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San Vito Rap

Pizzica di San Vito
Ensemble L’Arpeggiata diretto da Christina Pluhar
N. Rial / V. Capezzuto / G. Bridelli / J.J. Orliński
Festival Oude Muziek, Utrecht 2016

Una versione dell’antico canto colma di divertimento, ritmo, contaminazione, come la musica è sempre. La musica, questo linguaggio universale della pienezza, della gioia.

«La taranta è ancora viva» canta Eugenio Bennato anche perché il tarantismo è stato ed è un fenomeno multiforme, dai tratti profondamente simbolici e pervasivi delle culture mediterranee.
Danzare con il ragno, diventare il ragno che danza sino a sfiancarlo, identificarsi con la sua potenza e nello stesso tempo superarla e sconfiggerla attraverso l’aiuto di un santo ancora più potente significava immergersi in un ethos collettivo e simbolico.
Il nume cattolico del tarantismo è ‘Santo Paulo’ ma non è l’unico. La pizzica dedicata a San Vito conferma il politeismo del culto dei santi, la sua vicinanza alle radici pagane.

«E sì chiù bella tu, e sì chiù bella,
E sì chiù bella tu ti na cirasa,
Iata all’amori tua, iata all’amori tua,
Iata all’amori tua quannu ti vasa»

 

La gioia

Johann Sebastian Bach
Grosser Herr, o starker König
Dall’Oratorio di Natale (Weihnachtsoratorium BWV 248)
per soli, coro e orchestra
Diego Fasolis & I Barocchisti

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Versione video (con altri esecutori)

Tripudio, ritmo, dinamismo, potenza delle voci strumentali e delle voci umane. La musica insomma. La musica di Johann Sebastian Bach, la musica dunque in se stessa, la musica in quanto tale, la musica totale, la musica come «exemple unique de ce qu’aurait pu être -s’il n’y avait pas eu l’invention du langage, la formation des mots, l’analyse des idées – la communication des âmes» (Proust, La Prisonnière, in À la recherche du temps perdu, Gallimard 1999, p. 1797), unico esempio di ciò che sarebbe potuta essere la comunicazione tra le anime se non ci fossero stati linguaggio, parole, analisi delle idee.
La musica è immediatezza ed è insieme complessità, la musica è fluire ed è esultanza, la musica è suono ed è visione. La musica è relazione matematica. La musica è gioia, come si vede anche da un concerto dell’ensemble L’Arpeggiata di Christina Pluhar, capace di trasformare la Pizzica di San Vito in un  irresistibile rap [minuti 53.40 -57.00 del video].
Una gioia straripante. La gioia che auguro in questo nuovo anno ai miei amici.

 

Velut umbra

Homo fugit velut umbra
(Passacaglia della Vita)

di Anonimo (1657)
Voce Marco Beasley – Ensemble L’Arpeggiata (2002)

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Versione video

In siciliano si impreca contro la «morte buttana». È vero, la morte sembra una puttana che si dà a tutti, uomini e donne, indistintamente. E tuttavia questo detto rivela non la natura del morire ma la miseria della condizione umana, il suo terrore, l’arroganza di pretendere un destino diverso da quello degli altri viventi. La Passacaglia della Vita (di anonimo, pur se spesso attribuita erroneamente a Stefano Landi) esprime invece la necessità del morire, il Sein zum Tode che ci rende ciò che siamo. È il limite temporale, infatti, che dà senso all’esserci.
Homo fugit velut umbra è un canto magnifico e danzante, eseguito da Marco Beasley con l’ensemble L’Arpeggiata diretto da Christina Pluhar, una delle più creative musiciste contemporanee. Forse anche Leonard Cohen (Who by Fire) si è ispirato a questo barocco trionfo della morte.

Oh come t’inganni se pensi che gli anni
Non han da finire, bisogna morire, bisogna morire, bisogna morire.
È un sogno la vita che par sì gradita
Che breve gioire, bisogna morire
Non val medicina, non giova la china
Non si può guarire, bisogna morire, bisogna morire, bisogna morire.

Non voglion sperate in arie bravate
Che taglia da dire bisogna morire
Lustrina che giova parola non trova
Che plachi l’ardire, bisogna morire, bisogna morire, bisogna morire.

Non si trova modo di scioglier ‘sto nodo
Non vale fuggire, bisogna morire
Non muta statuto, non vale l’astuto
‘Sto colpo schernire bisogna morire, bisogna morire, bisogna morire.

Oh morte crudele, a tutti è infedele
Ognuno svergogna, morire bisogna
È pura pazzia o gran frenesia
A dirsi menzogna, morire bisogna, morire bisogna, morire bisogna.

Si more cantando, si more sonando
La cetra zampogna, morire bisogna
Si more danzando, bevendo, mangiando
Con quella carogna morire bisogna, morire bisogna, morire bisogna.

I giovani putti e gli uomini tutti
Son da incenerire, bisogna morire
I sani, gl’infermi, i bravi, gl’inermi
Tutti han da finire, bisogna morire.
E quando nemmeno ti penti nel seno
Ti vien da finire, bisogna morire.
Se tu non ti pensi hai persi li sensi
Sei morto e puoi dire: bisogna morire, bisogna morire, bisogna morire.
Bisogna morire, bisogna morire, bisogna morire, bisogna morire.

 

Barocco / Jazz

Strike the Viol
Henry Purcell (1694)
in «Music for a while. Improvisations on Purcell»  (2014)
Esecuzione dell’ensemble L’Arpeggiata diretto da Christina Pluhar
Raquel Andueza, soprano
Gianluigi Trovesi, clarinetto

[audio:https://www.biuso.eu/wp-content/uploads/2018/04/Purcell_Strike-the-viol_Pluhar.mp3]

«Music for a while / shall all your cares beguile» affermano alcuni versi musicati da Henry Purcell. E davvero la musica è una delle massime consolazioni e gioie della vita umana. L’arte di Purcell ha ispirato diverse modalità d’esecuzione e molteplici forme espressive. Tra le più intriganti interpretazioni ci sono quelle dell’ensemble L’Arpeggiata fondato e diretto dalla musicista austriaca Christina Pluhar. Un meraviglioso esempio è l’album dal quale traggo il brano dal titolo Strike the Viol, scritto da Nahum Tate e musicato da Purcell nel 1694 (numero z323/5).
Il testo è un invito a gustare l’armonia e sorriderne:
«Strike the Viol, touch the Lute;
Wake the Harp, inspire the Flute:
Sing your Patronesse’s Praise,
Sing, in cheerful and harmonious Lays».
L’interpretazione contamina barocco e jazz, dando ritmo e improvvisazione a uno sguardo limpido sul mondo.

Christina Pluhar racconta in questo testo la perennità della musica di Purcell:
Henry Purcell in the Twentieth & Twenty-first Centuries
Just how modern Purcell’s harmonic language is, and how timeless his use of ground bass, is no secret. Today’s pop, rock and jazz musicians and film-makers have found constant inspiration in his musical inventions.
Pete Townshend of The Who declared in 2009 that Purcell was a strong influence on the band’s music of the sixties and seventies – echoes of Purcell’s harmonic language feature notably in ‘I Can See for Miles’, ‘Pinball Wizard’, and ‘Won’t Get Fooled Again’.
’What power art thou’, the song of the Cold Genius in King Arthur, became one of the show pieces of the cult New Wave singer Klaus Nomi, who recorded it as ‘Cold Song’ in 1981. Purcell originally wrote the piece for a bass, but since Nomi’s interpretation a number of counter tenors have taken it into their repertoire. In 2009 the English singer-songwriter Sting included ‘Cold Song’ in his album If on a Winter’s Night; in 2013 the actress and singer Arielle Dombasle added a beat to it and performed it on video naked in a coffin.
Purcell has often made appearances in film scores. The composer Wendy Carlos adapted the march from the Music for the Funeral of Queen Mary for synthesiser in Stanley Kubrick’s A Clock work Orange (1971). Oliver Hirschbiegel’s Downfall (2004) uses Dido’s lament ‘When I am laid in earth’. The soundtrack of Joe Wright’s Pride and Prejudice (2005) includes a piece entitled ‘A Postcard to Henry Purcell’ in which Dario Maria nelli makes use of Purcell’s Rondeau from Abdelazar. Benjamin Britten’s variations on the same theme in his Young Person’s Guide tothe Orchestra feature in Wes Craven’s Moonrise Kingdom (2012).
In 2003 we invited the great Italian jazz clarinet tist Gianluigi Trovesi to appear on our album All’Improvviso and improvise on Baroque bassi ostinati from seventeenth-century Italy. At that time we deliberately refrained from altering the original harmonies of these ostinato basses (or ‘grounds’ as they were known in England). It was only the melodic idiom of the jazz clarinettist, with his subtle timing, that differed from ‘our’ seventeenth-century musical language.
On Music for a while, however, we wished to underline the extraordinary modernity of Purcell’s music by constantly moving between the centuries in the harmonies and styles of the improvisations. This change of musical style is often accomplished within a single bar of a piece by means of subtle rhythmic and harmonic modifications to the ground. The bass lines and melodies composed by Purcell remain intact, but the improvisatory style of the instruments suddenly switches centuries. Our listeners find themselves in a timeless music room.
I am especially glad that the wonderful Gianluigi Trovesi has again enriched this new project with his superb artistry, ten years after All’Improvviso. I am also delighted that I was able to persuade my old school friend, the extraordinary jazz guitarist Wolfgang Muthspiel from Graz, to join our Purcell project.

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