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Per l'Università

I colleghi del Dipartimento di Chimica dell’Università di Catania hanno inviato al Rettore una lettera che mi è sembrata chiara nelle motivazioni, rispettosissima nel tono, giustamente attenta a rilevare la natura temporanea e non irreversibile del nostro rifiuto di indicare i testi da sottoporre a valutazione, ferma nel sottolineare che si tratta di una questione di giustizia (anche nel confronto con altre categorie) e di dignità. La pubblico qui anche per offrire agli amici che frequentano il sito qualche informazione in più sulla situazione dell’Università italiana (informazioni difficili da trovare sulla stampa).
Sullo stesso tema si possono leggere inoltre:
– la Mozione del Senato Accademico dell’Università di Catania sui tagli alla ricerca
–  un vivace documento dal titolo #VQRStaiSerena

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Magnifico Rettore,

lo scorso 25 giugno alcuni di noi hanno chiesto di incontrarLa per informarLa dell’iniziativa che era in corso in tutta Italia contro il blocco delle classi e degli scatti stipendiali della Docenza Universitaria rimasto in vigore per tutto il quinquennio 2011-2015.
Lei ci ha gentilmente accolto, mostrando comprensione per il nostro disagio.
Come Lei sa, la CRUI, in una lettera del 23 luglio ha chiesto alla Ministra Giannini di porre rimedio a questa ingiustizia, che vede noi Docenti Universitari unica categoria della pubblica amministrazione ad avere gli scatti stipendiali bloccati anche per il 2015.
Il movimento per lo sblocco degli scatti stipendiali ha inviato, in data 30 settembre 2015, una lettera al Presidente della Repubblica, firmata da 14.044 Docenti, pubblicata, con i nomi dei firmatari, sul sito:

https://sites.google.com/site/controbloccoscatti/home/lettera-al-presidente-della-repubblica-2015

Il Presidente della Repubblica, il Chiar.mo Prof. Sergio Mattarella, ci ha cortesemente risposto (la relativa lettera è sullo stesso sito). Ci ha comunicato che, sebbene non possa intervenire non essendo nelle sue prerogative influire in materie  di competenza del Governo (circostanza a noi nota, ma contavamo su sue azioni di persuasione morale), “in ragione della rilevanza delle questioni esposte  ha trasmesso tutto al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per le valutazioni di competenza” (parole testuali).
Come Le sarà noto, oggetto della nostra richiesta non sono aumenti, ma solo l’adeguamento stipendiale che ci sarebbe spettato in virtù del “contratto” stipulato con lo Stato quando ciascuno di noi è stato assunto: chiediamo lo sblocco degli scatti a partire dal 1° gennaio 2015, come tutte le altre categorie del pubblico impiego, e il riconoscimento giuridico del quadriennio 2011-2014 (un quadriennio della nostra attività altrimenti cancellato per sempre!), anche questo ottenuto dalle altre categorie del pubblico impiego.
Il movimento per lo sblocco degli scatti stipendiali ha da tempo  deciso d’intraprendere un’azione incisiva per sollecitare la Ministra e il Governo a sanare questa situazione.
L’azione è molto semplice: temporaneamente non aderiamo alla VQR, in attesa che venga rimosso il blocco degli scatti stipendiali nei termini anzidetti.
Concretamente non  selezioneremo le pubblicazioni per la VQR, non caricheremo i prodotti in formato .pdf e  non daremo la nostra disponibilità a fare da valutatori. Inoltre, chi non ha ancora il codice ORCID non lo richiederà e chi lo ha già (molti lo hanno già da anni) non effettuerà l’associazione ORCID-IRIS, o la cancellerà.
Riteniamo che questa forma di protesta, anche per la sua natura temporanea e non irreversibile, molto civile e  composta. In un primo momento sono state considerate anche altre azioni di protesta, quali il blocco dell’attività didattica, degli esami,  della discussione delle tesi, ma queste sono state scartate poiché, nell’immediato, avrebbero creato grandi disagi soprattutto agli studenti  ed alle loro famiglie (che non hanno responsabilità alcuna), piuttosto che al nostro diretto interlocutore (il Ministero e il Governo). E teniamo a sottolineare che proseguiamo regolarmente anche la nostra attività scientifica.
Precisiamo inoltre che la valutazione della ricerca non è l’oggetto della nostra protesta: l’astensione temporanea dalla VQR è solo un modo per vedere riconosciuto il nostro diritto negato.

È anche una questione di dignità, per cui non possiamo accettare di essere discriminati rispetto ad altre categorie del pubblico impiego.
La protesta sta crescendo in tutta Italia, con singoli, Dipartimenti, Senati accademici che stanno via via esprimendosi a favore. Ad oggi si contano  102 delibere di Consigli di Dipartimento, 25 delibere di Senati Accademici, 21 mozioni, 9 lettere ai Rettori, 1 delibera di Consiglio di Amministrazione. Su Sua richiesta possiamo  fornirLe tutti i riscontri oggettivi di questi dati.
Non potranno essere trascurati gli aspetti di alterazione della validità della VQR nel caso in cui la Ministra e il Governo volessero malgrado tutto portarla in porto egualmente. Aspetti che potrebbero arrivare a coinvolgere anche il corretto confronto fra gli Atenei, ma soprattutto la validità di un esercizio di Valutazione della Qualità della Ricerca Italiana tanto vantato, con ripercussioni a livello internazionale e in particolare sui rapporti con l’Unione Europea.
Contiamo e sollecitiamo una Sua richiesta forte, esercitata direttamente di persona (l’invio di messaggi ci sembra poco incisivo e verrebbe quasi sicuramente ignorato) presso la Ministra dell’Università e della Ricerca, di tutti i Ministri coinvolti, fino al Presidente del Consiglio, che si aggiunga alla nostra per aiutarci a far comprendere al Governo che tutto potrà proseguire normalmente a condizione che si trovi un punto di equilibrio, soddisfacente per tutti, tra le nostre richieste e quanto (assai poco) ci è stato concesso nella legge di stabilità. Riteniamo che un Suo intervento, in appoggio alla nostra protesta, possa risultare ancora efficace per favorire l’accoglimento delle nostre richieste in provvedimenti successivi alla legge di stabilità, come il classico decreto “milleproroghe” di fine anno (che deve ancora essere convertito in legge) o provvedimenti “ad hoc” successivi. Quindi non è tardi per un Suo intervento insieme a noi. E contiamo anche su sue prese di posizioni sulla stampa locale e nazionale, oltre a quanto Lei vorrà mettere in atto di Sua iniziativa.

Infine, teniamo a sottolineare che siamo Docenti attivi in tutte le attività accademiche e pertanto ci riserviamo di adire tutte le azioni, anche legali, nei riguardi di chiunque volesse classificarci come “docenti inattivi”, così come ci riserviamo di adire analoghe azioni nei riguardi di chiunque effettuasse per nostro conto azioni lesive delle nostre prerogative o azioni che le attuali procedure della VQR riservano a noi, quali la scelta delle pubblicazioni da sottoporre alla VQR.
La ringraziamo per l’attenzione e, qualora lo ritenesse utile, saremmo lieti di incontrarLa per chiarire ulteriormente  le ragioni della nostra iniziativa.

Cordiali saluti,
segue elenco dei firmatari

Expo è morto, viva Expo!

La dinamica politica più importante degli anni Dieci del XXI secolo è il totalitarismo soft che si va estendendo come una forma di leucemia sociale. Un evento quale è stato l’Expo milanese del 2015 è un significativo rivelatore delle dinamiche politico-economiche che vedono come protagonisti la finanza, le multinazionali, la pletora di partiti criminali che sempre più va governando anche i Paesi euro-americani e non più soltanto quelli africani e del Vicino Oriente.

Un articolato documento della Rete NoExpo descrive con lucidità quanto è avvenuto negli scorsi mesi a Milano e in Italia e che cosa avverrà proprio a partire dall’evento Expo: «Se guardiamo dalla prospettiva più vicina a quella più lontana, politicamente Expo ha rappresentato soprattutto tre cose: la ridefinizione dei rapporti sociali, urbani e proprietari dentro la città di Milano e il territorio circostante; la sperimentazione di un modello emergenziale di governance che si fa sistema a livello nazionale (non solo Job’s Act e SbloccaItalia, ma anche Decreto antiterrorismo…importante precedente per le prossime sospensioni della democrazia, come il Giubileo e le possibili Olimpiadi romane); la liberalizzazione delle terre e dell’agricoltura a livello europeo, ponendo le basi attuative dei nuovi trattati commerciali internazionali, in primis l’euroamericano TTIP. Ovvio: Expo da solo non ha fatto questo, non siamo paranoici, ma ha rappresentato un tassello ed un passaggio importante di meccanismi e processi più generali che sono poi quelli del capitalismo della crisi dettato da FMI, BCE, mercati finanziari, accordi di libero scambio, COP, interessi delle potenze economiche e militari e delle grosse Corporations» (p. 4).

L’incremento dei posti di lavoro non c’è stato ma -al contrario- sono dilagati precariato e schiavizzazione; la struttura emergenziale -costruita ad arte- ha rappresentato un modello per decretare anche formalmente la fine delle istanze partecipative e democratiche; il tema Nutrire il pianeta si è capovolto nel grottesco trionfo delle multinazionali che avvelenano il pianeta. È del tutto evidente che «Expo è stato e sarà un furto di risorse pubbliche e beni comuni ai danni della collettività. Expo non ha redistribuito ricchezza, al contrario ha generato limitatissimi ritorni economici, mentre ha prodotto enormi plusvalenze per pochi soggetti collocati ai vertici; Expo infine è stata la vittoria della logica emergenziale, violenta e privatistica che domina l’economia, e, più in generale, i rapporti sociali in questa fase di crisi» (p. 9).

Il significato culturalmente più pregno di tutto questo è che una simile dinamica non avrebbe potuto realizzarsi e non potrebbe continuare senza l’attiva presenza e complicità delle strutture informative: televisione, radio, stampa, associazioni della società civile, siti Internet. «In questo ambito, occorre riconoscerlo, ha dato una grossa mano il contribuito di (pare) circa 50 milioni elargito dalla società [Expo S.p.a.] alle maggiori testate d’informazione, e giustificato alla voce ‘comunicazione istituzionale’» (p. 6). Molto più dei cannoni, delle carceri, della polizia armata, di una esplicita ideologia, il totalitarismo soft è difeso e imposto dai media. Si tratta di un’egemonia culturale asfissiante, impoverente, liberticida. Expo dunque non finisce. Expo è morto, viva Expo, un evento che si nutre del sangue e della vita dell’intero corpo sociale. Come fa ogni parassita.

[Pdf del documento Nonostante Expo, la realtà ]

Democrazia?

Le recenti elezioni politiche portoghesi hanno visto la vittoria di una sinistra critica nei confronti dell’Europa delle banche. È bastato questo perché il presidente della Repubblica -Anibal Cavaco Silva- attuasse una sorta di colpo di stato, affidando la formazione del governo alle forze sconfitte, favorevoli alla Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale).
Come si sa, in Grecia la volontà dei cittadini è stata calpestata in vari modi.
Se in Italia il Movimento 5 Stelle vincesse le elezioni, ipotizzo che la conseguenza sarebbe un colpo di stato anche violento, orchestrato dalle massonerie e dalle mafie che dominano i partiti -in primo luogo Forza Italia e il Partito Democratico-, le quali stanno letteralmente spolpando la nostra società e la nostra economia.
Sono, questi, alcuni degli eventi che provano come di fatto la democrazia in Europa non esista più, sostituita dalla Troika, dai criminali della finanza. Un processo che consegue dalla vittoria del liberalismo totalitario, il quale in tutto il mondo sta distruggendo con inesorabile miopia culture, differenze, libertà, popoli, pensiero, economie. Lo fa non soltanto con le armi che uccidono i corpi ma anche e soprattutto con l’enorme «manipolazione di massa che è in atto nel mondo occidentale con lo scopo di annientare tutti gli anticorpi in grado di ostacolare la diffusione del pensiero unico liberale, molla e, nel contempo, veicolo del più grande progetto di colonizzazione e sradicamento che l’umanità ha conosciuto» (M. Tarchi, in Diorama letterario, n. 324, p. 3).
È questo imperialismo liberista a produrre fenomeni apparentemente antitetici ma di fatto convergenti verso il tramonto del pensiero. Così nasce anche l’ISIS, che ha tra i suoi scopi il cancellare la memoria storica e i documenti antropologici di intere civiltà la cui struttura è stata o è diversa rispetto all’economicismo ultraliberista. E infatti, a proposito di Palmira e di altre grandi città, Tarchi ha ragione a osservare che

non vi è dubbio che chi rispondesse che, per quanto tragica sia la perdita di vite umane, la cancellazione della testimonianza di una civiltà fiorita due millenni orsono sarebbe un crimine ancor più orrendo, perché attenterebbe alla memoria collettiva di interi popoli, che trascende la somma delle individualità che li hanno composti, sarebbe inchiodato al muro della vergogna mediatica e trattato alla stregua di un cinico barbaro, privo di sentimenti e di spirito civico (Ivi, p. 1).

Analoga a tale devastazione è quella che gli organismi finanziari dominanti esercitano sui lacerti di democrazia appesi al gancio dell’estremismo liberista. Assai chiaro è quanto «ha detto senza fronzoli Jean-Claude Juncker, portavoce degli strangolatori liberali e in subordine presidente della Commissione europea, ‘non ci può essere scelta democratica contro i trattati europei’ (sic)» (A. de Benoist, ivi, p. 6).
Una frase che ha il pregio della chiarezza.

Stile

Lo stile, nella politica come nella vita, dice molto delle persone e dei movimenti.
Lo stile del Partito Democratico e del suo Duce è ben descritto in un editoriale di Alberto Burgio, uscito sul manifesto di oggi. In esso Burgio evidenzia con ottime argomentazioni che cosa siano il «that­che­ri­smo ple­beo» del Partito Democratico e lo «lo squa­dri­smo ver­bale del novello Farinacci» che lo guida, godendo dell’entusiastico sostegno -dentro il Partito- di «un udi­to­rio di faci­no­rosi, di fru­strati, di sma­niosi di vin­cere con qual­siasi mezzo — magari ven­den­dosi e sven­den­dosi nelle aule parlamentari».

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Ne ha dette, ne dice gior­nal­mente tante e tali che non ci si dovrebbe più far caso. Ma una delle ultime esterna­zioni del pre­si­dente del Con­si­glio urta i nervi in modo par­ti­co­lare, sì che si stenta a dimen­ti­car­sene. «I sin­da­cati deb­bono capire che la musica è cam­biata», ha sen­ten­ziato con rara ele­ganza a mar­gine dello «scan­dalo» dell’assemblea dei custodi del Colos­seo. Non sem­bra che la dichia­ra­zione abbia susci­tato reazioni, e que­sto è di per sé molto signi­fi­ca­tivo. Eppure essa appare per diverse ragioni sin­to­ma­tica, oltre che irricevibile.

In effetti la roz­zezza dell’attacco non è una novità. Come non lo è il fatto che il governo opti deci­sa­mente per la parte dato­riale, degra­dando i lavo­ra­tori a fan­nul­loni e i sin­da­cati a gra­vame paras­si­ta­rio che si prov­ve­derà final­mente a ridi­men­sio­nare. È una cifra di que­sto governo un that­che­ri­smo ple­beo che liscia il pelo agli umori più retrivi di cui tra­bocca la società scom­po­sta dalla crisi. Sem­pre dac­capo il «capo del governo» si ripro­pone come ven­di­ca­tore delle buone ragioni, che guarda caso non sono mai quelle di chi lavora. E si rivolge, com­plice la gran­cassa media­tica, a una pla­tea indi­stinta al cui cospetto agi­tare ogni volta il nuovo capro espiatorio.

Sin qui nulla di nuovo dun­que. Nuova è invece, in parte, l’ennesima caduta espres­siva. Un les­sico che si fa sem­pre più greve, pros­simo allo squa­dri­smo ver­bale di un novello Fari­nacci. Così ci si esprime, forse, al Bar Sport quando si è alzato troppo il gomito. Se si guida il governo di una demo­cra­zia costi­tu­zio­nale non ci si dovrebbe lasciare andare al man­ga­nello.
«La musica è cam­biata», «tiro dritto» e «me ne frego». Senza dimen­ti­care i benea­mati «gufi». Quest’uomo fu qual­che mese fa liqui­dato come un cafon­cello dal diret­tore del più palu­dato quo­ti­diano ita­liano. Quest’ultimo dovette poi pron­ta­mente slog­giare dal suo uffi­cio, a dimo­stra­zione che il per­so­nag­gio non è uno sprov­ve­duto. Sin qui gli scon­tri deci­sivi li ha vinti, e non sarebbe super­fluo capire sino in fondo per­ché. Ma la cafo­ne­ria resta tutta. E si accom­pa­gna alla scelta con­sa­pe­vole di sele­zio­nare un udi­to­rio di faci­no­rosi, di fru­strati, di sma­niosi di vin­cere con qual­siasi mezzo — magari ven­den­dosi e sven­den­dosi nelle aule parlamentari.
Secondo un’idea della società che cele­bra gli spi­riti ani­mali e ripu­dia i vin­coli arcaici della giu­sti­zia, dell’equità, della soli­da­rietà.

Di fatto il tono si fa sem­pre più arro­gante, auto­ri­ta­rio, duce­sco. Gli altri deb­bono, lui decide. Ne sa qual­cosa il pre­si­dente del Senato, trat­tato in que­sti giorni come quan­tità tra­scu­ra­bile. E qual­cosa dovrebbe saperne anche il pre­si­dente della Repub­blica, che evi­den­te­mente ha altro a cui pen­sare, visto che non ha fatto una piega — un silen­zio fra­go­roso — quando Renzi ha minac­ciato di chiu­dere il Senato e tra­sfor­marne la sede in un museo — per for­tuna non più in «un bivacco di mani­poli». E forse pro­prio qui sta il punto, ciò che non per­mette di libe­rarsi di que­sto fasti­dioso rumore di fondo.

Que­sta enne­sima vil­la­nia non aggiunge gran­ché a quanto sape­vamo già dell’inquilino di palazzo Chigi, del suo pro­filo, del suo, diciamo, stile. Dice invece qual­cosa di nuovo e d’importante su noi tutti, che ci stiamo assue­fa­cendo, che ci disin­te­res­siamo, che regi­striamo e accet­tiamo come nor­male ammi­ni­stra­zione una vol­ga­rità e una vio­lenza che dovreb­bero destare allarme e forse scan­da­liz­zare. Tanto più che non si tratta, almeno for­mal­mente, del capo di una destra nerboruta.
Nes­suno ha pro­te­stato, nes­suno ha rea­gito: men che meno, ovvia­mente, gli espo­nenti della «sini­stra interna» del Pd […]. Quest’ultima aggres­sione si armo­nizza appieno con la «musica» che que­sto governo suona da quando si è inse­diato. Ma la forma è sostanza, soprat­tutto in poli­tica. E il sovrap­più di aggres­si­vità e di vol­ga­rità che la con­trad­di­stin­gue stu­pi­sce non sia stato nem­meno rilevato.
Evi­den­te­mente ci va bene essere gover­nati da uno che — al netto delle sue scelte, sem­pre a favore di chi ha e può più degli altri — non sa aprir bocca senza minac­ciare insul­tare sfot­tere ridi­co­liz­zare.

[…]
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L’intero articolo si può leggere sul manifesto.

Violenza

Intere città amministrate da delinquenti, i quali quando vengono scoperti rivendicano la loro sistematica attività di latrocinio come fosse un diritto, una volta che sono stati eletti. Interi stati in mano a corrotti assoluti, i quali stipulano accordi con qualunque potere mafioso e criminale pur di continuare a governare in nome degli interessi delle loro persone e dei loro gruppi. Così, ad esempio, Matteo Renzi difende Giuseppe Castiglione, sottosegretario all’agricoltura accusato di vari reati in merito alla gestione dei centri di accoglienza dei migranti in Sicilia. Castiglione è di Bronte, come me, è genero di Pino Firrarello, ex renzi-castiglionesenatore e da poco ex sindaco del paese, il quale amministrava Bronte già quando ero studente liceale. Firrarello è poi stato deputato regionale e deputato nazionale, transitando dalla Democrazia Cristiana ai vari partiti nati dalla sua dissoluzione, aderendo a Forza Italia e ora al Nuovo Centrodestra alleato di ferro del Partito Democratico, nel quale sembra che Castiglione e Firrarello abbiano intenzione di entrare.
Interi continenti sotto il tallone delle banche, del Fondo Monetario Internazionale, della finanza impersonale e feroce, per la quale i governi sono legittimi soltanto se ubbidiscono alle loro volontà e devono invece essere cancellati se difendono gli interessi dei popoli che li hanno eletti.
Quanto accade nella vita politico-mafiosa della piccola Italia e nelle dinamiche finanziarie dell’Europa mostra con assoluta evidenza che la democrazia è finita da tempo, che a governare sono i grandi capitali finanziari legati alle attività criminali internazionali.
Contro la violenza quotidiana e implacabile degli amministratori locali, dei capi di governo, delle strutture internazionali, io auspico la violenza della ribellione, la violenza dei popoli, l’uccisione di quanti affamano le persone, rubano il futuro, asserviscono il presente alla patologia del denaro. Senza la violenza politica, quale gesto di legittima difesa che liberi le comunità sociali dalla presenza di questi violenti, nessuna giustizia è possibile.

La nuova Università

renzi_lavagnaHo ricevuto un documento, che non è ancora stato reso pubblico, nel quale vengono enunciati alcuni dei criteri meritocratici che andranno, con gradualità, a sostituire quelli attuali; criteri in base ai quali saranno assunti i nuovi docenti universitari e quelli già in ruolo otterranno aumenti di stipendio e avanzamenti di carriera. Il quotidiano Sicilia Journal ha ospitato ieri un mio articolo in merito: Verso nuove vette della conoscenza. La nuova università meritocratica

Partito Democratico Mussoliniano

PDFLe istituzioni italiane sono sempre state tentate dal potere di uno solo, che si chiami Mussolini, Berlusconi o Renzi. Come Gadda e Pasolini hanno ben compreso e scritto, questa società non sembra possedere anticorpi nei confronti del mussolinismo e della sua perenne nostalgia.
Nella storia d’Italia la fiducia sulla legge elettorale era stata posta -prima che dal Partito Democratico nell’aprile del 2015- da Mussolini nel 1923 con la Legge Acerbo e dalla Democrazia Cristiana nel 1953 con la «legge truffa», tentativo poi fallito.
Ieri Sinistra e Libertà ha lanciato crisantemi sulla Camera dei Deputati. Ed è grottesco che gli zombi del Partito Democratico non si rendano conto che in questo modo muoiono pure loro e al posto del PD nascerà il Partito della Nazione. In ogni caso, la democrazia è un sistema fragile, che richiede il rispetto di alcune procedure senza le quali si svuota dal di dentro: il voto di fiducia su una legge elettorale è un’enormità che è legittimo definire fascista.

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