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Annales

Fernand Braudel (a cura di)
PROBLEMI DI METODO STORICO
Antologia delle «Annales»
Traduzione di Alfredo Salsano
Laterza, Roma-Bari 1982 (1973)
Pagine 362

Les Annales rappresentano «una complessa rivoluzione storiografica» -secondo la definizione dello stesso Fernand Braudel (p. V)- cominciata nel 1929. La rivista ha infatti permesso di cogliere, o almeno questo ha tentato di fare, una storia globale in grado di aggiungere ai nomi, alle date, agli eventi, la difficile completezza della vita quotidiana, i movimenti dei gruppi e delle cose, il permanere delle mentalità, la vita materiale. Quest’ultima, ad esempio, comprende «cinque settori abbastanza vicini: l’alimentazione; l’alloggio e il vestiario; i livelli di vita; le tecniche; i dati biologici» (209).
Questa antologia contribuisce a penetrare in tale rivoluzione scientifica, e non soltanto storiografica, della quale poter comprendere contenuti, ricchezza, limiti. Les Annales hanno collegato la storiografia alle scienze umane, a volte persino identificandola con esse ma più spesso salvandone il peculiare carattere. I suoi fondatori, Marc Bloch e Lucien Febvre, hanno fin dall’inizio sottolineato la necessità di «un lavoro onesto, coscienzioso e solidamente documentato» (2). La rivista ha aperto molteplici e nuovi orizzonti fra i quali, oltre quelli già ricordati, emergono l’attenzione alla demografia o alla permanenza di problemi antichi fin nella contemporaneità, come quello dell’inquinamento già presente nella Bologna del XIII secolo e nella Francia del XVIII, la cui alta mortalità è prodotta anche dal fatto che «tutte le acque dei fiumi e dei pozzi sono inquinate; quella che viene bevuta è piena di germi, e se ne fa tanto più uso in quanto il vino è raro alla tavola del povero» (507).
A volte però, durante gli anni Settanta, il rigore storiografico della rivista si stempera nel tributo alle ideologie vincenti. Così, Pierre Vilar sembra identificare la storia marxista con l’unica storia possibile perché «scientifica» (602) e Charles Morazé forza il metodo braudeliano fino a farlo coincidere con una forma di determinismo storico che rappresenta soltanto una delle sue componenti, come si vede nello splendido Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II: «Così l’impotenza dei bolscevichi della prima ora di fronte all’ascesa dello stalinismo, il loro mutismo, il loro smarrimento e addirittura le loro sorprendenti “confessioni”, rientrano, a partire da una situazione data, in una logica o, se ci è lecito il neologismo, in una psicologica che consente una formalizzazione rigorosa quanto può desiderare uno spirito matematico» (520-521). Molto meglio, perché molto più dubbiosa, la conclusione del bel saggio su cinema e storiografia di Marc Ferro: «Ciò non vuol dire che la visione razionale della storia non sia valida, ma solo ricordare che, se non ci si vuole lasciar sfuggire nulla, bisogna che l’analisi non sia totalitaria, che non privilegi un unico metodo d’indagine» (628).
L’apertura metodologica e la varietà dei contenuti costituiscono alcune delle caratteristiche più preziose delle Annales, tuttora fondamentali per ogni ricerca storiografica che voglia conoscere la complessità e la ricchezza di ciò che Marc Bloch ha definito «una scienza degli uomini nel  tempo», la quale «ha incessantemente bisogno di unire lo studio dei morti a quello dei viventi», di coniugare l’analisi del passato con quella del presente (Apologia della storia o mestiere di storico [1941], Einaudi 1969, p. 56).

Occidente medievale

La civiltà dell’Occidente medievale
di Jacques Le Goff
(La civilisation de l’Occident médiéval, Arthaud, Paris 1964)
Trad. di Adriana Menitoni
Einaudi, Torino 1999
Pagine XX-533

 

Les Annales hanno trasformato la storiografia in una indagine globale sulle strutture materiali e intellettuali delle diverse epoche e società. Del Medioevo occidentale Le Goff descrive non soltanto il pullulare degli eventi ma anche e soprattutto la profondità dei parametri culturali e di mentalità. La distinzione di base è tra un Lungo medioevo, che durerebbe dal III secolo alla metà del XIX, nel quale «l’essenziale è costituito dal lungo equilibrio del modo di produzione feudale, dominato dalla ideologia cristiana» e un Corto medioevo che va dall’anno Mille alla Peste nera (p. XIV). Il testo incentra la propria analisi su quest’ultimo periodo, «il cuore del Medioevo», infanzia della nostra età e «vero inizio dell’Occidente medievale» (pp. XIII-XIV). In questi secoli la profonda unione tra il reale e l’immaginario fa scaturire idee, strutture, narrazioni, miti, obiettivi.
Due degli elementi centrali sono l’analogia e il simbolismo. La prima è una ontologia e gnoseologia dell’eco: «esiste veramente solo quello che ricorda qualcosa o qualcuno, quello che è già esistito» (188). Il secondo fa del pensare una costante ierofania, un continuo apparire di significati nascosti nelle strutture materiali. Per quanto riguarda la continuità tra il mondo antico e quello medievale, Le Goff osserva che «il pensiero antico nel Medioevo è sopravvissuto solo atomizzato, deformato, umiliato dal pensiero cristiano» (131); un autentico vandalismo condusse alla distruzione dei monumenti e delle testimonianze antiche, attuata «sia per ignoranza, sia per ostilità al paganesimo» (508).

Come esempio della ricchezza analitica di questo libro valga la discussione sul tema del feudalesimo, da non opporre -come spesso invece accade- alle strutture urbane, in quanto «feudalesimo e movimento urbano sono due aspetti di una stessa evoluzione, che organizza contemporaneamente lo spazio e la società» (105). Un altro esempio è costituito dall’evento politico e militare delle Crociate: in esse si riassumono per molti versi la violenza, il razzismo religioso, l’intrico di problemi sociali che agitarono l’Occidente medievale. Il loro portato fu secondo Le Goff completamente negativo, esse esasperarono i contrasti tra l’elemento latino e Bisanzio, la cristianità e l’islam, l’universalità e la dimensione locale, impoverirono l’economia, moltiplicarono la violenza. Prende così forma un «Medioevo delle profondità» (7), che è tempo del dolore, della miseria, della furia. Una società primitiva, tradizionalista, seminomade, povera e malata. Già le invasioni barbariche diedero il tono ai successivi dieci secoli: «le armi, la carestia, l’epidemia, le belve, questi saranno gli infausti protagonisti» (28). Pensiero e sensibilità furono impregnati di «un fondamentale pessimismo», quello di un mondo limitato e morente: «Mundus senescit» (183). L’Occidente medievale è l’universo della fame, delle miserie fisiche, dell’ostracismo verso gli stranieri, i lebbrosi, i poveri, i malati; dell’odio verso «colui che non si unisce alla maggioranza» (301); dei supplizi inauditi, della furia degli uomini tra di loro, dell’insicurezza materiale e morale. L’uscita dalla crisi prodotta dalla Grande Peste del 1348 «dà origine alla società del Rinascimento e dei tempi moderni, più aperta e, in genere, più felice dell’opprimente società feudale» (125).
In ogni caso, questo testo si pone al di là della denigrazione e dell’apologia, documentando in modo chiaro e assai ricco ogni sua affermazione, tesi, interpretazione. Il riconoscimento degli elementi di crescita individuale e collettiva è scevro da qualsiasi nostalgia; allo stesso modo, l’analisi dei numerosi aspetti di sofferenza non nasce da alcun pregiudizio e anzi parte dall’affermazione che «il fatto essenziale è comunque l’innegabile potenza creatrice del Medioevo» (XV). Le Goff offre un quadro complesso e plausibile del Medioevo, contro ogni Legenda aurea e insieme al di là di ogni ingenuo progressismo.

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