Risus tremens, piazzista del menga, coturniomunito, magnacciaescortato, princeps ricattatorum et corruptorum, analfabeto, arcorescu, fintocapello, autocaricatura, maschio a salve, gheddafotocopia, mafioso in doppio pectore, Sua Volgarità, lifting continuo, telentità, stalinino, er bugia, debole di Costituzione, ateo devoto, trave nell’occhio, Odiatore Supremo, sfigambulante, dadotruccato, pubblicitario, zigomoliso, cosafinta, macchina malvagia, fallocefalo.
![Andreotti, cosa turpe](https://www.biuso.eu/wp-content/uploads/2010/09/andreotti-1080x700.jpg)
Di fronte al sopravvivere delle forze che uccisero Giorgio Ambrosoli, la prima sensazione è di scoramento. Un vero e proprio impero criminale costituito da mafia, banche, massoneria, servizi segreti, capi di governo, si coalizzò contro un uomo solo. Un uomo armato di nient’altro che della sua «passione dell’onestà» (Corrado Stajano, Un eroe borghese. Il caso dell’avvocato Giorgio Ambrosoli assassinato dalla mafia politica, Einaudi 1995, p. VIII), di un coraggio che nasce dal dovere per il dovere, un uomo «capace, corretto, che non si risparmia» (22).
Il Presidente del Consiglio in carica -Giulio Andreotti- detestava ciò che l’avvocato milanese stava realizzando e fece di tutto per far sopravvivere la banca di Michele Sindona ripianandone i debiti con i soldi pubblici. Il capo del governo agì da «topo furbo, animale senza spine, senza ossa, senza muscoli, senza principî, usa l’intelligenza nell’appianare, nell’assorbire, nell’ammorbidire, nello smussare, nel cancellare» (201). La loggia massonica P2 si mobilitò con Gelli e con tutti i suoi uomini per frenare, intimorire, trasferire.
L’11 luglio 1979 Giorgio Ambrosoli venne ucciso a colpi di pistola davanti alla sua casa. Ai funerali, nessun uomo di governo. Una tragedia alla quale si aggiunge la tragedia che fra i membri della P2 -vera regista dell’assassinio- Licio Gelli sia oggi un libero cittadino e Silvio Berlusconi il capo del governo italiano.
Ma non bastava. Il maligno democristiano ha così risposto ieri alla domanda sul perché Giorgio Ambrosoli sia stato ucciso: «Questo è difficile, non voglio sostituirmi alla polizia o ai giudici, certo è una persona che in termini romaneschi se l’andava cercando».
Questa cosa turpe che ha nome Andreotti ammorba ancora di sé lo spazio.
La copertina del numero oggi in edicola di Panorama raffigura il ministro Maroni con una coppola in testa e pronto a distruggere le cosche mafiose. Da settimane, ormai, i quotidiani il Giornale e Libero titolano a caratteri cubitali contro Fini e la sua famiglia. Il direttore del TG1 Minzolini appare di continuo in video per magnificare il governo e il suo presidente. Da quando Marina Berlusconi è entrata nel Consiglio di Amministrazione di Mediobanca Il Corriere della Sera è diventato anch’esso filoberlusconiano. Delle televisioni Mediaset è superfluo dire.
Nelle complesse società contemporanee -nell’infosfera in cui tutti siamo immersi- il potere non è del ministro ma del mezzo di comunicazione di massa che parla del ministro. Ecco perché l’Italia sarà sempre meno decente sino a quando -quando?- una semplice norma liberale impedirà a chiunque possieda giornali e televisioni di candidarsi al potere politico. In caso contrario, a vincere sarà lo stalinismo mediatico che oggi devasta l’Italia e che persino Famiglia cristiana è ormai costretta a denunciare. Un Paese sommerso dall’odio e dalla menzogna diffusi dai giornali e dai telegiornali in mano a Berlusconi. Questo siamo diventati.
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L'università dell'Ikea e di Pol Pot
Nel 2001 Maurizio Ferraris scrisse un libro dal titolo Una ikea di università. Lo scorso anno lo ha aggiornato Alla prova dei fatti. Qualche giorno fa è tornato sull’argomento con un articolo su Repubblica che comincia così: «Nell’autunno del 2001 all’ inizio di un volume che aveva la stessa forma e dimensioni del catalogo Ikea, la Guida di orientamento e programmi dei corsi 2001-2002 della Facoltà di scienze della formazione di Torino, si poteva leggere quanto segue: “Gli studenti sono i nostri clienti: hanno sempre ragione (anche quando non ce l’ hanno)”».
Si tratta di un testo amaro, divertente e condivisibile. Soprattutto là dove afferma che «lo scopo della neouniversità è stato, singolarmente, di impedire che si formassero degli intellettuali», visto che gli intellettuali -ovviamente quando sono davvero tali e non dei presenzialisti della televisione e della politica, della politca ridotta a televisione- pensano. E questo è un rischio. E anche dove l’Autore osserva che «taluni esponenti di una élite intellettuale (perché tali erano i partigiani della riforma, educati in una veterouniversità) proponevano la fine delle élites intellettuali (perché tale era il significato ultimo della neouniversità), senza domandarsi che cosa sarebbe venuto dopo». Una tipica sindrome leninista-polpottiana. Pol Pot, infatti, aveva studiato a Parigi ma per i cambogiani sognava una vita ruralissima, come i riformatori cresciuti alla Normale di Pisa sognavano un’università dove tutte le menti fossero uguali, come le famose vacche di Hegel.
Adesso i tagli/ragli colpiscono i finanziamenti, naturale completamento del taglio delle conoscenze.
È con amaro disgusto che scrivo queste poche righe. Vivo altrove, infatti, e non vorrei più occupare la mente a rovistare nella merda. Ma Platone ci ha insegnato che non si deve permettere ai filosofi «di starsene lassù e di non volerne più sapere di tornare dai compagni in catene, e di condividere i loro onori e le loro fatiche, grandi o piccole che siano»; in questo caso, infatti, «dei pezzenti avidi di trar profitto personale si avventano sul bene pubblico» (Repubblica, VII, 519A e 521A). E allora diciamolo ancora una volta, pur in un piccolo e insignificante spazio come questo, diciamo che quanto oggi alcuni apprendono con sconcerto è evidente da decenni a chi abbia occhi e mente. Ripetiamo non soltanto che il potere è ovunque il risultato della natura perversa dell’umano ma che da vent’anni l’Italia è in mano a soggetti le cui fortune cominciarono con i soldi della mafia palermitana. Ciò che molte anime belle vanno oggi scoprendo -“ohibò, i Palazzi romani, milanesi, napoletani sono abitati da camorristi, ndranghetisti e malviventi assortiti”- è lampante da decenni. Non c’è alcun rapporto tra il governo nazionale e la malavita, l’attuale governo è la malavita.L’Italia è violentata ogni giorno dalle bande criminali che hanno occupato i ministeri romani, gli assessorati regionali, gli enti locali da Bordighera a Bronte. E lo hanno fatto con l’attiva e complice presenza degli ex comunisti, dei cattolici vaticani, degli eredi di un partito supremamente “giustizialista” qual era il MSI, dei leghisti secessionisti che hanno imparato ormai a imitare perfettamente la corruzione romana, di una legione di giornalisti asserviti. Si può sperare non nel senso civico degli italiani, che non esiste se non in piccole minoranze, ma nella miseria economica ormai sempre più incombente. In ogni caso, all’Italia va ripetuto quanto già disse Pasolini: «Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo».
«Il corpo accademico continua a essere smarrito e silenzioso. È come un pugile frastornato. Ma l’immagine più propria è quella di una colonna di prigionieri stracciati e dagli occhi vuoti, che strascicano i piedi sotto il controllo di poche guardie armate. È inutile nasconderlo. La paralisi politica di tanti studiosi di valore deriva da un senso di fatalità di fronte a un castigo collettivo percepito come inevitabile e, in fondo, giusto. Con questa rassegnazione la miglior parte del corpo accademico –che non teme nessuna valutazione e nessun confronto scientifico– legittima le ragioni del disprezzo di cui esso è investito, e contribuisce con le sue stesse mani a corrompere la figura dell’Università italiana di fronte alla comunità scientifica internazionale. È assurdo che, nonostante i comportamenti perversi di molti, invece di estirpare il male si voglia uccidere il malato.
E c’è un motivo morale per reagire: non possiamo nasconderci dietro i magistrati, i ricercatori o la protesta del personale tecnico-amministrativo, che vede colpiti i propri bassi redditi al di fuori di ogni equità: non possiamo affidare ad altri la pressione sociale necessaria per invertire la rotta. Il corpo accademico deve, per quanto riguarda l’Università, farsi “classe generale” e assumere su di sé la responsabilità per il futuro di tutto il mondo universitario, compresi –s’intende– gli studenti e il personale tecnico amministrativo. Per invertire la rotta è necessario partire dalla questione fondamentale, e suscitare una discussione che la sottragga alle misere secche in cui è stata costretta dall’arroganza di alcuni e dalla rassegnazione di molti.
Ma noi non abbiamo finanziatori-osservatori attenti; abbiamo solo la miopia di chi concepisce l’Università come luogo in cui praticare l’outsourcing di funzioni aziendali, scaricandone il costo sui rottami del sistema pubblico. E non si deve avere paura di ciò che immediatamente appare disfunzionale o ritardante rispetto alla velocità dei processi tecnologici e in generale della dimensione applicativa riconoscendo che nella crescita del sapere ciò che è immediatamente disfunzionale può diventare ciò che è alla lunga più funzionale».
Sono alcuni brani di un testo In difesa dell’Università sottoscritto da molti docenti italiani e al quale ho aderito anch’io. Chi vuole, può leggerlo per intero qui. Non è breve ma è molto chiaro su che cosa significhi e su quali conseguenze avrà l’attacco furibondo all’Università e in generale alla ricerca da parte dell’attuale governo, con la consueta complicità dell’opposizione.
Il governatore leghista del Veneto -braccia strappate al Ministero dell’Agricoltura- ha impedito che in sua presenza venisse eseguito l’Inno di Mameli. Di questa nazione immersa negli escrementi generati dalla propria televisione, governata da una cosa che non parla ma produce rumori senza senso, mi importa poco. Ma è agli elettori di destra che vorrei rivolgermi, a quanti credono nella triade «Dio Patria Famiglia», ai tanti -non solo ex missini- che votano il PdL pensando a Mussolini e alle glorie italiche. Che cosa hanno da dire costoro di fronte alle continue offese rivolte dal loro governo ai simboli della nazione, già da quando -qualche tempo fa- alcuni ministri della Lega Nord andarono in Svizzera a cantare «Abbiamo un sogno nel cuore: bruciare il tricolore»? Neppure per voi conta più l’Italia? Da nazionalisti tutti «ordine, legalità e italianità» che cosa siete diventati? Dei secessionisti pronti a votare delle leggi che favoriscono le attività delinquenziali al riparo dalle intercettazioni? Siete diventati nemici dei magistrati e della polizia? Non vi viene mai il dubbio di aver tradito i vostri valori? Anch’io ho un sogno nel cuore: che vi rendiate conto del livello in cui siete precipitati e che sul tricolore possiate finalmente piangere. «E Forza Italia, che siete tantissimi».