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In between

In between
(Titolo italiano:  Libere disobbedienti innamorate)
di Maysaloun Hamoud
Israele-Francia, 2016
Con: Mouna Haha (Leila), Shaden Kanboura (Noor), Sana Jammelieh (Salma)
Trailer del film

Tre donne palestinesi vivono a Tel Aviv. Leila è un avvocato che cerca di godersi la vita in un modo che il suo ragazzo non apprezza. Salma ama la musica, serve nei bar ed è costretta a nascondere alla famiglia cristiana la propria omosessualità. Noor viene da un ambiente islamico ortodosso e ha un fidanzato tanto pio quanto aggressivo. In modi differenti, le tre ragazze subiscono la costrizione e la violenza di un mondo bigotto, che esso sia laico, cristiano o musulmano. Il film si chiude con un fermo immagine sui loro volti pensosi, malinconici, delusi e in fondo sorpresi.
Il pessimo titolo italiano non restituisce la densità di quello inglese –Nel mezzo– né di quello originale Bar Bahar, che in arabo vuol dire tra terra e mare e in ebraico né qui né altrove. Le esistenze di Leila, Salma e Noor sono infatti sospese tra stili di vita incompatibili e rimangono prese nel mezzo tra aspirazioni all’emancipazione, ipocrisie maschiliste, rivolte che toccano la superficie ma non arrivano all’affrancamento.
Maysaloun Hamoud racconta queste storie in modo fresco e lieve ma a volte il film sembra fermarsi e ripetersi, come se la vita non fosse all’altezza dell’immaginazione. Dagli scarsissimi contatti delle tre donne con ambienti ebraici si comprende come la vita in Israele sia fatta di enclave, di ghetti esistenziali e religiosi che tutti i personaggi accettano come fossero naturali e immutabili. Mi è sembrato questo l’elemento inquietante, più del consueto racconto patriarcale

Cuori pesanti

The Idol
di Hany Abu-Assad
Palestina, Qatar, Gran Bretagna, 2015
Con: Tawfeek Barhom (Muhammad Assaf), Hiba Attallah (Nour bambina), Nadine Labaki
Trailer del film

A Gaza non è facile vivere e sopravvivere. Tanto più sembra impossibile aspirare a vincere il più importante concorso televisivo musicale che si tiene in Egitto:  Arab Idol. Ma Muhammad Assaf e sua sorella Nour sono abituati a correre, correre, correre, per sfuggire ai soldati e per raggiungere i loro sogni. Quando una malattia ferma la vitale e simpaticissima Nour, il fratello fa di tutto per regalare a lei e a se stesso il sogno. E ci riesce superando in modo rischioso e rocambolesco gli ostacoli più diversi: il muro eretto da Israele, la scarsità di risorse tecniche, l’intransigenza islamista, la rassegnazione. La sua bella voce gli apre le porte, la fortuna, la libertà.
Il film racconta una vicenda realmente accaduta, quella di un ragazzo diventato icona spettacolare del possibile riscatto di un popolo -i palestinesi- umiliato e offeso. Più fresco nella prima parte, quando Muhammad e Nour sono ragazzini, e più drammatico nella seconda, The Idol è certo un po’ televisivo e melodrammatico ma ha il merito di farci conoscere meglio la tragedia e la tenacia di un popolo che rischia il genocidio e i cui giovani anarchici hanno scritto un Manifesto dove si possono leggere parole come queste: «Siamo giovani dai cuori pesanti. Ci portiamo dentro una pesantezza così immensa che rende difficile anche solo godersi un tramonto. Come possiamo godere di un tramonto quando le nuvole dipingono l’orizzonte di nero e orribili ricordi del passato riaffiorano alla mente ogni volta che chiudiamo gli occhi? Sorridiamo per nascondere il dolore. Ridiamo per dimenticare la guerra. Teniamo alta la speranza per evitare di suicidarci qui e adesso. Durante la guerra abbiamo avuto la netta sensazione che Israele voglia cancellarci dalla faccia della Terra» (Libertaria 2016, Mimesis, Milano 2016, p. 106).

Jahvé

Il manifesto del 1 agosto 2015 ci informa di come dei coloni ebrei abbiano dato fuoco a una casa palestinese in Cisgiordania. Un bambino di 18 mesi è morto bruciato vivo. I genitori e un fratello di 4 anni sono ricoverati in ospedale.
Ali Dawabsheh è stato bruciato vivo a 18 mesi di vita. Eretz Yisrael, il Grande Israele promesso da Jahvé il maledetto ai suoi fanatici credenti, continua a mietere vittime in modo atroce. Con questa fede, nata nei deserti del Vicino Oriente, si è generato il culto dell’Uno contro la gloria della Differenza, si è generato il monoteismo più intransigente contro l’apertura pagana alla molteplicità degli dèi. Dall’ebraismo sono scaturiti il cristianesimo e l’islam, le tre forme della più radicale violenza che la storia mediterranea abbia conosciuto.
Céline ha ragione: «Bibbia il libro più letto del mondo…più porco, più razzista, più sadico che venti secoli di arene, Bisanzio e Petiot mescolati! …di quei razzismi, fricassee, genocidi, macellerie dei vinti che le nostre più peggio granguignolate vengono pallide e rosa sporco in confronto» (Rigodon, Einaudi 2007, p. 14).

Dante, Maometto e Charlie Hebdo

«Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
com’io vidi un, così non si pertugia,
rotto dal mento infin dove si trulla.

Tra le gambe pendevan le minugia;
la corata pareva e ‘l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia.

Mentre che tutto in lui veder m’attacco,
guardommi e con le man s’aperse il petto,
dicendo: ‘Or vedi com’ io mi dilacco!”

vedi come storpiato è Mäometto!’»

(Inferno, XXVIII, 22-31).

Così Dante Alighieri descrive la figura ripugnante dello ‘scismatico’ Maometto, tagliato/squartato come lui volle tagliare/squartare l’unità cristiana del Mediterraneo. Ancora una volta i monoteismi confermano tutta la loro carica di violenza, gli uni contro gli altri. Nel presente i CharlieHebdo_Maomettopiù pericolosi e armati di tali monoteismi sono quello di Israele e quello degli islamisti. Massacrare i redattori del giornale parigino Charlie Hebdo perché hanno «offeso il Profeta» è semplicemente ripugnante. E conferma ancora una volta tutta la violenza insita nell’Identità senza Differenza, nell’Uno.

veil-charlie-hebdo«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile. Non avere altri dèi di fronte a me. […]  Perché io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano, ma usa misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti» (Deuteronomio, cap. 5, versetti 6-10).
«Allah testimonia, e con Lui gli Angeli e i sapienti, che non c’è dio all’infuori di Lui, Colui Che realizza la giustizia. Non c’è dio all’infuori di Lui, l’Eccelso, il Saggio». (Corano, sura III, versetto 18).
«Egli Allah è Unico, Allah è l’Assoluto. Non ha generato, non è stato generato e nessuno è eguale a Lui» (Corano, sura CXII, versetti 1-4).
«E i miscredenti che muoiono nella miscredenza, saranno maledetti da Allah, dagli angeli e da tutti gli uomini. Rimarranno in questo stato in eterno e il castigo non sarà loro alleviato, né avranno attenuanti. Il vostro Dio è il Dio Unico, non c’è altro dio che Lui, il Compassionevole, il Misericordioso» (Corano, sura II, versetti 161-163).

Essere politeisti

L’immensa violenza scatenata da alcune sette islamiche che utilizzano anche e soprattutto le armi date loro dagli Stati Uniti d’America in funzione antisiriana; il razzismo teocratico di Israele; la millenaria pretesa di verità assoluta della dottrina cristiana e il tentativo di imporla con guerre, inquisizioni, crociate, torture, stermini, sono tutte manifestazioni e conseguenze del principio biblico di esclusione:

Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile. Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra né di quanto è nelle acque sopra la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso. […] Guàrdati bene dal fare alleanza con gli abitanti della terra nella quale stai per entrare, perché ciò non diventi una trappola in mezzo a te. Anzi distruggerete i loro altari, farete a pezzi  le loro stele e taglierete i loro pali sacri. Tu non devi prostrarti ad altro dio, perché il Signore si chiama Geloso: egli è un Dio geloso.
(Esodo, 20, 1-6 e 34, 11-14, traduzione Cei)

Bettini_politeismo

Da qui parte un vivace Elogio del politeismo proposto da Maurizio Bettini e del quale discuto in un articolo pubblicato oggi su Sicilia Journal: Contro ogni fondamentalismo, essere politeisti.

Scrivere

Mente & cervello 117 – settembre 2014

M&C_117_settembre_2014Le mente è una parte della materia consapevole di esistere. Mi ha fatto piacere trovarne ulteriore conferma negli studi di Mark Tegmark, fisico del MIT, il quale sostiene l’ipotesi che, per l’appunto, «la coscienza sia un diverso stato della materia, da collocare assieme a quelli solido, liquido, gassoso e plasmatici, che si meriterebbe il nome di perceptronium» (S. Gozzano, p. 9).
Il corpomente è sempre attivo, in qualunque momento situazione e condizione. Per questo siamo vivi. E per questo «stare da soli in una stanza vuota a pensare, anche solo per un breve periodo di 5-15 minuti, è un compito che la nostra mente trova quasi insostenibile», proprio per «la costante necessità della nostra specie  di ‘fare qualcosa’ anziché rimanere in silenzio e lasciar lavorare la mente in solitudine» (A. Romano, 20). L’Homo faber è un corpomente che impara di continuo, capace di apprendere sia per le componenti genetiche di ciascuno sia per quelle dell’ambiente nel quale ognuno si trova a vivere. Rispetto a tempi recenti, volti ad assolutizzare il condizionamento delle strutture sociali nell’apprendimento, «gli effetti della componente ambientale nello sviluppo delle capacità intellettive dei primati, sebbene non siano trascurabili, vengono quindi ridimensionati» (Id., 23).
Il corpomente apprende in una miriade di maniere. Tra di esse il modo principe è lo scrivere. Senza il linguaggio -nella

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Non è una guerra

Una deputata dell’estrema destra israeliana ha scritto che «tutti i palestinesi meritano di morire» (Fonte: Televideo, 20/07/2014, 00:05). E infatti stanno morendo, con la complicità dell’intero Occidente, dell’Italia che fabbrica armi per Israele, dello squallido Nobel per la pace Barack Obama.
Le generazioni future si vergogneranno di un’epoca “democratica” che ha permesso il genocidio giustificando in tutti i modi i carnefici. Si chiederanno come sia potuto accadere. Troveranno le risposte nel razzismo degli eletti da Dio, nel fanatismo, nella geopolitica, negli interessi finanziari, nella menzogna, nell’indifferenza.

 

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