Un autentico processo di liberazione sa distinguere in modo netto il danno rispetto alla colpa. Il danno è un dato empirico, è un fatto. La colpa è una costruzione culturale, è un veleno per la vita, la cui pervasività si deve in gran parte all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam. Il senso di colpa è completamente inutile e dannoso. Sentirsi in colpa verso qualcuno significa infatti quasi sempre odiarlo, proprio a causa del senso di colpa che produce in noi. «Non rimorso! Bensì compensare il mal fatto con una buona azione!» (F.Nietzsche, Frammenti postumi 1881-1882, [Opere, vol. V/2], fr. 11 [345] ).
La catastrofe dell’Italia contemporanea non è soltanto culturale, etica, antropologica. È anche economica. La disoccupazione è arrivata all’8,3 per cento, anche se il pifferaio che ci porta verso il baratro riesce coi suoi strumenti -televisione, stampa- a nascondere pure tale dato statistico. Le conseguenze sulla psiche di una condizione senza lavoro sono devastanti e coinvolgono l’identità profonda di una persona, il suo presente, le attese, le memorie.

Terza isola del Mediterraneo, indipendente dal 1960, luminosissima, Cipro è terra del tutto greca, nella lingua, nella storia, nelle architetture antiche e contemporanee. Un crocevia culturale del mondo antico nel quale la potenza del paganesimo emerge a ogni passo, seppur temperata dalla invadenza delle chiese cristiano-ortodosse e dalla più sobria presenza di moschee.Tra queste ultime, la più suggestiva è forse quella di Hala Sultan Tekke, posta sulle rive del Lago salato di Larnaka. Un luogo appartato, silenzioso e sobrio, che trasmette la dimensione mistica dell’Islam. Le moschee più importanti della capitale Nicosia sono state ricavate invece da precedenti chiese cristiane, sia nella parte sud (greco-cipriota) che in quella Nord (turco-cipriota). Nicosia è l’ultima città divisa d’Europa. È comunque possibile visitare le due parti transitando attraverso un checkpoint che immette in un mondo davvero altro per lingua, moneta, struttura urbana. È qui che la Büyük Han accoglie il visitatore in un antico caravanserraglio circolare, intimo e colorato. La linea militarizzata che divide la città è tra le esperienze più inquietanti ma anche interessanti, cicatrice testimone dell’insensatezza degli umani che si fan la guerra e della forza del conflitto, radicato nel bisogno di questa specie di mammiferi di marcare il proprio territorio come fanno i gatti con l’urina. Noi preferiamo porte, mura, filo spinato. Tornati a Nicosia Sud, il piccolo Museo Archeologico raccoglie alcune opere assolutamente uniche: statue votive a grandezza naturale, meravigliose collane d’oro, letti e troni in avorio, l’Afrodite di Soloi.
Afrodite che nacque nella parte ovest dell’isola, fu generata dalle acque di Pafos, splendida città romana a pochi metri dal mare. Qui le case di Teseo, di Dioniso, di Aion conservano mosaici assai belli, nei quali il mito -e dunque la verità del mondo- si fa colore, forma, senso. Sempre a ovest, il sole al tramonto illumina il magnifico sito di Kourion, nel quale templi, case, teatri rivolgono al mare -dal quale le separa uno strapiombo di falesia- la loro forza. In questo spazio, e nel vicino tempio di Apollo Ylatis, l’incanto della natura diventa una sola cosa con l’armonia delle strutture umane.
Larnaka, la città dal cui rinnovato aeroporto si entra a Cipro, è interessante soprattutto per la sua fortezza veneziana posta sul mare, per la piccola cattedrale ortodossa di Agios Lazaros, per il raccolto museo Plerides, che sino al 10 gennaio di quest’anno ospita una mostra temporanea dedicata ai profumi di Afrodite. Vi si possono toccare gli alambicchi che trasformano le piante dell’isola in essenze dolci e sensuali, quasi come se la luce fosse trasformata in odore, il mito fosse diventato la materia stessa che lo ha generato. Una sinestesia della mente.
Ensemble ANTONIO IL VERSO
L’eredità della tradizione araba nella musica cristiana e sefardita
Palazzo Biscari – Catania – 25 Novembre 2009
Associazione Musicale Etnea
Picci Ferrari voce
Fabio Midolo voce
Silvio Natoli oud, viella
Perla Manfrè arpa gotica, arpa doppia
Fabrizio Francoforte percussioni
Conversos, marrani, moriscos. La Spagna del XV e XVI secolo è intrisa di un rapporto profondo e conflittuale tra la dominanza cattolica e le comunità ebraica e islamica. Le radici di questo incontro sono profonde e la musica lo testimonia. Brani in onore della “Madre di Nostro Signore” si alternano al pianto e all’ironia delle minoranze, ai loro ritmi mediterranei e orientali. Il concerto dell’eccellente Ensemble Antonio Il Verso ha alternato musiche cristiane, sefardite e arabe in un intreccio armonico e concettuale che ha nello oud -strumento a corda dal timbro duro e sensuale- uno dei suoi emblemi. Molto bravi tutti gli interpreti, il cui suono e la cui voce immergono nel canto di altri tempi, altre terre.
[audio:Sa_dawi.mp3]
(Sa’ dawi – Tradizionale sefardita [Andalusia]
Esecuzione del Thomas Wimmer & Accentus Ensemble)
18 maggio 2009
Centro Culture Contemporanee Zo – Catania
Associazione Musicale Etnea
Goonga e Mithu Sain
CERIMONIA DOHL
Per la tomba del Maestro Sufi Baba Shah Jamal
Due musicisti percuotono il loro dohl, il tamburo rituale, creando ritmi, onde, movimenti sempre più intensi e arcaici. Musica e trance, la musica come porta che conduce alla terra ed esprime tutto l’amore per essa. Il Sufismo è parte eterodossa ma pur sempre parte dell’Islam e i due fratelli Goonga e Mithu Sain sono tra i più importanti Sufi pachistani. Nello spazio ristretto e chiuso -e dunque poco adeguato- di un palcoscenico europeo, essi cercano di comunicare almeno l’intuizione di un rapporto con il mondo che non sia il dominio soggettivistico e calcolante ma il riposo ritmato nel cuore della terra. La forza dei tamburi fa vibrare i corpi, li esalta.

Categories Libro del mese
Trattato dei tre impostori
Anonimo
TRATTATO DEI TRE IMPOSTORI. La vita e lo spirito del Signor Benedetto de Spinoza
(Traité des Trois Imposteurs o Esprit de Spinoza)
A cura di Silvia Berti
Prefazione di Richard H. Popkin
Einaudi 1994
Pagine LXXXIV-313
La vicenda di questo scritto è singolare. Sembra sia stato composto agli inizi del Settecento innestandosi sulla tradizione averroistica del leggendario De tribus impostoribus ma in realtà rielaborando e incastrando fra di loro testi di Spinoza, Hobbes, Vanini, La Mothe Le Vayer, Charron, Naudé, Lamy. Condannato, bruciato, gelosamente conservato e appassionatamente letto, sembrava lontano da ogni chiarificazione filologica fino a quando, nel 1985, Silvia Berti scoprì a Los Angeles un esemplare dell’edizione Levier del 1719, del quale qui presenta l’edizione critica. La curatrice lo attribuisce, con buoni argomenti pur senza una prova definitiva, al diplomatico olandese Jan Vroesen. In ogni caso, si tratta di uno dei documenti più significativi della letteratura libertina.
Rivive in esso il sarcasmo averroistico nei confronti della Lex Moysi adatta a uomini in stato infantile e stupido; della Lex Christi contronatura e quindi impossibile da praticare allorché obbliga al disprezzo di sé, all’amore dei nemici, alla non resistenza verso il malvagio; della Lex Mahumeti nata da un popolo edonista e sfrenato, compiacente verso i propri vizi e abitudini. Ma su questa base l’Autore innesta fortemente il razionalismo di Spinoza e la filosofia politica di Hobbes, creando un testo dirompente nel suo tempo…e anche nel nostro. In esso si sottolinea come le religioni riducano il divino a una misura del tutto umana, abbassandolo in tal modo al nostro livello con l’attribuzione di sentimenti quali l’amore, la gelosia, la conquista. L’esempio più evidente di tale riduzione è la concezione finalistica di un Dio che crea la natura per l’utilizzo umano e gli uomini per adorare lui. Allo scopo di confutare il finalismo l’Autore dell’Esprit traduce in francese gran parte dell’Appendice alla prima parte dell’Ethica. Da Spinoza deriva anche la dura critica al valore veritativo della Bibbia, ridotta a un insieme di «Fables impertinentes & ridicules» (cap. III, righe 61-62), frutto delle tradizioni e delle mistificazioni di un popolo ignorante. L’intellettualismo spinoziano permea la fiducia del Traité nel sapere che illumina e affranca dall’ignoranza, la quale «a produit la Crédulité, la Crédulité le Mensonge, d’où toutes les Erreurs qui régnent aujord’hui sont sorties» (I, 199-201). Va comunque rilevato che spesso l’Esprit mescola i testi utilizzati e li forza verso conclusioni incompatibili con quelle dei loro autori. La metafisica spinoziana, in particolare, è piegata ad esiti materialistici assai più consoni agli Idéologues che all’Ethica. L’identificazione della Sostanza con l’attributo dell’estensione, e quindi della materia, è attuata anche per dimostrare che l’anima «étant de même nature dans tous les Animaux, se dissipe dans la mort de l’Homme, ainsi que dans celle des Bêtes» (XX, 22-24).
La lezione di Hobbes è anch’essa evidente nella discussione sul significato e sull’uso politico delle religioni. Esse nascono dalla paura e dal timore intrecciati ma poi vengono stabilite, codificate, diffuse da chi se ne serve come strumento indispensabile ed efficacissimo di dominio, una vera e propria «Drogue, pour entretenir le Credit & la Reputation de leur Théatre» (XVII, 267-268). Senonché le religioni diventano subito occasione di conflitto e di disordine fra gli stati e all’interno di essi. Basti osservare come le varie confessioni in cui il cristianesimo si è diviso abbiano reso questi credenti dei «meurtriers, perfides, traistres» pronti a infierire «les uns contre les autres par toutes espéces d’inhumanité» (XIV, 62-63). Cosa tanto più assurda e inaccettabile in quanto «la Nation, le Pays, le Lieu, donne la Religion», che mediante tale relativismo viene ulteriormente abbassata nella sua pretesa di verità (XIII, 137). Com’è quindi possibile che i monoteismi dominino culture e vite? Ciò è il frutto negativo di una molteplicità di circostanze: l’ambizione sfrenata dei loro fondatori, l’utilizzo politico, l’ignoranza delle masse. Su quest’ultimo punto il Traité è durissimo: «Le Peuple (j’entens par ce mot le Vulgaire ramassé, la tourbe & lie populaire, Gens, sous quelque couvert que ce soit de basse, servile & mechanique condition) est une Bête à plusieurs tête, vagabonde, errante, folle, étourdie, sans conduite, sans esprit, ni jugement» (XV, 47-51). Il popolo non può che cadere quindi in braccio ai più abili, ai grandi impostori. Questo e nient’altro sarebbero Mosé, Gesù Cristo, Maometto.
Qui l’Esprit attinge il suo livello più radicale di demistificazione del grande mito dell’Europa cristiana, quello che anche i più accaniti avversari delle Chiese esitano a coinvolgere, che persino Spinoza pose al riparo dalla propria critica: la persona di Gesù. Per l’Autore del Trattato Jeshu-ha-Notzri fu figlio dell’adulterio di una donna ebrea con un soldato romano, fece tesoro dell’esperienza di Mosè e dei Profeti; colse l’attesa messianica del suo popolo ed enunciò l’assurda pretesa che nessun altro impostore aveva mai osato: di essere Dio egli stesso. L’enormità e l’irrazionalità di tale assunto spiegano, per l’Autore dell’Esprit, la condanna cristiana della sapienza e della ragione. È davvero necessario che nel suo regno Gesù «n’admet que les Pauvres d’esprit, les Simples & les Imbéciles» (VIII, 123-124). Sono qui evidenti l’eredità polemica e il radicalismo di Giulio Cesare Vanini, arso vivo dall’Inquisizione nel 1619.
Nonostante quindi le ingenuità del testo, le sue forzature interpretative, il tono sarcastico e poco teoretico, la sua natura di mosaico di molti autori, questo libro è di grande importanza anche come manifesto del nascente Illuminismo, soprattutto delle sue correnti più radicali.