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Leopardi / Ungaretti

L’appuntamento del 2024 del ciclo che da anni l’Associazione Studenti di Filosofia Unict dedica alle relazioni tra filosofia e letteratura ha riguardato tre dei massimi poeti italiani: Francesco Petrarca, Giacomo Leopardi e Giuseppe Ungaretti.
Ho avuto il piacere di parlarne alla presenza dialogante di Giuseppe Savoca, tra i più riconosciuti studiosi al mondo di tutti e tre i poeti. L’intervento del Prof. Savoca inizia dal minuto 53.20 e dura dieci minuti circa. Al minuto 1.28.20 abbiamo ascoltato e visto Ungaretti leggere la sua poesia In memoria.

Metto qui a disposizione la registrazione audio del secondo dei due incontri, che si sono svolti la scorsa primavera. Nel primo avevamo parlato di Petrarca e introdotto Leopardi. In quello del 9 maggio 2024 abbiamo letto Leopardi e Ungaretti.
La registrazione dura un’ora e cinquanta minuti ma per fortuna la si può scaricare e ascoltare con comodo quando si vuole.
Qui le notizie che il sito dell’ASFU ha dedicato ai due incontri :
– «Altro diletto che ‘mparar non provo»
 «Così divenni furia non mortale»

Consolo

Il Mediterraneo di Vincenzo Consolo e quello della storia
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
18 ottobre 2024
pagine 1-7

Indice
-Consolo, l’utopia
-Consolo, la storia

Vincenzo Consolo (1933-2012) rappresenta un singolare innesto di disincanto leopardiano, di impegno politico vittoriniano e di furore gaddiano. I temi antropologici, il destino, il dialetto, l’invenzione linguistica che ne fa un autore espressionista (e, interessante intuizione di Giuseppe Traina, anche postmoderno) vengono declinati in una evidente e inevitabile tonalità siciliana, quella che fa di Consolo un allievo, un amico, un fratello di Leonardo Sciascia e di Gesualdo Bufalino.
Uno dei temi più ricorrenti negli ultimi romanzi e racconti dello scrittore è quello dei migranti. In questo breve saggio formulo una critica alle sue prospettive. Mi riferisco in particolare al meticciato, nel quale lo scrittore vede un dispositivo di apertura, dialogo e arricchimento tra i popoli quando invece – lo si poteva vedere già all’inizio del XXI secolo ma certamente oggi è più evidente – rappresenta la tragedia e l’impoverimento della sostituzione, del crepuscolo dell’Europa fagocitata da un Occidente anglosassone al dominio del quale l’arrivo di masse di migranti dall’Africa e dall’Asia è del tutto funzionale.
Cerco di argomentare queste critiche anche sulla base degli studi di Fernand Braudel sul Mediterraneo e delle indagini sociologiche di Stephen Smith.
A fare da guida in questo percorso è la recente monografia che Giuseppe Traina ha dedicato allo scrittore: «Da paesi di mala sorte e mala storia». Esilio, erranza e potere nel Mediterraneo di Vincenzo Consolo (e di Sciascia) (Mimesis 2023).

«Furia non mortale»

Giovedì 9 maggio 2024 alle 16.00 nella sede del Centro Studi di via Plebiscito, a Catania, si svolgerà il secondo incontro del ciclo che quest’anno l’ASFU (Associazione Studenti di Filosofia Unict) dedica a filosofia e poesia. Insieme al Prof. Giuseppe Savoca riprenderemo la lettura di Giacomo Leopardi e parleremo dell’opera di Giuseppe Ungaretti. Opera che coniuga una profonda vibrazione esistenziale – la guerra, l’amore, il mito – con la ricerca della parola assoluta che sia «scavata nella vita come un abisso».
Il risultato è pura musica, una musica teoretica che trasforma le passioni in forma e le parole in uno spartito che canta il dolore e la pienezza d’esserci. Un componimento emblematico di tale dinamica è il Recitativo di Palinuro (da «La terra promessa») nel quale i versi strutturano una ripetizione musicale complessa e saggia di sei parole: sonno, pace, mortale, emblema, onde, furia. Parole che ritornano tutte nella terzina finale: «Crescente d’ultimo e più arcano sonno, / E più su d’onde e emblema della pace / Così divenni furia non mortale».

La musica filosofica di Petrarca e Leopardi

Da sette anni l’Associazione Studenti di Filosofia Unict (ASFU) organizza un ciclo di incontri dedicato a Filosofia e Letteratura. Dopo aver letto Proust (2018), Dürrenmatt (2019), Gadda (2020), Céline  (2021), Manzoni (2022) e D’Arrigo (2023), quest’anno parleremo di filosofia e poesia attraverso l’opera di tre fra i più grandi poeti di tutta la nostra storia letteraria: Petrarca, Leopardi e Ungaretti.
Giovedì 11 aprile 2024 alle 16.00 nella sede del Centro Studi di via Plebiscito, a Catania, avrò la gioia e l’onore di presentare la musica poetica e filosofica di Petrarca e di Leopardi insieme al docente che quando ero studente mi guidò alla comprensione della letteratura europea contemporanea, Giuseppe Savoca, ora Professore emerito dell’Università di Catania.
Nell’oceano della poesia universale, e particolarmente nel mare di quella italiana, l’opera dei poeti più grandi è certamente anche teoretica ed è insieme musicale, è quel «cantar che ne l’anima si sente» (Petrarca, Rerum Vulgarium Fragmenta, CCXIII, v. 6) che in Petrarca, Leopardi, Ungaretti vibra in modo magnifico e costante.
L’opera di Francesco Petrarca è interamente musica, una musica teoretica che diventa sistema del mondo in particolare nei sei Trionfi (1374). La scrittura di Giacomo Leopardi oltrepassa ogni distinzione tra poesia e filosofia, ponendosi come l’inevitabile, oggettivo, sereno strumento e risultato di un esercizio di piena razionalità e non di sterile disperazione. Leopardi pensa e scrive affinché il demone della nascita non prevalga, affinché sulla sua sconfitta si possa stendere la potenza del pensare, lo splendore della materia, della sua entropia, dell’«infinita vanità del tutto» (A se stesso, v. 16). Petrarca e Leopardi confermano che filosofia è anche guardare la Gorgone e non morire.

Pavese poeta

Lunedì 8 aprile 2024 alle 18.00 alla libreria Feltrinelli di Catania parteciperò alla presentazione del volume che raccoglie tutta l’opera in versi di Cesare Pavese, i suoi testi editi e inediti, le traduzioni da poeti greci – specialmente Omero -, latini, moderni, soprattutto i romantici. Il libro, edito da Mondadori, è stato curato da Antonio Sichera e Antonio Di Silvestro, colleghi italianisti del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Unict.
Si tratta di un libro/oceano, non soltanto nella mole (1728 pagine) ma soprattutto nella potenza, nell’energia ermeneutica e filologica. È un libro necessario, che permette di avere con sé e davanti a sé l’opera poetica di uno dei maggiori scrittori italiani di ogni tempo. Un libro amico, per l’evidente affetto che traspare nella cura, negli apparati, nelle introduzioni; un’amicizia non priva di contrasti e di momenti di distanza, come tutte le amicizie profonde, autentiche, feconde.

Da Lavorare stanca

I mari del Sud
Camminiamo una sera sul fianco di un colle,
in silenzio. Nell’ombra del tardo crepuscolo
mio cugino è un gigante vestito di bianco,
che si muove pacato, abbronzato nel volto,
taciturno. Tacere è la nostra virtù.
Qualche nostro antenato dev’essere stato ben solo
– un grand’uomo tra idioti o un povero folle –
per insegnare ai suoi tanto silenzio.

(vv. 1-8; p. 77)

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Da Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Sempre vieni dal mare (19-20 novembre ’45)
Sempre vieni dal mare
e ne hai la voce roca,
sempre hai occhi segreti
d’acqua viva tra i rovi,
e fronte bassa, come
cielo basso di nubi.
Ogni volta rivivi
come una cosa antica
e selvaggia, che il cuore
già sapeva e si serra.
[…]
Fin che ci trema il cuore.
Hanno detto un tuo nome.
Ricomincia la morte.
Cosa ignota e selvaggia
sei rinata dal mare.

(vv. 1-10 e 40-44; pp. 201-202)

La pelle

Curzio Malaparte 
La pelle
Garzanti, 1967 (1949)
Pagine 334

I fatti. Anzitutto i fatti. Quelli che tutti conoscono ma che è bene tacere. I fatti dei quali molti europei erano stati testimoni e conservavano memoria ma che era bene trattare come se non fossero accaduti. I fatti dell’Italia e dell’Europa liberata dagli eserciti alleati. Fatti che aiutano a comprendere in modo più ampio che cosa quella liberazione fu, quale costo ebbe per i popoli del nostro continente.
I fatti.
Bambini e bambine venduti ai soldati vincitori da parte dei loro stessi familiari.
L’amicizia e i ‘fidanzamenti’ dei soldati americani, in particolare i soldati neri, come grandi affari necessari alla sopravvivenza: «Il negro non sospettava di nulla. Non si avvedeva di esser comprato e rivenduto ogni quarto d’ora e camminava innocente e felice […] Non sospettava neppure di esser venduto e comprato come uno schiavo. […] Un negro americano era una miniera d’oro» (p. 25).
Una ragazza vergine mostrata come cosa rara e con la possibilità di infilare un dito nella sua vagina in modo da verificare che vergine fosse realmente: «Per sentirsi eroi, tutti i vincitori hanno bisogno di veder queste cose. Hanno bisogno di ficcare il dito dentro una povera ragazza vinta» (50).
Un rito iniziatico della ‘Internazionale degli invertiti’, denominato ‘la Figliata’.
Degli ebrei crocifissi dai nazisti in Ucraina.
Le bombe al fosforo su Amburgo: «Il fosforo è tale che si appiccica alla pelle come una viscida lebbra, e brucia solo al contatto dell’aria. Non appena quei disgraziati sporgevano un braccio fuor della terra o dell’acqua, il braccio si accendeva come una torcia. Per ripararsi dal flagello, quegli sciagurati erano costretti a rimanere immersi nell’acqua o sepolti nella terra come dannati nell’Inferno di Dante. […] E nulla valeva ad arrestare il morso di quella terribile lebbra ardente» (104).
L’amatissimo cane di Malaparte -di nome Febo- rubato a Pisa, venduto per pochi soldi alla Clinica Veterinaria dell’Università, torturato con la vivisezione: «Era disteso sul dorso, il ventre aperto, una sonda immersa nel fegato. Mi guardava fisso, e gli occhi aveva pieni di lacrime. Aveva nello sguardo una meravigliosa dolcezza. Respirava lievemente, con la bocca socchiusa, scosso da un fremito orribile. Mi guardava fisso, e un dolore atroce mi scavava il petto» (159).
A un pranzo del Generale Cork viene portato in tavola l’ultimo rarissimo pesce rimasto nell’acquario di Napoli (gli Alleati avevano proibito la pesca per ragioni militari); un pesce-sirena che sembra pari pari una bambina bollita e che come tale viene accolto con orrore dai commensali: «Io guardavo quella povera bambina bollita, e tremavo di pietà e di orgoglio dentro di me. Meraviglioso paese, l’Italia ! pensavo. Quale altro popolo al mondo si può permettere il lusso di offrire a un esercito straniero, che ha distrutto e invaso la sua patria, una Sirena alla maionese con contorno di coralli? Ah ! Metteva conto di perder la guerra, sol per vedere quegli ufficiali americani, quell’orgogliosa donna americana, sedere pallidi e sbigottiti d’orrore intorno a una Sirena, a una deità marina distesa morta in un vassoio d’argento, sulla tavola di un generale americano!» (218).

Questo fu la Seconda guerra mondiale a Napoli, in Italia, in Europa, ovunque. Compresa la guerra di resistenza al nazifascismo. Quest’ultima fu «un’atroce guerra civile» (302) e la guerra universale fu una «guerra non contro gli uomini, ma contro Cristo» (301), nome che compare lungo tutto il romanzo -anche il cane Febo è un Cristo crocifisso- a indicare probabilmente per contrasto l’impossibile purezza dell’umanità. Una guerra che sarebbe stato vergogna vincere (così la chiusa, p. 328). Una guerra che vide le popolazioni sottomettersi con gioia ai nuovi padroni e alla loro sorridente e ottimistica depravazione. Una guerra i cui luoghi italiani stupiscono i militari americani, che mostrano tutta la loro ignoranza su Roma e sull’Italia. Una guerra dove, a Napoli, nobiltà e plebe confermano ancora una volta la loro complicità, la loro reciproca fedeltà, la loro familiarità. Una guerra alla fine della quale uscirono dalle loro tane coloro che in esse si erano rifugiati -tane letterali, tane metaforiche- e che poi, «un giorno, morto il tiranno, faran gli eroi della libertà» (161). Una guerra che diventa piccola cosa al cospetto della potenza di due vulcani: l’«Etna, Olimpo di Sicilia» (161) e soprattutto il Vesuvio, la cui eruzione del 1944 viene descritta da Malaparte nel modo epico che quell’evento merita e che vide punite l’arroganza e il sentimento di superiorità dei soldati alleati, diventati anch’essi dei pezzenti del terrore, straccioni in fuga di fronte alla potenza del fuoco.

La lingua di Malaparte sembra davvero la pittura di Brueghel o di Bosch (esplicitamente ricordati a p. 29). La follia di Brueghel e di Bosch ricondotta e trasformata nella follia della Napoli e dell’Europa contemporanee.
Napoli, «la più misteriosa città d’Europa» (40); Napoli vittima di una peste, di un «nuovissimo morbo […] che non corrompeva il corpo, ma l’anima» (33), simile in questo al morbo contemporaneo denominato Covid19; Napoli, l’antica cui «nobile voce della fame, della pietà, del dolore, della gioia, dell’amore, l’alta rauca, sonora, allegra, trionfante voce era spenta» (322) ma con la dignità del suo popolo intatta, nonostante tutte le azioni turpi e infami delle quali diventa complice a favore dei ‘liberatori’; Napoli della quale Malaparte disegna come a nessun altro ho visto fare «il sapore e l’odore della luce» (120).
Al di là di Napoli, tutta l’Europa «è un paese misterioso, pieno di segreti inviolabili» (21); è una terra nobile, saggia ed estrema. E tale rimane anche quando non viene «purificata ma corrotta dalla sofferenza», anche quando non viene «esaltata ma umiliata dalla raggiunta libertà» (123). Durante la catastrofe delle due guerre nelle quali e con le quali l’Europa si è uccisa, dopo e di fronte agli effetti di tale autodistruzione, pur in mezzo alla «sottile, cinica, perversa propaganda condotta di lontano, e mirante a dissolvere il tessuto sociale europeo, in previsione di ciò che gli spiriti deboli del nostro tempo salutano come la grande rivoluzione dell’età moderna» (130), l’Europa è ancora la culla della luce pur rischiando d’essere la sua tomba.
E questo anche per merito dei suoi scrittori, filosofi e artisti, come lo stesso Curzio Malaparte, perseguitato dal fascismo e ostracizzato dall’antifascismo, avendo «sofferto la galera per la libertà dell’arte» (99) e l’emarginazione e delle bizzarre accuse per la stessa ragione. Come altri scrittori, filosofi e artisti, Malaparte può dire con chiarezza in mezzo alla devastazione, «io ero l’Europa. Ero la storia d’Europa, la civiltà d’Europa» (199).
I morti di Napoli e i morti universali; «hanno una forza terribile, i morti, e potrebbero spezzare i ferri, romper la cassa, buttarsi fuori a mordere» (70). Morti i quali, e qui l’intuizione antropologica è profonda, «eran stranieri, appartenevano a un’altra razza, alla razza degli uomini morti, a un’altra patria, la morte» (308). È infatti un libro di antropologia La pelle. Un’antropologia disincantata e dagli accenti gnostici. Di fronte all’intera vicenda di macello e di dissoluzione che è la storia umana, infatti, si deve constatare che «gli uomini son capaci di qualunque vigliaccheria per vivere : di tutte le infamie, di tutti i delitti, per vivere» (44). Realisticamente ed empiricamente, «l’uomo è cosa ignobile. […] L’uomo è una cosa orrenda» (319-320), tanto che disprezzare in sé e negli altri questa umanità «è la prima condizione della serenità e della saggezza nella vita umana» (159-160).

«Il male è inguaribile» (60) e la sua bandiera politica, il suo simbolo antropologico, il suo stendardo esistenziale è un uomo schiacciato da un carro armato alleato mentre correva per le strade di Roma ad accogliere festante i vincitori. Ridotto a una sottile striscia di carne e di pelle, quello che di lui rimase «è la bandiera della nostra patria, della nostra vera patria. Una bandiera di pelle umana. La nostra vera patria è la nostra pelle. […] E unitici al corteo dei becchini, ci avviammo dietro la bandiera. Era una bandiera di pelle umana, la bandiera della nostra patria, era la nostra stessa patria. E così andammo a vedere buttare la bandiera della nostra patria, la bandiera della patria di tutti i popoli, di tutti gli uomini, nell’immondezzaio della fossa comune» (288-290).
Un romanzo di guerra e di memorie, scritto come una poesia che si trasforma in studio antropologico e in danza macabra. E sopra ogni cosa l’intelligenza del mondo e della storia.

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