Il legno storto dell’umanità.
Capitoli di storia delle idee
(The Crooked Timber of Humanity. Chapters in the History of Ideas, 1990)
di Isaiah Berlin
A cura di Henry Hardy
Trad. di G. Ferrara degli Uberti e G. Forti
Adelphi, 1994
Pagine 379
Questo libro percorre un lungo e tortuoso itinerario che comincia nella luce delle geometrie politiche illuministiche, attraversa la densità dello Sturm und Drang romantico e perviene alla conclusione che una società decente non è certo il vertice delle aspirazioni umane e tuttavia rappresenta in ogni caso il meglio che si può cercare di trarre da quel krummen Holze, quel legno storto che è l’uomo. Cercare di costruire invece una pianta del tutto diritta significa uccidere alle radici l’identità stessa –finita– di questo ente.
Berlin individua i tre presupposti generali del pensiero utopistico nella dogmaticità delle risposte corrette che è possibile dare a una domanda, nella convinzione che esista un metodo sicuro per la scoperta di queste risposte, nella reciproca compatibilità che ciascuna di esse deve intrattenere con le altre. Convinzioni di tal genere provocherebbero delle prassi disumane poiché immobilizzano in una mortale staticità il fluire inarrestabile degli eventi e dei progetti. Pur di conseguire una volta per sempre il traguardo di «un’umanità giusta, felice, creativa e armoniosa», tali progetti ammettono qualunque sacrificio, proprio e altrui: «se questa è l’omelette, non c’è limite al numero di uova che si devono rompere -era questa la fede di Lenin, di Trockij, di Mao e di Pol Pot» (pag. 37). Per un ente complesso, contraddittorio e limitato qual è l’uomo e i prodotti che egli crea, aspirare alla perfezione significa spargere molto sangue in nome di un’idea, essere disposti ad accettare e far sopportare qualunque sofferenza pur di ricostituire l’unità infranta dell’età d’oro, l’armonia senza incrinature di ogni paradiso terrestre.