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Il caso Catania e i concorsi universitari

Sul numero 20 di Vita pensata (settembre 2019) è stata pubblicata un’ampia, circostanziata, non conformista analisi di Francesco Coniglione sulla questione dei concorsi universitari, a partire dalle inchieste che hanno coinvolto l’Ateneo di Catania. La lettura di questo saggio fa emergere la complessità dell’argomento, del tutto oscurata -ovviamente- dalla cosiddetta informazione giornalistica.

Coniglione descrive con grande chiarezza i meccanismi imposti dalla riforma Gelmini per la chiamata dei docenti universitari, a partire dall’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), e in particolare (perché questo è il punto) per il passaggio da ricercatori a professori associati e da associati a ordinari; evidenzia la loro complessità, per lo più ignota a chi si occupa di Università, soprattutto se lo fa in sede soltanto giudiziaria e in modalità scandalistiche; fa emergere la natura potenzialmente criminogena di alcune di queste norme; illustra i modi nei quali vari Atenei cercano di affrontare la questione con i loro regolamenti interni; accenna alla particolare severità del regolamento vigente nell’Università di Catania; affronta la questione dei baroni e della cooptazione; indica alcune possibili soluzioni rispetto alle procedure previste dalla legge in vigore.
Il testo richiede dunque attenzione e tempo, due beni non molto diffusi tra i lettori della Rete. In cambio, però, permette di comprendere la radice e le forme di ciò che è accaduto a Catania e che avviene allo stesso modo in tutti gli Atenei d’Italia, i quali sarebbero dunque tutti nella medesima situazione di Catania se la magistratura delle loro sedi se ne volesse occupare.
Consiglio quindi la lettura di questo testo a chi è davvero interessato a capire; esso fornisce gli strumenti giuridici e concettuali a partire dai quali ciascuno potrà poi liberamente elaborare un giudizio comunque più informato rispetto non soltanto alle notizie propagandate dai pessimi siti catanesi ma anche rispetto alla media della stampa italiana.

Questo numero di Vita pensata è dedicato per intero a tematiche scolastiche e universitarie; inserisco qui anche il pdf dell’editoriale: Severe ludere.

Lettera aperta ai candidati alla carica di Rettore di Unict

Sono giorni di tempesta per l’Università di Catania, che ha bisogno di ritrovare identità, trasparenza, correttezza. E dunque anche attenersi allo Statuto. La richiesta, o addirittura la pretesa, di differimento dell’elezione del nuovo Rettore e di commissariamento di Unict pur in presenza delle dimissioni del precedente Rettore, è un sintomo molto chiaro non soltanto del livello del ceto politico nazionale che parla in questi termini ma anche e soprattutto dell’atteggiamento di alcuni docenti dell’Ateneo e dei media locali.
Le forze che hanno contribuito all’attuale disastro vogliono tempo per ritessere le trame dei loro affari. A costoro nulla importa degli studenti, della ricerca, del territorio, dell’insegnamento, della scienza. Presto verranno invece formalizzate le candidature; da qual momento si discuta in modo aperto e pubblico della situazione in cui ci troviamo e delle vie d’uscita. E poi si elegga il nuovo Rettore, nei tempi previsti dallo Statuto e stabiliti dal Decano. Un Rettore radicato nella didattica e nella ricerca.
Mai come in questo momento ci devono accompagnare lucidità, energia, freddezza. Ne usciremo, nonostante le forze oscure che vogliono distruggere l’Università di Catania.
Qui sotto la Lettera aperta che il CudA indirizza ai candidati alla carica di Rettore.

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Lettera aperta ai candidati per la carica di Rettore dell’Università di Catania

L’Università di Catania si appresta a eleggere nei prossimi mesi il quarto Rettore in sei anni (ovvero l’arco previsto per una sola carica rettorale). Dal 2013 al 2019 già tre Rettori dell’Ateneo catanese si sono dimessi anzitempo o sono decaduti per deliberazioni della giustizia amministrativa. Basta questo dato per dire quanto complessa se non drammatica sia la situazione della nostra Istituzione.

La Nostra Università si trova oggi dinanzi a una duplice e ardua sfida: rigenerare la sua fisiologica autonomia istituzionale, ricuperando così quella credibilità e affidabilità che le è necessaria per operare all’altezza della sua tradizione; e insieme intraprendere un percorso di profonda riforma interna – sul piano culturale, gestionale e amministrativo – che le consenta non solo di recuperare il tempo in parte perduto nelle vicende di questi ultimi anni, ma anche di mettersi al passo con quei processi di trasformazione dell’Università che essa non ha ancora pienamente assimilato, in un tempo ancor più lungo.

A render ancor più complesso questo quadro, l’Ateneo dovrà, nel corso del 2020, sottoporsi a una non facile validazione della sua complessiva attività (didattica, ricerca, terza missione) da parte dell’Agenzia Nazionale della Valutazione dell’Università e della Ricerca (ANVUR).

Una tempesta perfetta.

Riteniamo che il Nostro Ateneo abbia le risorse per rispondere a queste sfide, a patto di sapere mobilitare il meglio delle sue energie, dei suoi talenti e delle sue capacità.

Riteniamo che questo non sia il momento per pur comprensibili ambizioni personali e individualismi; ma che sia necessario un valido e credibile progetto di gruppo che coniughi una visione condivisa e disinteressata nei confronti della missione formativa e scientifica con un alto profilo programmatico e gestionale.

Il prossimo Rettore dell’Ateneo – oltre a un ovvio ma indiscutibile curriculum di scienziato/a e studioso/a, stabilmente radicato/a nell’Università e nei suoi problemi – dovrà dunque, a nostro parere, esser capace di produrre quella “mobilitazione di idealità e ingegni” che è l’unica vera chance per la nostra comunità, oggi ferita, da ultimo (ma non solo) dalle vicende giudiziarie che la hanno interessata; ma viva e forte del suo passato, del suo futuro ma soprattutto del suo presente di comunità di eccellenza costituita da giovani, studiosi, lavoratori e lavoratrici.

È per questo fondamentale che il prossimo Rettore sia il pivot di un processo di trasformazione forte del nostro ateneo, legato a doppio nodo ai valori della legalità, della trasparenza, dell’autonomia vera e reale da interessi di cricche, lobby e partiti; e dunque dedicato senza esitazioni alle esigenze di benessere e futuro delle nostre studentesse, dei nostri studenti, delle loro famiglie e del nostro territorio.

In questo quadro proponiamo alcuni temi che ci paiono qualificanti per una vera ripresa del nostro Ateneo.

A livello locale consideriamo fondamentali i seguenti punti:

- Il rafforzamento del codice etico interno recentemente approvato (con il connesso codice deontologico dei doveri del docente) e la sua discussione in tutte le sedi istituzionali dell’Ateneo, oltre che la presentazione pubblica dello stesso ai portatori d’interesse, ai Comitati Consultivi dei Corsi di Studio e alle Consulte Studentesche.

- Una energica politica di sostegno al diritto allo studio, attraverso il finanziamento delle borse di studio e dei servizi agli studenti meritevoli ma non abbienti, per i quali UNICT (pur avendo messo in campo in questi anni alcune positive iniziative) è pur sempre tra i fanalini di coda del sistema universitario (si vedano le ultime statistiche nazionali). In generale è fondamentale il sostegno agli studenti come attori centrali dell’Università, cui garantire spazi e opportunità di crescita collettiva e individuale, nonché la possibilità di incidere sulle scelte dell’Ateneo a vari livelli. In questo quadro ci pare fondamentale un rinnovato rapporto con il sistema scolastico, affinché l’Università sia soggetto propulsivo e ascensore di crescita sociale per il suo territorio.

- Una revisione statutaria della governance di Ateneo, finalizzata a limitare la concentrazione dei poteri in poche mani e garantire meccanismi di controllo dal basso; in particolare per quel che riguarda la diminuzione del numero di direttori presenti in Senato Accademico, l’istituzione della consulta dei direttori di dipartimento, la scelta dei membri interni del Consiglio di Amministrazione effettuata tramite elezioni, l’innalzamento della quota studentesca e del PTA nelle elezioni del Rettore.

- Una politica di rilancio dell’offerta didattica in ambito di lauree triennali, una politica di incentivo e rafforzamento delle lauree magistrali, con una difesa dei saperi di base in tutti gli ambiti scientifici, e un programma strategico e urgente di sostegno ai dottorati di ricerca e ai processi di internazionalizzazione dell’Ateneo, su cui si è ancora in una condizione di insufficiente capacità.

- Una politica di investimento continuo nell’ambito della ricerca, con particolare riferimento ai bandi internazionali.

- Una programmazione condivisa e trasparente per gli investimenti sulle grandi apparecchiature.

- Un processo di crescita e riqualificazione del PTA, connesso allo snellimento delle procedure amministrative, al potenziamento del monitoraggi o della didattica e della gestione e diffusione dei risultati ottenuti nell’ambito della ricerca.

- Una piattaforma delle attività di Terza Missione e Public Engagement, che parta dal rilancio del sistema museale e della Città della Scienza.

- La ripresa della pratica delle conferenze programmatiche aperte a tutto l’Ateneo e al territorio sui temi principali della missione istituzionale: didattica, ricerca, internazionalizzazione, public engagement.

Nella dimensione nazionale della presenza di UNICT riteniamo che il nuovo Rettore debba promuovere un Coordinamento con gli altri Atenei, a partire da quelli meridionali, ai seguenti fini:

- La revisione del meccanismo di attribuzione del Fondo di Finanziamento Ordinario con una rideterminazione del peso della VQR

- La revisione dei criteri di distribuzione dei Punti Organico, con la richiesta di un piano straordinario di assunzioni di giovani leve, di un piano di almeno 100 mln per i passaggi da RTI a PA, della rideterminazione dell’indicatore nazionale di sostenibilità economico-finanziaria e delle spese di personale e l’incremento delle risorse del fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio.

- L’apertura di un tavolo nazionale sulla riforma della legge Gelmini e in particolare dello stato giuridico della docenza; un tavolo aperto di lavoro che vagli tutte le proposte oggi in campo, tra cui la creazione di un pre-ruolo unico che sfoltisca e razionalizzi la giungla di figure precarie della ricerca, la separazione tra reclutamento e avanzamento e la creazione di un ruolo unico della docenza universitaria con valutazione paritaria e permanente della didattica e della ricerca, come presente in altre realtà europee.

Infine, una richiesta accorata.
La campagna elettorale, breve ma intensa, che ci apprestiamo a vivere ci chiama tutte e tutti a una responsabilità diretta.
Non è il tempo di polemiche sterili e veleni personali.
È il tempo della trasparenza, del confronto democratico e franco e del comune sentimento di appartenenza a un’Istituzione che vede oggi messo in discussione il suo futuro.
Un’Istituzione – lo sappiamo tutti – da cui dipende il benessere di un territorio e di nuove generazioni che potrebbero vivere nel degrado culturale e nella desertificazione economica; o essere protagoniste di quel rilancio socio-economico e civile che da tempo tutte e tutti aspettiamo.
E che a loro dobbiamo.

Catania, 10 Luglio 2019

CUDA

(Coordinamento Unico dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera, aperta e democratica)

Unict non è un’associazione a delinquere

Il Coordinamento Unico dell’Ateneo di Catania, del quale faccio parte, ha scritto, discusso e diffuso il documento che pubblico qui sotto e allego in pdf, documento che ho contribuito a redigere e che spero aiuti a comprendere la realtà effettiva dell’Ateneo rispetto alle inesattezze, banalità e vere e proprie bugie che sono state in questi giorni ripetute.
Vorrei richiamare l’attenzione soprattutto su un passaggio del documento, sulla richiesta di «fare piena luce sugli ultimi e travagliati dieci anni della vita dell’Ateneo di Catania e sugli attori che hanno realmente e drammaticamente condizionato il suo operato, tramando con i partiti – che abbiamo sempre detto dover rimanere esterni alle vicende universitarie – e sottraendosi così a precise responsabilità per colpire chi ne aveva evidenziato le trame. Chi ha sinceramente a cuore l’esistenza e la funzione di questo Ateneo e l’opera che esso svolge nel suo territorio non può che chiedere con forza che emerga veramente tutto».

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Versione in pdf


L’Università di Catania non è un’associazione a delinquere ma va rigenerata

Lettera aperta agli studenti

Prima che come docenti è come educatori che ci rivolgiamo alle studentesse e agli studenti della nostra Università.
L’inchiesta della Procura di Catania sui vertici dell’Università della nostra città pone molti interrogativi e lancia molte ombre.
Noi riponiamo la massima fiducia nella magistratura giudicante e ci auguriamo che la giustizia faccia il suo corso nel più breve tempo possibile.
Chi ha sbagliato, infangando il nome del nostro Ateneo, dovrà pagare per quanto può avere commesso, e per l’onta che inevitabilmente da ciò può investire tutta la comunità accademica. Ci colpisce e indigna, al di là delle responsabilità penali, il tono di alcune delle anticipazioni, per il profilo culturale ed etico che emerge, non consono a un’istituzione come quella nella quale lavoriamo e per la quale spendiamo la nostra missione educativa nel nome della formazione delle nuove generazioni e della promozione della ricerca scientifica.
Al tempo stesso dobbiamo subito e con forza mettere in guardia da alcuni toni e interpretazioni dei fatti resi noti, in cui si confondono elementi concreti con altri irrilevanti. Riteniamo che i primi approfondimenti consentiranno di chiarire diversi aspetti di ciò che oggi viene contestato. Ad esempio, quando nelle intercettazioni si parla di ’18’ e ’24’ ci si riferisce semplicemente a due articoli della Legge Gelmini (Legge che noi abbiamo criticato aspramente alla sua approvazione, che è origine di molte delle storture attuali dell’Università, ma che tale è), i cui articoli stabiliscono le diverse modalità di espletamento dei concorsi; quando si parla di 12 o più pubblicazioni ci si riferisce al limite numerico delle ricerche scientifiche che si possono presentare a un concorso: anche questo elemento è stabilito dalle leggi in vigore, è presente in molti ordinamenti europei e non è frutto di alcuna macchinazione; alcuni dei concorsi – quelli “dell’articolo 24” – sono infine riservati a candidati già in servizio nell’Ateneo che bandisce: ciò è prescritto dalla legge, la quale stabilisce che gli atenei possono utilizzare il suddetto articolo fino al massimo del 50% delle risorse disponibili destinandole agli avanzamenti locali. Dunque si applica una legge, anche quando vi è un solo candidato perché uno solo è il docente dell’ateneo abilitato in quel settore scientifico-disciplinare.

Che l’Università abbia bisogno di rinnovamento – a partire dal regime dei concorsi sancito dalla Legge Gelmini e che ha forti patologie di sistema in tutta Italia – è fuori di ogni dubbio, lo denunciamo da anni proponendo, insieme ai movimenti nazionali per la riforma universitaria, soluzioni concrete: come il ruolo unico della docenza per il ricambio generazionale – quella italiana è l’Università più vecchia e meno finanziata d’Europa a partire dal diritto allo studio – e la valutazione paritaria e permanente dei docenti, della didattica e della ricerca. Paradossalmente però, occorrerà vigilare affinché questa vicenda non riporti l’orologio indietro ma contribuisca al rinnovamento nel segno della trasparenza e del merito.
Al di là del tremendo danno di immagine, il pericolo che fronteggia oggi il nostro Ateneo – per l’ennesima volta decapitato nei suoi vertici politici – è che la sua attività venga rallentata, i concorsi bloccati, le discipline non erogate.
Le vittime prime e ultime di tutto questo non saranno solo le persone indagate, e tra loro anche colleghi della cui correttezza siamo convinti, che ci auguriamo e riteniamo verranno sollevati da accuse i cui contorni lasciano molto perplessi, annegate come sono nell’ipotesi dell’associazione criminale.
Le vittime prime e ultime non saranno i docenti già incardinati, che continueranno a fare il loro lavoro: bene chi già lo svolgeva bene e male chi già lo svolgeva male.
Le vittime di tutto questo non saranno i soggetti più discutibili e oscuri che da troppi anni condizionano l’Università di Catania.
Le vittime di tutto questo saranno gli studenti siciliani e catanesi, le loro lauree, i dottorati, la ricerca, le loro speranze di futuro e benessere.

Speriamo che nei prossimi giorni il quadro appaia più definito e concreto. E speriamo che la magistratura giudicante possa celermente accertare la validità o meno dell’intero impianto probatorio annunciato. In ogni caso, qualunque cosa accada, noi proseguiremo nel nostro lavoro con il rigore e la competenza di cui siamo capaci, ancor più motivati a bene operare e convinti delle moltissime professionalità di cui l’Ateneo è forte e da cui oggi deve ripartire. Ma anche con l’orgoglio di appartenere alla nostra Università. Un’Università che vanta eccellenze scientifiche, didattiche e culturali e che non elegge certamente i Rettori con i “pizzini”(come qualcuno, con sboccata analogia, afferma).
Una Università che è giusto criticare per ciò che non funziona (e noi lo facciamo, da anni, richiamando spesso inascoltati le esigenze di un’etica pubblica nuova e avanzata); ma anche difendere come istituzione da accuse generiche e generalizzate.
L’Università di Catania è un bene comune, un grande e insostituibile valore pubblico del nostro territorio. Invitiamo per questo la città e la sua opinione pubblica a vigilare affinché non si alzi un polverone in cui buoni e cattivi, vittime ed “eroi”, vengono tragicamente confusi. Non sarebbe la prima volta a Catania; e lo sappiamo tutti molto bene.

Proprio per questo auspichiamo che il Ministero dell’Università – che di certo dovrà intervenire – invii un’ispezione che possa fare piena luce sugli ultimi e travagliati dieci anni della vita dell’Ateneo di Catania e sugli attori che hanno realmente e drammaticamente condizionato il suo operato, tramando con i partiti – che abbiamo sempre detto dover rimanere esterni alle vicende universitarie – e sottraendosi così a precise responsabilità per colpire chi ne aveva evidenziato le trame.
Chi ha sinceramente a cuore l’esistenza e la funzione di questo Ateneo e l’opera che esso svolge nel suo territorio non può che chiedere con forza che emerga veramente tutto. Solo così l’Università di Catania potrà ripartire, svincolata dalle tare del passato e forte del suo patrimonio di comunità fatta di donne e uomini liberi.

Catania, 1 luglio 2019 

CUDA

(Coordinamento Unico dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera, aperta e democratica)

Una catastrofe didattica

Qualche giorno fa ho svolto gli esami di una delle materie che insegno. Riepilogo qui i risultati.
Studenti esaminati: 21
Non approvato (è il modo burocratico di definire una bocciatura): 10
Voto 18: 5
Voto 20: 1
Voto 22: 2
Voto 23: 1
Voto 24: 1
Voto 26: 1
Come si vede, una catastrofe didattica. Non è la prima volta, anche se devo aggiungere che in altre mie discipline i risultati sono migliori. E tuttavia l’esito avrebbe potuto essere anche peggiore se non fossi stato un po’ accondiscendente e mi fossi attenuto con rigore al livello scientifico che un esame universitario sempre richiede.
Le spiegazioni di una simile situazione possono essere numerose: il docente è una carogna (tendo per ovvie ragioni a escludere tale risposta); gli studenti tentano la fortuna (lo si fa più spesso di quanto si pensi e con esito anche positivo); i contenuti sono troppo difficili (ma siamo all’Università, vale a dire al livello più alto della formazione); le conoscenze di base sono scarse (credo che questa sia una delle spiegazioni più sensate, visto il livello medio di preparazione con il quale gli studenti escono dalle scuole, nonostante l’impegno totale e la serietà professionale di moltissimi insegnanti, impegno e serietà che ben conosco per la mia lunga esperienza nei licei); le persone hanno dei limiti naturali, come ha osservato in maniera assai franca Arthur Schopenhauer: «Il nostro valore intellettuale, come quello morale, non ci giunge quindi dall’esterno, ma sgorga dalla profondità del nostro proprio essere e nessuna arte educativa pestalozziana può fare di un babbeo nato un uomo pensante» (Parerga e Paralipomena, tomo I, trad. di G. Colli, Adelphi 1981, p. 647) (una tesi che rappresenta l’opposto dell’onnipotenza educativa sostenuta dai comportamentisti e più di quella mi sembra corrispondere alla realtà); viviamo in un contesto sociale che tende a illudere le persone, producendo così molti danni individuali e collettivi (grave è che su tali temi si pensi spesso al ‘trauma’ che un soggetto può subire per il fallimento delle proprie aspirazioni personali, senza porre attenzione al trauma sociale prodotto da competenze attestate ma non possedute: vi affidereste a un medico che ha ottenuto la laurea ‘per ragioni umanitarie’?); nel profondo si è convinti che scuola e università non servano a nulla e che quindi una laurea non la si debba negare a nessuno, neppure a chi -come mi è accaduto di sentire in questa sessione di esami- a una domanda sul periodo nel quale venne inventata la stampa a caratteri mobili ha risposto: «Nel 1965»; le strutture universitarie si adattano al principio punitivo imposto dalla Legge Gelmini (mantenuta con convinzione dall’attuale governo), la quale riduce i finanziamenti agli Atenei in relazione al numero di studenti che non riescono a completare l’iter formativo nei tempi previsti (un principio giuridico-contabile tanto insensato quanto micidiale).
Scuola e Università non sono soltanto luoghi di scienza ma anche efficaci strumenti di ascesa sociale. A condizione però che diplomi e lauree non perdano di valore e di senso. Gramsci lo sapeva bene:

Il ragazzo che si arrabatta coi barbara, baralipton si affatica, certo, e bisogna cercare che egli debba fare la fatica indispensabile e non più, ma è anche certo che dovrà sempre faticare per imparare a costringere se stesso a privazioni e limitazioni di movimento fisico, cioè sottostare a un tirocinio psico-fisico. Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso. […] La partecipazione di più larghe masse alla scuola media porta con sé la tendenza a rallentare la disciplina dello studio, a domandare “facilitazioni”. Molti pensano addirittura che le difficoltà siano artificiose, perché sono abituati a considerare lavoro e fatica solo il lavoro manuale.
(Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Einaudi 1949, pp. 116-117).

Le difficoltà sono reali, invece. Studiare, apprendere, capire il mondo è qualcosa di splendido e come tutto ciò che vale richiede tenacia e fatica. Illudere dei ventenni che la frequenza di Corsi Zero o analoghi strumenti didattici possa sostituirsi alla loro intelligenza e al loro impegno, illuderli con il rendere tutto facile o persino regalando materie e voti, significa mancare loro di rispetto, significa ingannarli.
La ragione forse ultima e più profonda di questa e di altre catastrofi didattiche sta nel fatto che governi, media, pedagogisti sono attivamente impegnati -ciascuno per la sua parte- a favorire la costruzione di un Corpo sociale incompetente, ignorante, passivo. E dunque più facilmente manipolabile. Non lo accetterò mai.

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