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Modernità

La natura reazionaria e socialmente criminale del Partito Democratico è ormai confermata da una miriade di parole e azioni. Tra queste spiccano per la loro intelligenza le affermazioni della ministra Boschi a proposito della sua riforma costituzionale -nelle quali ha preso per fascisti anche i partigiani– e quelle della ministra Giannini sulla bellezza e modernità insita nell’essere precari.

«Dobbiamo abituarci all’idea di un mondo impostato su un modello economico di stampo americano, dove il precariato è la norma. Dobbiamo abituarci a vite con meno certezze immediate, fatte da persone che si spostano continuamente e dobbiamo incentivare i loro movimenti». Un concetto, questo, che la Ministra riprende da Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, che intervistato dall’Espresso ha spiegato come il modello sociale a cui si debba tendere sia quello statunitense, nel quale «bisognerebbe tassare tutto ciò che è immobile e detassare tutto ciò che è dinamico». (Fonte: Huffington Post, 4.5.2016)

A queste ridenti dichiarazioni il Prof. Andrea Miccichè -docente di Storia contemporanea presso l’Università Kore di Enna- ha risposto sulla lista del Coordinamento Unico di Ateneo di Catania. Il collega ha ricordato la modernità del nonno emigrante. Un modello, questo, al quale evidentemente si ispirano non soltanto gli ultraliberisti statunitensi ma anche il Partito e il Governo guidati da Matteo Renzi:

«Leggendo le parole del ministro ho pensato a mio nonno e alla sua modernità, perché non aveva certezze immediate e si muoveva continuamente. Stava una stagione in Venezuela, e poi tornava in Sicilia. Là faceva l’ambulante, qui il contadino, e con una plurima condizione: un po’ bracciante, un po’ piccolo(issimo) proprietario, un po’ mezzadro. Si muoveva continuamente da una parte all’altra del globo. Poi si è imborghesito, ma solo un po’,e ha limitato i suoi movimenti al continente europeo. Andava in Germania da manovale (o ‘mastro’, le fonti sono incerte, ma non doveva essere un gran ‘mastro’ evidentemente) e poi tornava giù in Sicilia  a mietere il grano, a raccogliere l’olio, a vedere i figli, perché erano sempre diversi ogni volta che li incontrava. Alternava professionalità in gran numero, però, e con gran modernità si muoveva continuamente. Come un ‘modello americano’. Magari di meno che in passato, ma continuava a essere modernissimo. Poi ha smesso di essere moderno e si è comprato un pezzo di terra e ha fatto di tutto per dare un’istruzione a suo figlio, affinché almeno lui avesse l’opportunità di vivere con meno modernità. La modernità se l’era già fatta lui per tutti, anche per i nipoti. Almeno quella era la sua speranza.
Ma malgrado tutto, malgrado i cedimenti finali, lo possiamo dire: quanta modernità americana in quella generazione di emigranti».

Incubo

Ustica
di Renzo Martinelli
Italia, 2016
Con: Caterina Murino (Roberta Bellodi), Marco Leonardi (Corrado di Acquaformosa), Tomas Arana (Fragalà), Lubna Azabal (Valja), Yassine Fadel (Fadhal Al Khalil)

usticaOggetti, lettere, aerei, persone. Scomparse. Non le 81 che vennero uccise sul cielo di Ustica il 27 giugno 1980. Non soltanto loro. Morirono poi, in circostanze tragicamente ‘casuali’, altre persone che sono entrate in contatto con l’enigma di questo evento. Ancora a distanza di 36 anni, la ragion di Stato non rivela le cause e le modalità di una tragedia che cancellò la vita anche di alcuni bambini. Tra questi la figlia di una giornalista che dopo lo sconvolgimento e la disperazione si dedicò alla ricerca della verità. La tesi di Martinelli, supportata da documenti, ricostruzioni empiriche, deduzioni logiche, è che il DC9 Itavia in volo da Bologna a Palermo fu vittima di un teatro di guerra non dichiarata in atto nei cieli italiani da parte di stati stranieri. Mi limito a questo accenno per non far perdere il gusto della scoperta a chi vorrà vedere il film.
Un film che è un incubo dai colori accesi e insieme cupi; dalle atmosfere sospese, inquiete e dense. Una tonalità cromatica ed esistenziale che costituisce il suo aspetto migliore. I dialoghi, invece, sono a volte un po’ approssimativi e ripetitivi nelle parti che non ricostruiscono le vicende.
Ustica è un’opera civile coinvolgente e necessaria, al di là di alcuni suoi limiti. Essa mostra infatti la totale subordinazione dell’Italia al padrone statunitense e conferma che i criminali più cinici e più efferati abitano nei palazzi del potere.

Vittime e assassini

Nel periodo natalizio sono apparsi dei manifesti con la seguente scritta: «Non è festa senza i marò liberi. L’Italia alzi la voce». Firmato: ‘Alleanza Nazionale’. Dunque non ci sarebbe stata festa per l’intero popolo italiano senza la rinuncia da parte dell’India a processare due militari accusati di un odioso e gratuito omicidio di classe e di etnia. Dalle loro ben protette navi militari, infatti, costoro avrebbero sparato a degli inermi pescatori indiani.
Nulla invece è stato detto, da parte di questi così solerti ‘patrioti’, sull’orribile morte preceduta da efferate torture di Giulio Regeni, un giovane ricercatore massacrato dalle squadre della morte agli ordini del governo militare egiziano. Anche Regeni era un italiano ma mentre i due che conducono una tranquilla e dispendiosa vita ‘rinchiusi’ in alberghi indiani di lusso (a spese dei nostri contribuenti) sono dei militari, Regeni era un intellettuale, uno studioso, un uomo che cercava di capire con gli strumenti scientifici le modalità e le strutture della dittatura egiziana guidata dal generale Abd al-Fattah al-Sisi.
Dittatura nata dall’inganno -fomentato dalla Nato- delle cosiddette ‘primavere arabe’. Dittatura esaltata -come quella dell’Arabia Saudita e altre- dall’abominevole presidente del consiglio e segretario del Partito Democratico. È con i massacratori egiziani che il nostro Paese dovrebbe «alzare la voce». Ma alla spregevole destra italiana, che sia quella degli eredi del fascismo o quella tecnocratico-americanista del Partito Democratico, non interessano gli uomini liberi, non interessano le vittime di un potere dittatoriale come quello dell’alleato egiziano. Interessa invece la difesa degli assassini in uniforme.
Anche per questo il patriottismo delle destre è infame.

Assemblea

Non si tratta dei professori, che hanno il lavoro in ogni caso assicurato.
Non si tratta di non volersi fare valutare: la maggior parte di noi svolge infatti ricerca qualificata e pubblica molto.
Non si tratta di soldi.
Si tratta di voi.
Voi studenti, ai quali stanno rubando il futuro.
Voi studenti del Sud d’Italia, in particolare, ai quali stanno sottraendo interi Corsi di Laurea.
Voi studenti le cui prospettive di ricerca, di studio, di lavoro sono drammaticamente negate da insensati tagli alla Scuola e all’Università.
Si tratta di voi e delle vostre famiglie.
Si tratta dell’intero corpo sociale.
Per discutere di tutto questo i docenti dell’Ateneo di Catania si riuniranno lunedì 1.2.2016.
Siete invitati.

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Parliamo dello STOP VQR: una questione di dignità per i docenti italiani?

Con migliaia di adesioni personali e centinaia di mozioni di dipartimenti e di Senati Accademici in tutta Italia, i docenti universitari italiani hanno chiesto al governo di restituire all’università del nostro paese  – per una volta – il maltolto.

L’Italia infatti figura ormai da tempo ultima dei Paesi OCSE per i fondi destinati all’Università e alla ricerca con un misero 1% del PIL. Il rapporto docenti/studenti è il peggiore d’Europa, la docenza la più anziana e peggio pagata. Le tasse d’ iscrizione sono cresciute negli ultimi 7 anni del 51%: il più elevato incremento a carico di studenti e famiglie verificatosi a livello mondiale. Oggi l’accesso all’istruzione universitaria italiana è il più costoso d’Europa, dopo quello di UK e Olanda; inoltre da noi il diritto allo studio è stato di fatto smantellato: solo il 7% degli studenti riceve una borsa di studio a fronte del 27% della Francia e del 30% della Germania. Negli ultimi 5 anni il 97% delle giovani leve è emigrato all’estero, mentre è drammatico il generale calo delle immatricolazioni che assume le dimensioni di un crollo al Sud: nel 2012 -16% rispetto al 2000-2001 in Sicilia, -19,8% in Calabria, -21,9 in Sardegna.

In questo clima il blocco stipendiale ha creato una situazione insostenibile, soprattutto per i giovani docenti e le nuove leve della ricerca (che hanno perduto oltre 100.000 euro nell’intera carriera, senza considerare il danno nel trattamento pensionistico a regime).

Abbiamo chiesto perciò al governo ciò che ci spetta, ovvero:

– Lo sblocco stipendiale dal 2015

– Il riconoscimento del quadriennio 2011-2014 ai fini della ricostruzione della carriera

– Un recupero del turn-over e dei pensionamenti,  per non chiudere i corsi di laurea, non contrarre l’offerta formativa, non deprimere ancor più la ricerca tra le nuove generazioni.

Alle richieste dell’Università il governo non si è nemmeno degnato di rispondere, come se l’università non avesse dignità e diritto di parola. Sarebbe bastato, forse, prendere in considerazione almeno una tra queste richieste. Non lo si è voluto fare (ma ci si è ostinati a imporre la misura assurda, rischiosa e demagogica dei 500 superprofessori “ministeriali”). Con l’università, dunque, non si parla, non si ragiona, non si “tratta”. L’università non esiste, è solo una voce nel budget dello Stato da tagliare o un argomento demagogico da sollevare quando fa comodo. Anche la Crui è stata presa a pesci in faccia. Oggi intendiamo riprendere la nostra dignità e il nostro diritto di parola, aldilà degli annunci demagogici della politica.

Le risorse già insufficienti destinate all’alta formazione sono oggi  attribuite sulla base di due parametri: il costo standard necessario alla formazione di ciascuno studente sul territorio nazionale, un parametro del tutto inappropriato quando si deve finanziare la crescita culturale del paese, e la qualità della ricerca stimata attraverso il parametro VQR (Valutazione della Ricerca), un elefantiaco sistema di valutazione che ha creato una situazione di confusione montante e di conflittualità. Tra l’altro a questo metodo di valutazione sono sottoposti docenti sottopagati e del tutto privi, da anni, di fondi per la ricerca, cioè delle risorse minime per ottenere i risultati per i quali sarebbero valutati. Il risultato di queste politiche è stato la penalizzazione di risorse, di aree disciplinari, di atenei e territori, soprattutto (ma non esclusivamente) al Sud.

Chiariamo subito che siamo per la valutazione, una valutazione seria che non guardi a numeretti (IF e citazioni) su cui molti organismi internazionali hanno seri dubbi, ma alla qualità reale della produzione.

La protesta STOP VQR intende porre un punto di svolta e di non ritorno.

Non è vero che sia responsabile implementare un sistema che non valuta ma punisce.

Per scegliere insieme le forme di protesta e proporre un’azione comune che sia efficace è convocata una

ASSEMBLEA  DEL  PERSONALE  DOCENTE

E  TA  DELL’ATENEO DI CATANIA

LUNEDI’ 1 FEBBRAIO ALLE ORE 17,00 PRESSO L’AULA 3 DEL PALAZZO CENTRALE

USPUR – SEZIONE DI CATANIA

RETE29APRILE – NODO DI CATANIA

CUDA – COORDINAMENTO UNICO DI UNICT PER UN’UNIVERSITA’ PUBBLICA LIBERA, APERTA E DEMOCRATICA

Strumento / Sguardo

Henri Cartier-Bresson e gli altri.
I grandi fotografi e l’Italia
Palazzo della Ragione – Milano
A cura di Giovanna Calvenzi
Sino al 7 febbraio 2016

Cartier-Bresson e altri 35 fotografi stranieri per guardarecomprendere l’Italia. Dagli anni Trenta del Novecento al presente si dispiegano allo sguardo centinaia di immagini tra le più profonde e più belle dedicate al nostro Paese, immagini che descrivono e scolpiscono guerre, manifestazioni religiose, vescovi, contadini, città, borghi, luna park, musei, set cinematografici, splendidi edifici e palazzi fatiscenti. Una bellezza pervasiva, assoluta e tenace, nonostante distruzioni, abbandoni, incuria, degrado; nonostante l’«Architettura della rassegnazione» documentata da Jay Wolfe mediante immagini che però sono anch’esse belle,  potenti, geometriche.
Il bianco e nero si alterna al colore nel disegnare i paesaggi, gli oggetti, i volti, gli eventi e soprattutto le città. La città -i comuni- sono la grande invenzione italiana del Basso Medioevo. Ha ragione Michael Ackerman a dire che Napoli «sia l’ultima vera città d’Europa» e a documentare la vita anche dolorosa tra i quartieri di questo luogo impareggiabile.
Altre città ritornano in varie forme: la Roma sanguigna di William Klein e quella elegante di Helmut Newton; la Venezia malinconica, onirica eppur felice di Alexey Titarenko, quella subacquea di Art  Kane, la Venezia ironicamente inquietante di Nobuyoshi Araki e quella colorata e barocca di Steve McCurry.
Irene_Kung_Milano_DuomoMilano appare solitaria e vuota allo sguardo Thomas Struth e lontana, metafisica, divina nelle splendide foto di Irene Kung.
L’identità dello strumento tecnico di questi grandi professionisti si coniuga alla differenza irriducibile ad unum del loro sguardo. Il Rinascimento e lo Squallore convivono in Italia, inseparabili. E in questo modo gli spazi della Penisola confermano la suggestione e il significato dell’affermazione che introduce alla mostra: «Il tempo corre e passa e solo la nostra morte riesce a raggiungerlo. La fotografia è una mannaia che nell’eternità coglie l’istante che l’ha abbagliata». Parole che sono un vortice estetico e teoretico nel quale traluce la potenza del tempo. E del tempo la fotografia è una manifestazione tra le più profonde, tra le più inquietanti.

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