai suoi ministri. Non sono pochi, dunque, coloro che pur avendo militato nella sinistra antiautoritaria -compresi molti militanti del ’68 e di Lotta Continua- ora sono zitti e pronti a sostenere o almeno ad accettare una scuola peggiore di quella fascista. Dov’è adesso chi chiedeva a D’Alema di ‘dire qualcosa di sinistra’? È un’intera generazione ‘di sinistra’ che trova il proprio totale fallimento in questo grave progetto di subordinazione delle scuole alla volontà e all’arbitrio di un singolo soggetto.
Ho insegnato per molti anni nei Licei e ho conosciuto numerosi presidi; se uno di essi –un preside del Liceo Beccaria di Milano– avesse avuto i poteri che ora gli vengono attribuiti, la mia presenza in quella scuola sarebbe stata impossibile; invece che portarmi in tribunale -come fece- costui mi avrebbe semplicemente licenziato. Altri casi sono illustrati in un libro del 2012 dal titolo Presidi da bocciare?Ma la realtà del mobbing, del condizionamento, del ricatto è nelle scuole assai più pervasiva di quanto tali testimonianze indichino. In un clima di questo genere non è ovviamente possibile educare davvero i ragazzi. È possibile solo trasmettere loro ipocrisia, individualismo, sfrenata competizione. Vale a dire alcuni dei valori del Partito Democratico di Renzi. L’Università -forse a causa anche della sua tradizione secolare- rimane più democratica. I direttori dei Dipartimenti (i vecchi presidi di Facoltà) vengono infatti eletti dall’intero corpo docente. Ed è quanto si dovrebbe fare anche nelle scuole. Esattamente l’opposto di «questa trasforma­zione gene­tica delle forme demo­cra­ti­che nella scuola», una degenerazione del tutto coerente con l’estremismo liberista al quale l’intera politica italiana è subordinata.
Il governo del Partito Democratico sarà ricordato anche per aver istituzionalizzato le pratiche così descritte da Dario Generali: «La loro miserabile benevolenza viene concessa non ai docenti migliori e più qualificati, che appaiono sempre troppo autonomi e pericolosi, in quanto non controllabili, ma a chi sostiene l’aspirante despota nel proprio ruolo, mostrando deferente sottomissione» («Presidi e stato di diritto», in Presidi da bocciare?,  a cura di Augusto Cavadi, Di Girolamo Editore, Trapani 2012, p. 101).

Il Partito Unico

E così tutto è compiuto. Il sogno della fazione di destra del Partito Comunista Italiano -ricondurre una forza anticapitalista dentro l’alveo di un’Europa subordinata agli Stati Uniti d’America- si è realizzato al di là delle stesse speranze di colui che ha tenacemente operato per decenni in questa direzione: Giorgio Napolitano. Passato dallo stalinismo all’ultraliberismo, costui ha mantenuto costante il nucleo autoritario che lo ha sempre ispirato, sino a negare ora apertamente i tre capisaldi di qualunque democrazia degna di tale nome: la distinzione tra maggioranza e opposizione, la divisione dei poteri, l’informazione come strumento di critica dell’azione politica.

Contro la fisiologica e necessaria dialettica parlamentare tra governo e opposizione, Napolitano esorta da anni alla formazione di una maggioranza che si estenda a tutte le forze politiche, ha promosso un’unità intessuta di complicità, di interessi personali, di reciproci ricatti. Quando si poteva cancellare l’anomalia criminale del berlusconismo -nel novembre del 2011- sciogliendo le Camere e dando vita a un governo di sinistra, ha invece affidato l’Italia a un banchiere spietato, incapace e clericale, offrendo alla destra più corrotta d’Europa tutto il tempo per ricostituirsi. Ha poi predeterminato il risultato politico qualunque fosse stato l’esito delle elezioni. E infatti nonostante il 75% degli italiani che si sono recati alle urne abbia espresso con chiarezza la volontà di farla finita con Berlusconi, Napolitano ha operato affinché costui fosse di nuovo al centro della dinamica politica, esito non contrastato dal defunto Partito Democratico anche per la ragione indicata da Franco Berardi Bifo: «Il cinismo è il suo [del medium televisivo] tono morale predominante, perché l’inconscio collettivo prevale sulla ragione critica, e l’inconscio collettivo si identifica ora con la figura narrativa del vincente. La sinistra pensava che l’immoralismo avrebbe portato alla sconfitta del mammasantissima. Sbagliava perché gli italiani che vivono nel mondo descritto in Reality da Matteo Garrone voteranno Berlusconi anche quando lo vedranno inculare il bambino Gesù (purché sia mostrato in tivù)» («L’evento italiano», in Alfabeta2, n. 28, aprile 2013, p. 6).
Contro la divisione dei poteri ha lentamente ma inesorabilmente eroso l’autonomia del legislativo sottoponendolo all’azione dilatata di un esecutivo che a sua volta risponde soltanto a un potere -quello del Presidente della Repubblica- al quale la Costituzione nega un simile spazio. Napolitano ha poi sistematicamente umiliato il potere giudiziario sino alla clamorosa richiesta di un intervento della Corte Costituzionale che gli desse ragione nei confronti di chi stava indagando sui suoi amici.
Contro la libertà dell’informazione ha evocato il dovere per quest’ultima di «collaborare» con il governo. Affermazione di inaudita gravità antidemocratica.

La logica dell’Identità, il monoteismo autoritario e verticale del Padre, ha così prevalso sulla logica della Differenza e sulla pratica della molteplicità. Il panorama è quello plumbeo dei vecchi paesi sovietici, verso il totalitarismo dei quali l’anima di quest’uomo non ha in realtà mai cessato di rivolgersi.
E affinché sia ancora più chiara la fine che devono fare quanti osano davvero proporre la differenza, Napolitano e i suoi complici nel governo e nei partiti assistono gelidi all’inusitato attacco alla libertà e ai diritti dei parlamentari del M5S eletti da più di otto milioni di cittadini, assistono compiaciuti alla violazione delle loro caselle di posta elettronica, dei loro computer, delle loro vite private e delle azioni politiche, in modo che nessun personaggio importante che tenga a se stesso e voglia far carriera si azzardi a stare dalla parte di questi appestati. Sta accadendo qualcosa di simile a ciò che si verificò tra il 1922 e il 1924, quando l’immunità parlamentare garantì i fascisti ma non Gramsci e i nemici del Duce.
C’è molta ideologia nell’azione di Napolitano e dei suoi complici, c’è molta fedeltà al fascismo perenne della storia italiana e al sogno di società chiusa del comunismo sovietico. Ma credo ci sia anche la potenza di un ricatto che lo stesso Presidente subisce. Ricatto del quale le intercettazioni prontamente distrutte dopo la sua assurda ma emblematica rielezione sono la prova, il sigillo, il veleno.

In un denso articolo del 24 aprile scorso, Barbara Spinelli paragona l’azione del Movimento 5 Stelle al “folle volo” dell’Ulisse dantesco, al testardo rifiuto di morire nella quiete della non speranza, alla lotta contro «l’ideologia […] con cui Pangloss indottrina l’inerme Candide, in Voltaire: stiamo andando verso il migliore dei mondi possibili, l’Europa meravigliosamente si integra, ed ecco  – horribile visu!-  una coorte di paradossali e tristi sovvertitori mirano proprio al contrario: alla dis-integrazione».
Soltanto delle menti e delle vite profondamente autoritarie, meschine e complici dell’ingiustizia possono interpretare come “dis-integrazione” la parola che dice no, l’anelito alla differenza, la molteplicità politica e ontologica. Nel fallimento di quel folle volo -che non è di Beppe Grillo o del Movimento 5 Stelle ma è di chiunque voglia ancora vivere libero- c’è tutta la tragedia di un’Italia destinata alla miseria antropologica prima che economica; c’è il lutto senza fine di un Paese che da secoli è servo; c’è la prefigurazione di ciò che si vorrebbe diventasse l’intero pianeta, le cui risorse e bellezza e differenze devono cedere alla rapace azione di un unico potere che prende di volta in volta le maschere della finanza, dei Bilderberg, di tutte le massonerie e di tutte le mafie; un mondo le cui risorse e bellezza e differenze devono inabissarsi in un solo gorgo.
«E la prora ire in giù, com’altrui piacque, / infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso»
(Commedia, «Inferno», canto XXVI, vv. 141-142).

Realtà

Reality
di Matteo Garrone
Con: Aniello Arena (Luciano), Loredana Simioli (Maria), Nando Paone (Michele), Raffaele Ferrante (Enzo), Nello Iorio (Massimone), Ciro Petrone (barista)
Italia, 2012
Trailer del film

«Osservate la locandina del film (magari cliccando sopra per ingrandirla). Un ambiente visto dall’alto. Con alcune poltrone intensamente illuminate. Su quella in alto a sinistra sta sdraiato un uomo con le braccia incrociate dietro la testa. Tutti possono guardarlo. Il luogo è insieme chiuso e aperto. Quel soggetto ha raggiunto la pace. È diventato una sola cosa con lo splendore dell’immagine, con l’iridescenza della “Casa”. La vita di quest’uomo è cambiata da quando, quasi per caso, ha partecipato a una delle tante selezioni per il Grande Fratello. Lavoro, affetti, amici, famiglia, si sono a poco a poco dissolti nell’ossessione di un futuro di notorietà, di soldi, di luci. L’ambiente di lavoro ha cominciato ai suoi occhi a pullulare di persone inviate dal Grande Fratello a controllare se abbia detto o no la verità. Per mostrare a queste presenze la propria forza e originalità Luciano dà inizio a un vero e proprio potlatch, a uno spreco di beni, di risorse, di tempo, di senso».

Così comincia la recensione pubblicata sul numero 15 – ottobre 2012 di Vita pensata (pp. 65-67). Qui aggiungo quanto scrive Franco Berardi Bifo in un suo articolo dal titolo Incubi e schermi. La cornice perfetta, pubblicato a pagina 28 del numero 25 – dicembre 2012/gennaio 2013 di Alfabeta2:
«La fascinazione dello schermo e la cattura della mente sono irreversibili, e Reality di Matteo Garrone è il film definitivo sul potere biopolitico contemporaneo. Proprio oggi che in Italia credono che Berlusconi abbia perduto il potere, Garrone dice la verità: è vero il contrario. Berlusconi può essere sconfitto sul terreno fittizio della politica, un consulente della Goldmann Sachs può andare al suo posto per realizzare lo stesso programma, magari una coalizione di centro-sinistra può vincere le prossime elezioni. Ma l’Italia non esce dallo schermo.
Neo-realismo e barocco si incontrano perché il barocco è la realtà della storia italiana moderna. Quelli che credono che la corruzione e la demenza italiana siano il lato malato della sana austerità liberista, come al solito, non capiscono niente. Non capiscono cos’è la realtà del Semiocapitale, che si fonda sull’illusione ottica, l’ipertrofia dell’immagine, l’inflazione proliferante di flussi linguistici e la manipolazione predatoria dello scambio (semiotico ed economico tra loro confusi, interdipendenti). […] L’Italia è il laboratorio barocco della dittatura mondiale dell’ignoranza».
Reality è uno dei film più belli e più importanti di questi anni.

Tra Chicago e la miseria

Capire l’economia non è facile. Un articolo di Archimede Callaioli -pubblicato sul numero 309 di Diorama letterario, pp. 1/5- aiuta a comprendere meglio gli scenari macroeconomici del presente. Non tutto in questo testo è convincente, a partire da un eccessivo apprezzamento per il modello economico tedesco e dalla distinzione tra i lavoratori cinesi che lavorerebbero dieci ore al giorno per tutta la vita mentre quelli occidentali non aspetterebbero che di diventare “rentier”, godendo per molti anni di una pensione. Liquidazioni e pensioni non sono un regalo dei governi o delle aziende ma soldi che i lavoratori -soprattutto dipendenti- sono obbligati a versare proprio in vista della cessazione dell’attività lavorativa. Non solo: alla stregua di redditieri sarebbero da considerare tutti i salariati e gli stipendiati, tesi semplicemente bizzarra.

Al di là di questi limiti, l’analisi di Callaioli si rivela molto accurata e capace di spiegare bene ciò che sta accadendo all’economia globalizzata. L’Autore riferisce che il capo della Federal Reserve, Ben Bernanke, è uno dei maggiori studiosi delle politiche rooseveltiane, che si propone di ricalcare per uscire dalla crisi attuale. Una differenza clamorosa è però che mentre il New Deal impose la separazione tra le banche commerciali e quelle di investimento, i presidenti statunitensi da Reagan in poi hanno prima depotenziato e poi ufficialmente abolito tale distinzione, lasciando campo libero al dominio della speculazione finanziaria. Ma la differenza principale rispetto agli anni Trenta consiste nel fatto che «fu l’inflazione il vero fulcro dell’azione rooseveltiana, quella che permise di minimizzare i debiti e di ripartire praticamente da zero: le politiche espansive, la guerra e la ristrutturazione industriale ebbero effetto solo in quanto la loro ricaduta fu l’inflazione», la quale azzera i debiti ma anche le rendite. Proprio per questo essa non è più praticabile, poiché la massa dei percettori di rendite -pur se minime- è ormai tale che un loro azzeramento comporterebbe una catastrofe sociale: «una ondata inflattiva getterebbe sul lastrico quasi tutti i pensionati (decine di milioni di persone), con effetti che si possono facilmente immaginare, e che dobbiamo sforzarci di tenere presenti perché questo irresolubile dilemma è un ulteriore indizio del fatto che la crisi è la crisi  definitiva di un sistema».

Importante è anche la critica che l’Autore rivolge al culto tributato al Prodotto Interno Lordo -che è «il valore monetario dei beni e dei servizi finali -consumi, investimenti fissi, variazioni sulle scorte, esportazioni- prodotte in un anno sul territorio nazionale al lordo degli ammortamenti», il quale «può forse misurare la ricchezza prodotta da un paese ma non è una rappresentazione attendibile del suo benessere. Infatti, se aumentano gli ammalati di malattie gravi che richiedono cure costose, aumenta il Pil, ma il benessere generale probabilmente diminuisce». In sistemi dove la sanità e i servizi essenziali sono a carico dei singoli, come quelli anglosassoni, il Pil risulta dunque sovrastimato e per essi «vale il noto aforisma che l’eroe del Pil americano è un malato di cancro che sta divorziando, probabilmente non l’immagine migliore di una persona felice».

Callaioli descrive due modelli assai diversi per uscire dalla crisi attraverso il cosiddetto “rigore”: quello statunitense e quello tedesco. Il primo è dogma della troika costituita dai responsabili dell’Unione Europea, della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale, a proposito del quale «memorabile resta l’invettiva di Hugo Chávez: “su Marte c’era vita, poi ci ha pensato il Fondo Monetario Marziano”».

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«Economic Sense» e filosofia

Per fortuna temono ancora le parole. Definiscono “governo di tecnici” il governo dei banchieri; chiamano Spending review (insopportabili anglicismi da colonizzati) la sottrazione di risorse alla sanità, ai trasporti pubblici, ai servizi per i cittadini. L’Università è riuscita per ora a evitare che 200 milioni di euro le venissero rubati a favore delle scuole private. Ma l’esercito non è stato in pratica toccato, l’acquisto di centinaia di cacciabombardieri F-35 è in bilancio, lo spreco criminale di soldi pubblici nel Treno ad Alta Velocità è diventato un dogma di fede per tutti i partiti, le spese per far guerra all’Afghanistan e all’Iraq continuano.
Il fatto è che il capitalismo ha vinto le ultime due guerre mondiali: la Seconda sui campi di battaglia e la Guerra fredda sui campi della geopolitica. Chi vince impone le proprie assurdità. Come l’ultraliberismo che il premio Nobel per l’economia Paul Krugman, docente a Princeton, e Richard Layard, direttore del centro studi della London School of Economics, giudicano un errore rovinoso. Nel Manifesto for Economic Sense da loro promosso e pubblicato sul Financial Times -niente di sovversivo quindi- i due studiosi scrivono tra l’altro:

«Le cause. Molti responsabili politici insistono sul fatto che la crisi è stata causata dalla gestione irresponsabile del debito pubblico. Con pochissime eccezioni –come la Grecia– questo è falso. Invece, le condizioni per la crisi sono state create da un eccessivo indebitamento del settore privato e dai prestiti, incluse le banche sovra-indebitate. Il crollo della bolla ha portato a massicce cadute della produzione e quindi del gettito fiscale. Così i disavanzi pubblici di grandi dimensioni che vediamo oggi sono una conseguenza della crisi, non la sua causa.
[…]
Il Fondo Monetario Internazionale ha studiato 173 casi di tagli di bilancio dei singoli paesi e ha scoperto che il risultato coerente è la contrazione economica. Nella manciata di casi in cui il consolidamento fiscale è stato seguito da una crescita, i canali principali erano un deprezzamento della valuta nei confronti di un mercato mondiale forte, una possibilità non disponibile al momento. La lezione dello studio del FMI è chiara: i tagli al bilancio ritardano la ripresa. E questo è ciò che sta accadendo ora: i paesi con i maggiori tagli di bilancio hanno avuto le più pesanti cadute dell’output». [Una traduzione di questo Manifesto si può leggere su Keynes blog ]

Davvero sono delle affermazioni di buon senso economico, che però il puro ideologismo dei banchieri che governano la finanza mondiale si rifiuta di comprendere e di praticare, preferendo la catastrofe sociale e umana pur di salvare non i popoli ma le banche e le loro operazioni speculative. Banche che se vincono le loro scommesse d’azzardo -questo è di fatto “il Mercato”- incassano il danaro; se perdono, chiedono e ottengono che siano i cittadini a ripianare i loro debiti. È quello che sta succedendo a partire dal fallimento della Banca Lehman Brothers nel 2008.

Armi, guerre, speculazioni finanziarie, totale disinteresse verso le sorti del pianeta mentre la catastrofe ambientale si avvicina inesorabile. Sembra che una vera e propria pulsione autodistruttiva stia dominando i decisori politici e i popoli che ne seguono i dettami. Lo sguardo filosofico tutto questo lo sa. La filosofia è il regno della libertà, è il luogo di un potere altro, un potere senza armi, senza leggi, senza polizie, senza preti, senza banche, senza padroni. Il potere dell’entità che conoscendo se stessa apprende il nucleo dal quale si generano ogni sapienza e ogni luce. Questo senso e questa libertà accadono qui e ora ogni volta che un barlume di intelligenza spezza l’oscurità e fa vedere.

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