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Hard Times

Io, Daniel Blake
(I, Daniel Blake)
di Ken Loach
Gran Bretagna – Francia, 2016
Con: Dave Johns (Daniel Blake), Hayley Squires (Kattie)
Trailer del film

Ha subìto un attacco cardiaco. Il medico gli ha prescritto una lunga pausa dal lavoro. La pratica è in mano a un’agenzia privata, delegata dal governo inglese a verificare la capacità di lavoro di Daniel Blake. La funzionaria sanitaria -né un medico né un’infermiera ma un’impiegata- gli nega la condizione che era stata certificata da collegi di medici. Comincia quindi il percorso di Daniel dentro i gironi degli uffici, dei colloqui, dei curricula, della documentazione da produrre on line. Comincia e più non si conclude.
Incentrato su una singola persona, che ha molta voglia di lavorare, il film si allarga a una ragazza che tenta di sopravvivere con due figli a carico. L’esito è per tutti il freddo e la fame. Esattamente come nei romanzi ottocenteschi di Charles Dickens, in particolare Hard Times – For These Times. La differenza è la tecnologia quale ulteriore strumento di oppressione. La miseria britannica è la stessa. Perché il contesto è identico ed è la forma economica del Capitale nella sua versione ultraliberista. Non si tratta di variabili personali, di essere buoni o cattivi, lavoratori o pigri, razionali o imprudenti. Queste differenze sono certamente reali e incidono sul destino delle persone, ma qui -nell’economia contemporanea- si tratta del sistema generato nel profondo dal calvinismo -come Max Weber ci ha insegnato- e per il quale il successo è segno della benevolenza divina e il fallimento esistenziale ed economico è segno di un probabile destino di dannazione eterna.
Questo rimane il nucleo dell’ideologia anglosassone del successo e del farsi da sé, una concezione ultraindividualistica e barbarica del mondo, per la quale non esiste Mitsein, non c’è comunità, ma soltanto il confronto del singolo con il suo dio e con il proprio destino. Per inciso, quando Heidegger difende l’Europa rispetto all’americanismo -come fa pure nei Quaderni neri– difende anche questa dimensione collettiva dell’esistenza umana rispetto alla ferocia antisociale del sistema di produzione capitalistico.
Per comprendere tale sistema basterebbero la scena iniziale del film -titoli di testa su sfondo nero, durante i quali si ascolta il primo dialogo tra Daniel Blake e la ‘funzionaria sanitaria’: non comunicazione assoluta- e quella centrale nella quale Kattie afferra e apre una scatola di pomodori, poiché è da giorni che non mangia per poter nutrire i propri figli, mostrando una fame che di solito associamo alla ‘povera’ Africa ma che sembra impensabile in Europa. E invece è una fame reale. Molto più reale delle astrazioni economicistiche e matematiche di Milton Friedman e dei suoi Chicago Boys, le quali hanno ispirato e continuano a guidare l’opera di governanti dell’ultradestra come Pinochet, Thatcher, Reagan, Sarkozy, Cameron, Monti, Renzi, Macron e altri analoghi soggetti.

Whisky

La parte degli angeli
(The Angels’ Share)
di Ken Loach
Con: Paul Brannigan (Robbie), John Henshaw (Harry), Gary Maitland (Albert), Jasmin Riggins (Mo), William Ruane (Rhino), Siobhan Reilly (Leonie), Renana Raz (Esther)
Gran Bretagna, Francia, Belgio, Italia, 2012
Trailer del film

Tribunale di Glasgow. Vari improbabili ladruncoli, teppisti e truffatori ricevono le loro condanne. A Robbie il giudice impone 300 ore di servizi sociali. È la sua ultima occasione per evitare lunghe pene detentive. Dopo aver visitato un’antica distilleria alcuni di questi ragazzi senza lavoro e senza futuro sognano l’occasione della loro vita. A breve, infatti, si terrà un’asta per la vendita di una botte dove si conserva un whisky rarissimo. Rubarne il contenuto e venderlo ai collezionisti significherebbe darsi un’altra possibilità. Nonostante la loro imbranataggine, i quattro riescono (o quasi) nell’impresa.
Periferie, disoccupazione, cinismo dei poteri costituiti, violenza e solidarietà tra gli esclusi. I temi del cinema politico di Ken Loach ritornano in questa commedia che coniuga il riso (l’impresa del gruppo), i sentimenti (Robbie è diventato padre e vuole a tutti i costi un futuro diverso per suo figlio), il dramma (non mancano i pestaggi e un diffuso clima di violenza). Non è un grande film ma neppure un film banale, come molti di quelli che passano sugli schermi. La parte degli angeli alla quale il titolo fa riferimento è, nel linguaggio degli specialisti di liquori, quella che evapora senza lasciare tracce. Ma è anche un titolo metaforico dell‘intero cinema di Loach, dedicato agli ultimi che saranno i primi.

Route Irish

di Ken Loach
(titolo italiano: L’altra verità)
Con: Mark Womack (Fergus), Andrea Lowe (Rachel), Johh Bishop (Frankie), Geoff Bell (Walker), Jack Fortune (Haynes)
Gran Bretagna-Francia-Italia-Belgio-Spagna, 2010
Trailer del film

Route Irish è il nome dato alla strada che collega l’aeroporto di Baghdad alla città. Qui Frankie è saltato in aria. Frankie era un contractor, un mercenario incaricato della protezione di uomini d’affari e altri privati. Era stato convinto ad andare in Iraq dal suo collega Fergus, col quale sin da ragazzo aveva condiviso ogni cosa. Fergus intuisce che dietro l’attentato che gli ha ucciso l’amico c’è qualcosa che non va. Frankie aveva fatto in tempo a fargli recapitare un cellulare che contiene il video di un attacco gratuito a un taxi iracheno da parte dei contractors, attacco che aveva sterminato una famiglia di civili. E dunque l’amico era stato attirato in una trappola per evitare che denunciasse l’accaduto; non si era «trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato» come affermano invece i proprietari dell’agenzia che li ha ingaggiati, i quali saranno loro -stavolta- a trovarsi nel posto sbagliato.

Non conosce sosta l’azione di questo regista nel documentare e denunciare le menzogne politiche. La mattanza che è la presenza in Iraq degli Stati Uniti e dei loro alleati viene raccontata coniugando -come sempre in Ken Loach- le storie personali dei protagonisti, in questo caso una profonda amicizia maschile, con gli eventi storici collettivi. Individui violenti, a volte disoccupati e altre disadattati o semplicemente sadici, vengono reclutati dagli eserciti ufficiali e da quelli mercenari e diventano -in Afghanistan, in Iraq, nel Nord Africa e ovunque arrivi il cancro americano- dei serial killer che nessun tribunale può perseguire, le cui azioni sono coperte dalla più completa immunità. Il risultato è l’orrore, come documentano anche questi video e il dolente e magnifico Redacted di Brian De Palma. Che la Nemesi colpisca gli assassini, loro sì terroristi.

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