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Etnie

Sul numero 19 (luglio 2019) di Vita pensata ho parlato di un film che ho visto durante una rassegna milanese dedicata al Festival di Cannes 2019. Si intitola Les Misérables, il regista è Ladj Ly.
Nato da genitori del Mali, Ladj Ly ha girato vari documentari su Montfermeil, la banlieue dove è cresciuto e dove Victor Hugo compose Les Misérables. Questo regista sa dunque di che cosa parla, sa quali sono i sentimenti e i pensieri dei francesi di origine africana, sa in quale degrado essi vivano e soprattutto sa che tra la Francia -la sua storia, la sua cultura, i suoi modi di vivere- e questi cittadini ci sono differenze che diventano abissi.
Il film descrive tale differenza in un modo che è insieme sociologico e narrativo. Letto alla luce di uno dei libri più rigorosi e informati sulla questione dei migranti dall’Africa all’Europa (è quello che in questo articolo ho cercato di fare), Les Misérables offre una prospettiva inquietante e realistica sul conflitto sociale ed etnico che attraversa sempre più le società europee.
Il trailer dà un’idea, per quanto parziale, di ciò che il 
film esprime e di come lo racconta.

Les Misérables

Un affare di famiglia
(Shoplifters)
di Kore’eda Hirokazu
Giappone, 2018
Con: Lily Franky (Osamu Shibata), Kirin Kiki (Hatsue Shibata), Sakura Andô (Nobuyo Shibata), Mayu Matsuoka (Aki Shibata), Jyo Kairi (Shota Shibata), Miyu Sasaki (Juri).
Trailer del film

Vivono insieme, in uno spazio angusto del quale condividono tutto. Chiamano ‘nonna’ l’anziana affittuaria  della casa. Svolgono lavori saltuari e malpagati. E soprattutto fanno la spesa e prendono la merce di cui hanno bisogno senza pagarla. Sono shoplifters, ‘taccheggiatori’ come recita il titolo in inglese, ancora una volta più esatto di quello italiano.
In una sera d’inverno l’uomo e il ragazzo rientrano dall’ennesimo furto e trovano una bambina sola al freddo in un balcone. La portano a casa. Pur con qualche resistenza, alla fine tutti accolgono con affetto la piccola Juri, che nessuno sembra cercare.
Dall’inverno all’estate: tutti insieme al mare, come una vera famiglia. Ma quando il giovane Shota viene scoperto dai commessi di un negozio, comincia la dissoluzione di questa famiglia nata dal bisogno e non dal sangue. Una famiglia che appare come tante altre ed è unita molto più di altre. Morale, giustizia, illegalità, egoismi e slanci si fondono e confondono, come accade ogni giorno nella vita degli umani.
I grandi elogi che il film ha ricevuto dopo la Palma d’Oro ottenuta a Cannes nel 2018 sono probabilmente eccessivi ma un suo sicuro merito è mostrare senza sentimentalismi come nessuna norma morale o codice giuridico possano racchiudere ed esaurire lo spazio della vita. E mostrare come un Paese ricco e avanzato qual è il Giappone capitalistico del XXI secolo non sia in alcune sue pieghe così diverso dalla Francia ottocentesca descritta nei Miserabili  di Victor Hugo.
Un segno distintivo e costante di tale continuità è dato dalla fame. Non una fame inappagata, no, una fame sempre esaudita. Quasi in ogni scena i personaggi mangiano, sgranocchiano qualcosa, si nutrono. Continuamente. L’atavico bisogno di sopravvivere nutrendosi -questa necessità fondamentale di ogni corpo che sia vivo- sta da sempre a fondamento di ogni codice giuridico e di ogni norma morale. Perché sta a fondamento dei corpi animali che gli umani sempre rimarranno.

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