«Il corpo accademico continua a essere smarrito e silenzioso. È come un pugile frastornato. Ma l’immagine più propria è quella di una colonna di prigionieri stracciati e dagli occhi vuoti, che strascicano i piedi sotto il controllo di poche guardie armate. È inutile nasconderlo. La paralisi politica di tanti studiosi di valore deriva da un senso di fatalità di fronte a un castigo collettivo percepito come inevitabile e, in fondo, giusto. Con questa rassegnazione la miglior parte del corpo accademico –che non teme nessuna valutazione e nessun confronto scientifico– legittima le ragioni del disprezzo di cui esso è investito, e contribuisce con le sue stesse mani a corrompere la figura dell’Università italiana di fronte alla comunità scientifica internazionale. È assurdo che, nonostante i comportamenti perversi di molti, invece di estirpare il male si voglia uccidere il malato.
E c’è un motivo morale per reagire: non possiamo nasconderci dietro i magistrati, i ricercatori o la protesta del personale tecnico-amministrativo, che vede colpiti i propri bassi redditi al di fuori di ogni equità: non possiamo affidare ad altri la pressione sociale necessaria per invertire la rotta. Il corpo accademico deve, per quanto riguarda l’Università, farsi “classe generale” e assumere su di sé la responsabilità per il futuro di tutto il mondo universitario, compresi –s’intende– gli studenti e il personale tecnico amministrativo. Per invertire la rotta è necessario partire dalla questione fondamentale, e suscitare una discussione che la sottragga alle misere secche in cui è stata costretta dall’arroganza di alcuni e dalla rassegnazione di molti.
Ma noi non abbiamo finanziatori-osservatori attenti; abbiamo solo la miopia di chi concepisce l’Università come luogo in cui praticare l’outsourcing di funzioni aziendali, scaricandone il costo sui rottami del sistema pubblico. E non si deve avere paura di ciò che immediatamente appare disfunzionale o ritardante rispetto alla velocità dei processi tecnologici e in generale della dimensione applicativa riconoscendo che nella crescita del sapere ciò che è immediatamente disfunzionale può diventare ciò che è alla lunga più funzionale».
Sono alcuni brani di un testo In difesa dell’Università sottoscritto da molti docenti italiani e al quale ho aderito anch’io. Chi vuole, può leggerlo per intero qui. Non è breve ma è molto chiaro su che cosa significhi e su quali conseguenze avrà l’attacco furibondo all’Università e in generale alla ricerca da parte dell’attuale governo, con la consueta complicità dell’opposizione.