Klimt. Alle origini di un mito
Palazzo Reale – Milano
Sino al 13 luglio 2014
Anche Klimt in questa mostra. Ma soprattutto l’ambiente affettivo, storico, culturale nel quale prese vita una pittura che sta al confine tra il figurativismo ormai al tramonto e la ricerca di forme diverse -più ricche del banale aspetto delle cose come appare d’acchito ai nostri occhi- con le quali plasmare l’ordine del mondo nella mente. Le prime opere sono infatti soltanto l’estenuarsi decadente di ciò che una volta, sostanzialmente sino al Settecento, era stata la potenza della realtà attraversata dallo sguardo. Tra l’imitazione del passato e un profluvio simbolico che voleva esser nuovo -ma era soltanto stanco- si consuma il debito verso Wagner e il suo progetto emulativo della Gesamtkunstwerk, che non poteva rinascere al modo pedissequo nel quale il musicista lo intendeva.
Il confine tra un simbolismo malinconico e la forza di forme nuove alla pittura è probabilmente il grande Fregio dedicato nel 1902 a Beethoven e che la mostra riproduce per intero. Poi Klimt cerca davvero strade altre. E le trova trasformando la donna in potenza della mente e i paesaggi in vibrazione, nel colore che attraversa l’estensione e la sostanzia. Il Bosco di faggi sembra infatti fremere nello spazio, la Madre con due bambini ha la forza espressionista che era già di Schiele, l’Adamo ed Eva conclusivo e incompiuto segna il riconoscimento della potenza materica della donna -il suo sorriso, infine- e dell’uomo quasi inesistente alle sue spalle. Finalmente Eva/Cortigiana/Salomè è diventata la Sophia da sempre ricercata, unione dei mortali con la luce.