Una povera dittatura provinciale. Questo fu il Portogallo di Salazar per alcuni decenni. Un Paese clericale in mano a un primo ministro con pieni poteri, in perenne recessione economica, isolato dall’Europa, nel quale l’esercito controllava le strade. Un Paese con aspirazioni ancora coloniali ma piccino piccino. Nato nel 1922, Josè Saramago conobbe bene tale regime e vi si oppose. È forse anche per questo che ha descritto l’infamia italiana con parole terribili, tra le quali: «Questa cosa, questa malattia, questo virus minaccia di essere la causa della morte morale del paese di Verdi se un conato di vomito profondo non riuscirà a strapparlo dalla coscienza degli italiani prima che il veleno finisca per corrompere le loro vene e per squassare il cuore di una delle più ricche culture europee. (…) Non c’è chi non sappia in Italia e nel mondo intero che la cosa Berlusconi da molto tempo è caduta nella più completa abiezione».
![Accoppiamenti giudiziosi](https://www.biuso.eu/wp-content/uploads/2009/06/gadda_accoppiamenti-1.jpg)
di Carlo Emilio Gadda
Presentazione di Gianfranco Contini
Nota di Raffaella Rodondi
Garzanti, Milano 2001 (1963)
Pagine 343
In questi racconti variamente pensati, composti e pubblicati, Gadda smaschera ancora una volta la banalità, l’ipocrisia e l’orrore. La guerra è l’insensata disperazione con la quale gli umani e la storia si puniscono del fatto d’esserci. La morale -la sua stessa possibilità- è una finzione. L’idolatria verso l’infanzia è strumentale bisogno di non morire. Il tempo è «lieve suasore d’ogni rinuncia» (pag. 162). Il tempo. Un lampo proustiano sembra insinuarsi e splendere in queste pagine così materiche, dolorose e raffinate: «Terra vestita d’agosto, v’erano sparsi i nomi, i paesi» (141). Proustiano è anche l’erotismo alto e profondo di alcuni racconti, come Cugino barbiere, La sposa di campagna e il molto amato dall’Autore San Giorgio in casa Brocchi.
L’ironia colta e quotidiana fa da costante contrappunto -armonioso e dissonante insieme- al tentativo di dire l’indicibile, il male: …«come d’una stele infranta si disperdono smemorate sillabe, e già furono luce della conoscenza, e adesso l’orrore della notte» (166). Due dei racconti più intensi sono quelli da cui ho citato sinora –Una visita medica, La mamma– entrambi tratti da La cognizione del dolore, vero motore e sorgiva del narrare di Gadda, teso a descrivere «nella vacuità degli spazi senza senso l’ellisse del nostro disperato dolore» (156) sino a racchiudere in una terribile icasi l’enigma: «Non vide più nulla. Tutto fu orrore, odio» (Ivi, 158).
La versione divertita di tale orrore è il racconto che da solo è capolavoro, quell‘Incendio di via Keplero tutto movimento, velocità, fiamme davvero. «Se ne raccontavano di cotte e di crude sul fuoco del numero 14. Ma la verità è che neppur Sua Eccellenza Filippo Tommaso Marinetti avrebbe potuto simultanare quel che accadde, in tre minuti, dentro la ululante topaia, come subito invece gli riuscì fatto al fuoco: che ne disprigionò fuori a un tratto tutte le donne che ci abitavano seminude nel ferragosto e la lor prole globale…» (109).
Senza pietà, senza pietà -e dunque con verità- a descrivere l’orrore dell’umano, della «miseranda gallinazza (…) senz’uomo a fianco e senza farmaco a lato» (203) alla quale «i medici più costosi della città le avevano detto ch’era schizofrenica: altri, non medici, ch’era un’oca» (243). Tutti: commendatori, filosofi, ragazze, pappagalli, poeti, ingegneri, bottegai, nobildonne, domestiche, soldati, bambini, operai, studenti, tutti destinati dall’esser nati a «chiuder gli occhi nel sonno della morte men duro, se pur duro, dacché più o meno duro ma pur duro e durissimo ce l’hanno tutti, il sonno, allorché si tratti di quella bella pennichella dentro l’urna» (326), come con veemenza antifoscoliana Gadda ironicamente canta.
Su un forum universitario alcuni studenti discutono a proposito dei testi e delle modalità d’esame di una disciplina umanistica. Uno di loro chiede: «Scusate ma qual’è [sic] questo libro dell’Apocalisse?? Non c’è nella bibbia!! ????».
Ecco, questa è l’Apocalisse per il nostro sciagurato e cattolico Paese e per le sue istituzioni educative.
![Vincere](https://www.biuso.eu/wp-content/uploads/2009/05/vincere-1.jpg)
di Marco Bellocchio
Italia 2009
Con: Giovanna Mezzogiorno (Ida Dalser), Filippo Timi (Benito Mussolini)
Trailer del film
Cinque minuti. Questo è il tempo che il Mussolini socialista massimalista dà a Dio per fulminarlo durante un dibattito a Trento nel 1907 con dei cattolici. Il vano trascorrere dei secondi sarà la prova -afferma- che Dio non esiste. Così comincia il film e così inizia anche la passione della giovane Ida Dalser per il dirigente del PSI. Da tale passione nasce il giovane Benito Albino. Alla carriera di Mussolini, nel frattempo transitato fra gli interventisti ed espulso dal suo partito, questo legame (sancito da un matrimonio in chiesa, mentre Rachele era stata sposata in municipio…) è però di ostacolo. Quando il rivoluzionario diventa il padrone dell’Italia, Ida e il figlio vengono isolati, controllati, reclusi in manicomio. Morranno prima del Duce.
Il film utilizza un raffinato intreccio di narrazione e documentazione, sceglie moduli espressivi del cinema degli anni di cui racconta -sovrapposizioni, dissolvenze, formule testuali dentro l’immagine-, restituisce il dolore degli eventi con un’atmosfera cupa e crepuscolare, nella quale domina il nero. I due protagonisti sono molto intensi e la vicenda culmina nel figlio ormai “pazzo” che imita alla perfezione i comizi del padre, accentuandone l’intrinseca e buffonesca follia.
![Il mito capovolto. Il linciaggio mediatico di Pasolini](https://www.biuso.eu/wp-content/uploads/2009/05/pasoliniconpistola_toccafondo-1-700x700.jpg)
Catania – Monastero dei Benedettini
A cura di Roberto Chiesi
Sino al 28 maggio 2009
I libri di Pasolini, alcune sue fotografie, numerose riproduzioni di articoli di giornali, i disegni di Gianluigi Toccafondo che di quegli articoli distillano la violenza, un video. Questi i materiali e i documenti che compongono una mostra che ripercorre la vicenda di Pasolini con la varietà di mezzi espressivi che a Pasolini piaceva.
In un breve testo dello scorso 25 maggio intitolato Caramelle da sconosciuti Vittorio Zucconi scrive: «A parte l’arazzo di balle che papi sta tessendo pubblicamente, e purtroppo ormai anche per i media stranieri come CNN, naturalmente nell’encomiabile sforzo di mantenere privati fatti personali, mi chiedo, da padre di una bambina e da nonno di vari marmocchi, che cosa le avrei detto se un uomo anziano con due dita di fondo tinta spalmato in faccia e una testa di capelli finti incollati al cranio l’avesse coperta di regalini e l’avesse invitata a festicciole in villa con altre coetanee, senza genitori».
Quanta ingenuità! Molti genitori italiani -mamme soprattutto ma anche papà- non desiderano altro per le proprie figlie che l’agognata, la lustrinante, la divina televisione. Come se l’apparire in quella scatola garantisse dalla morte e dalla tristezza. Agisce poi il compiacimento papamammesco per la bellezza delle pargole. Infine, e soprattutto, il danaro che un uomo così potente e ricco porta in famiglia. La moglie lo ha detto con chiarezza, mi pare: «vergini offerte al drago». Che il drago sia una vecchia lucertolona (anche caimano è troppo) osannata da tanti italiani è il clamoroso segno di un popolo di merda.
Alessandra Tarantino, dell’agenzia AP, è riuscita a fotografare SB mentre finge di detergersi il sudore in pubblico e in realtà si passa un tampone imbevuto di cosmetici. Tutto finto. Tutto coerente. Tutto lifting. Tutto manipolato. Tutto «una guerra illustre [e disperata] contro il tempo» (A. Manzoni). Tutto triste. Tutto grottesco. Tutto televisivo. Tutto menzogna. Tutto niente. Tutto un crepuscolo di cipria, di polvere.