Il governo della Goldman Sachs guidato da Monti-Napolitano sta compiendo delle scelte ben precise. Tra le più importanti c’è la detassazione delle cosiddette “Grandi Opere” -grandi per i profitti che producono a favore delle «voraci grandi imprese che assediano il governo»- come il TAV, il Ponte di Messina (se mai si farà) e altre strutture distruttive del territorio e dell’ambiente. Si conferma, inoltre, la folle spesa di 20 miliardi di euro per i cacciabombardieri F-35.
“Detassazione” significa che tali opere graveranno ancora di più sulle casse pubbliche a danno della sanità, dei trasporti, della scuola, dell’università, della ricerca. Si premiano i palazzinari, le imprese di proprietà della malavita, le aziende che avvelenano scientemente pur di moltiplicare i profitti, e si impongono tasse più alte agli studenti universitari, si accentua il peso fiscale sui lavoratori dipendenti, si costringe alla chiusura l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Invito a guardare il breve filmato nel quale il fondatore dell’Istituto -Gerardo Marotta- parla con amara commozione di quanto sta accadendo. Marotta somiglia a Céline negli ultimi suoi anni, e come Céline denuncia la guerra che il potere finanziario muove al sapere, alla cultura, alla filosofia. Perché sapere, cultura e filosofia sono espressioni di quella libertà e gratuità che “i servi di Mammona” (per dirla con i Vangeli) giudicano giustamente un pericolo gravissimo per la loro egemonia.
Non basta: si propone anche di “dismettere”, vale a dire svendere, il patrimonio pubblico costituito da palazzi, terreni, beni culturali.
Angelo Mastrandrea scrive che «È l’Italia alla rovescia di come la vorremmo, quella che ancora oggi -con Monti e Passera e non con Berlusconi- prepara un regalo inaspettato ai cementificatori e lascia chiudere le biblioteche. Un tempo l’Iva più bassa riguardava i libri e la cultura, beni di cui incoraggiare il consumo, e non la Salerno-Reggio Calabria. L’Istituto italiano di studi filosofici deve smobilitare perché, tra Tremonti e Monti, in pochi anni i contributi statali sono stati praticamente azzerati. I lanzichenecchi insediati alla Regione Campania hanno provveduto al resto, lasciando cadere nel dimenticatoio una vecchia delibera che prevedeva l’istituzione di una biblioteca per accogliere le migliaia di libri dell’Istituto e consentire a studenti e ricercatori di poterli consultare».
Chiudere le biblioteche, affamare i cittadini, distruggere il territorio, arricchire i predoni. Dietro la loro apparenza robotica i ministri dell’attuale governo italiano sono degli autentici barbari, i quali stanno realizzando i sogni del governo Berlusconi. Di peggio c’è che Berlusconi doveva almeno fronteggiare un’opposizione mentre il governo dei banchieri ha il sostegno della grande stampa e di quasi l’intero parlamento, compreso il Partito Democratico.
I senatori romani hanno aperto le porte ai barbari per spartirsi insieme il bottino.

1984. Fotografie da Viaggio in Italia. Omaggio a Luigi Ghirri
Palazzo della Triennale – Milano
A cura di Roberta Valtorta
Sino al 26 agosto 2012
Anni dentro gli anni, opere dentro le opere. Nel 1984 Luigi Ghirri inventa e costruisce il paesaggio italiano contemporaneo chiedendo a venti fotografi di posare il loro sguardo sui luoghi che fanno l’Italia. Nel 2004 Maurizio Magri e Vittore Fossati girano un film che ricostruisce e fa rivivere la mostra realizzata vent’anni prima. Nel 2012 la Triennale di Milano ripropone quel film e cento delle fotografie esposte a Bari nel 1984.
Dalle parole degli artisti e dalle loro opere emerge ancora una volta la verità fenomenologica per la quale gli oggetti, i luoghi, le situazioni che vediamo sono anche il frutto dello sguardo con il quale osserviamo le cose, attraversiamo gli spazi, costruiamo i paesaggi. Il cosiddetto “realismo” è un pregiudizio, lo sguardo “puro” è un’interpretazione. L’oggetto del fotografo non è un dato empirico ma è uno stile, lo stile del suo sguardo. Lo confermano i tanti modi, i diversi approcci, i differenti risultati che questa mostra testimonia (dei quali dà conto un’ampia recensione di Giusy Randazzo). Il mondo è la sua percezione. In questo senso -gnoseologico e non ontologico- aveva proprio ragione il vescovo George Berkeley. L’esse della fotografia è la sua attiva percezione del mondo. Esemplari, in questo senso, sono le opere di Gabriele Basilico e di Olivo Barbieri. Basilico trasforma lo spazio in una forma nitida, in una geometria del silenzio. Barbieri mediante un raffinato utilizzo di luci artificiali trasfigura i luoghi anche più abituali nella gloria di pure immagini.
Il 19 luglio del 1992 Paolo Borsellino veniva massacrato insieme alla sua scorta. Dopo qualche settimana un mio conoscente catanese, imparentato con una delle famiglie mafiose più potenti dell’Isola, mi disse che le morti di Falcone e Borsellino erano state in realtà un favore fatto da Cosa Nostra a importanti uomini politici. Pensai, naturalmente, che fosse un modo per giustificare i suoi familiari. Invece aveva ragione. L’ultima conferma è il modo con il quale Giorgio Napolitano si comporta alla prospettiva che si sappia quanto si sono detti lui e Nicola Mancino, che nel 1992 era ministro degli interni e con il quale Borsellino si incontrò pochi giorni prima di morire. Un incontro dal quale il giudice siciliano uscì sconvolto.
Invece di contribuire all’accertamento della verità -o almeno della verosimiglianza- su quella tragedia, la massima carica della repubblica italiana attacca i magistrati palermitani che indagano tra grandi difficoltà su quei fatti. Inserisco qui sotto il decreto con il quale Napolitano solleva un conflitto d’attribuzione davanti alla Corte Costituzionale. Per comprendere il significato di questo testo, nel quale le parole sono utilizzate per nascondere e non per comunicare, consiglio la lettura del breve commento di un giurista che ben ne chiarisce il contenuto e dell’intervista a un altro giurista il quale afferma che rispetto a quanto asserisce Napolitano «le norme dicono l’opposto a lettori informati ed equanimi». La sorella e il fratello di Borsellino esprimono giustamente il loro sconcerto di fronte a tutto questo. Ai miei occhi è l’ennesima conferma della natura criminale dello Stato. Elias Canetti sostiene che il segreto indicibile è uno dei nuclei del potere. È vero. Il contenuto dell’incontro di Borsellino con Mancino era segnato nell’agenda rossa del magistrato, che fu sottratta da un carabiniere in occasione dell’attentato. Il contenuto dei colloqui tra lo stesso Mancino e Napolitano deve rimanere segreto. Possiamo intuire perché.
Se non fossero morti nel 1992, Falcone e Borsellino sarebbero stati accusati, disprezzati, emarginati dai governi -in gran parte berlusconiani- che si sono poi susseguiti, dalla stampa, da molti dei loro colleghi, da chi oggi li celebra. Dallo Stato e dalla società.

Quando il presidente di questa disgraziata repubblica (istituzione) era Francesco Cossiga, la Repubblica (giornale) lo attaccava (giustamente) tutti i giorni, a partire dal suo direttore-fondatore Eugenio Scalfari; e lo attaccava pure Giorgio Napolitano, chiedendone addirittura l’impeachment. Ora che il presidente è il suddetto Napolitano, la Repubblica e lui stesso rispondono con sdegno alle richieste di chiarimenti in merito ai fatti gravissimi che emergono dalle telefonate di Nicola Mancino. In pratica sembra che Napolitano stia facendo pressioni affinché venga insabbiata l’inchiesta sulle trattative tra il potere politico e il potere mafioso, il cui rifiuto costò la vita a Paolo Borsellino e alla sua scorta. Tutti coloro che sono dotati di un minimo di senno e di onestà capiscono bene che l’intromissione di un Presidente della Repubblica in inchieste di tale gravità è qualcosa di inaudito. Ma l’informazione italiana -oltre che, ovviamente, la politica- è priva sia di senno sia di onestà ed è invece tutta dedita a mistificare, sopire, troncare, falsificare, accusare, pur di difendere «il Totem sul Colle», «il nostro Caro Leader, nonché Conducator e Piccolo Padre».
Dietro il Napolitano presidente riemerge il Napolitano comunista. Ma non quello della lotta di classe e della giustizia bensì quello del culto della personalità. Quello stalinista e coreano insomma, quello che nel 1956 sostenne l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Armata Rossa. E la “libera stampa” italiana assume, giustamente, i toni della vecchia Pravda.

Le verità delle scienze dure -fisica, chimica, geologia ad esempio- sono anch’esse sottoposte al condizionamento dei contesti in cui vengono elaborate. E sono sottoposte alle passioni personali di chi studia, scrive, fa ricerca nei laboratori. Le scienze sono immerse in paradigmi collettivi e -nel loro concreto operare- subiscono i pregiudizi personali, ideologici, politici degli scienziati, uomini in carne e ossa. Di fatto, afferma Thomas Kuhn, «i sostenitori di paradigmi opposti praticano i loro affari in mondi differenti» (La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, 1978, p. 182); da ciò deriva la concreta impossibilità di una verità oggettiva e metastorica, tanto che -come scrisse Max Planck– una nuova verità scientifica non si afferma attraverso la persuasione degli avversari ma a causa della loro morte e della crescita di nuove generazioni a essa abituate e disponibili.
Se tutto questo vale per le scienze dallo statuto più oggettivo -quelle della natura-, a maggior ragione pervade di sé praticamente ogni affermazione e risultato delle scienze sociali. Un esempio è dato dalla stupefacente incapacità di scienziati della politica, analisti sociali e soprattutto giornalisti di comprendere le ragioni del successo in Italia di un movimento politico come quello fondato da Grillo.
La spocchia filogovernativa di Repubblica, specialmente del suo ex direttore Eugenio Scalfari ma anche dell’attuale Ezio Mauro; le banalità del Corriere della sera; i veri e propri insulti rivolti dai conduttori dei penosi talk show televisivi; gli evidenti pregiudizi del Manifesto, che sul numero di ieri definisce il Movimento 5 stelle «appetibile per chi si era lasciato fin qui sedurre dal populismo berlusconiano e dalle rozze semplificazioni bossiane, malgrado i 5 stelle siano in gran parte giovani secchioni ambientalisti, più bravi a problematizzare che a risolvere» (A. Fabozzi); tutto questo -e molto altro- dimostra una diffusa incapacità da parte dei mezzi di comunicazione di massa di intendere l’evidente novità di un movimento che può avere molti limiti -primo dei quali il populismo- ma che esiste al di là del blog di Grillo e le cui caratteristiche principali mi sembrano le seguenti: l’impegno in prima persona di cittadini che non si rassegnano alla totale corruzione della cosa pubblica e si assumono l’incarico di amministrare direttamente le città; il rifiuto della politica come professione; l’attenzione massima posta alla qualità della vita e dell’ambiente; l’innovazione tecnologica (Internet come luogo politico); un programma chiaro, articolato ma anche breve, in grandissima parte “di sinistra”. Un programma che tutti possono leggere facilmente e la cui ignoranza da parte di giornalisti e analisti non è consentita.
Questo Movimento ha un progetto. Continuare a dire che si tratta solo di «protesta antipolitica senza proposte» è del tutto falso. Si può condividere o meno tale progetto ma è con esso che bisognerebbe confrontarsi e non con i propri pregiudizi.
Una delle dimostrazioni ai miei occhi più chiara dell’intelligenza politica di Beppe Grillo è la seguente dichiarazione (8.5.2012):
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Se il MoVimento 5 Stelle avesse scelto la televisione per affermarsi, oggi sarebbe allo zero qualcosa per cento. Partecipare ai talk show fa perdere voti e credibilità non solo ai presenti, ma all’intero MoVimento. Nei talk show il dibattito avviene con conduttori di lungo corso e con le mummie solidificate dei partiti. C’è l’omologazione con il passato. Che senso ha confrontarsi con Veltroni o con Gasparri in prima serata? Più che spiegarlo e ribadirlo non posso fare. Comunque chi partecipa ai talk show deve sapere che d’ora in poi farà una scelta di campo.
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e, prima ancora, (21.4.2012):
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I talk show televisivi sono un’arma contro il MoVimento 5 Stelle. Sono spazi poco igienici dove chi partecipa viene omologato alle scorie del Sistema. Infatti, se ti siedi accanto a Renzi o alla Santanchè sei omologato. Chi ascolta gli scarsi minuti che ti vengono accordati ti qualifica come un’espressione dei partiti. Chi si siede su quella poltroncina, su quella sedia, è alla mercé di conduttori schierati che hanno due obiettivi: lo share e l’obbedienza al partito o allo schieramento di riferimento.
[…] Siamo cresciuti in Rete, ci siamo sviluppati con l’esempio dei fatti nei Comuni, con il passaparola. La televisione è controllata in ogni sua piccola parte dai partiti. Uno “stupid box”. “Farsi vedere” dai cittadini “altrimenti non si cresce” è una solenne cazzata. O per alcuni una scusa per dare spazio al proprio ego.
È bene ricordare che chiunque faccia parte del MoVimento 5 Stelle, oggi ci sono 200.000 iscritti, ha la stessa dignità. È un MoVimento di massa dove chiunque può prendere e dare il testimone. La rivoluzione non sarà televisiva. La televisione è in mano al potere costituito. O ti oscura o deforma il tuo messaggio. I movimenti degli Indignados o dei Pirati svedesi sono nati e si sviluppano in Rete, non in prima serata televisiva. Ogni volta che parlano Bersani e Casini c’è uno spostamento di voti verso il MoVimento 5 Stelle, ogni volta che un esponente del M5S si fa ingabbiare in un talk show questi voti ritornano ai partiti. La nostra voce è la Rete, senza non avremmo neppure lo 0,1%. Entrare in uno studio in cui tutti, ma proprio tutti sono contro di te e non hai neppure il diritto di parola, perché ti viene tolta al momento opportuno da conduttori prezzolati, è fare il gioco dei partiti. Per chi non lo sapesse ancora, le televisioni appartengono ai partiti insieme ai giornalisti. Senza alcuna eccezione.
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Condivido pienamente. Da anni.

Astuzia della Ragione
in Presidi da bocciare?
A cura di Augusto Cavadi
Di Girolamo editore, Trapani 2012
Pagine 77-100
Presidi da bocciare?, di Augusto Cavadi
La parola alla difesa: vita da presidi, di Giorgio Cavadi
La giornata di un preside di periferia che i carabinieri li chiama lui oppure i problemi si risolvono con le sedie volanti, di Domenico Di Fatta
Astuzia della Ragione, di Alberto G. Biuso
Presidi e stato di diritto, di Dario Generali
Aggiornamenti last minute: la telenovela infinita, di Antonio Mazzeo