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Dante, Maometto e Charlie Hebdo

«Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
com’io vidi un, così non si pertugia,
rotto dal mento infin dove si trulla.

Tra le gambe pendevan le minugia;
la corata pareva e ‘l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia.

Mentre che tutto in lui veder m’attacco,
guardommi e con le man s’aperse il petto,
dicendo: ‘Or vedi com’ io mi dilacco!”

vedi come storpiato è Mäometto!’»

(Inferno, XXVIII, 22-31).

Così Dante Alighieri descrive la figura ripugnante dello ‘scismatico’ Maometto, tagliato/squartato come lui volle tagliare/squartare l’unità cristiana del Mediterraneo. Ancora una volta i monoteismi confermano tutta la loro carica di violenza, gli uni contro gli altri. Nel presente i CharlieHebdo_Maomettopiù pericolosi e armati di tali monoteismi sono quello di Israele e quello degli islamisti. Massacrare i redattori del giornale parigino Charlie Hebdo perché hanno «offeso il Profeta» è semplicemente ripugnante. E conferma ancora una volta tutta la violenza insita nell’Identità senza Differenza, nell’Uno.

veil-charlie-hebdo«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile. Non avere altri dèi di fronte a me. […]  Perché io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano, ma usa misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti» (Deuteronomio, cap. 5, versetti 6-10).
«Allah testimonia, e con Lui gli Angeli e i sapienti, che non c’è dio all’infuori di Lui, Colui Che realizza la giustizia. Non c’è dio all’infuori di Lui, l’Eccelso, il Saggio». (Corano, sura III, versetto 18).
«Egli Allah è Unico, Allah è l’Assoluto. Non ha generato, non è stato generato e nessuno è eguale a Lui» (Corano, sura CXII, versetti 1-4).
«E i miscredenti che muoiono nella miscredenza, saranno maledetti da Allah, dagli angeli e da tutti gli uomini. Rimarranno in questo stato in eterno e il castigo non sarà loro alleviato, né avranno attenuanti. Il vostro Dio è il Dio Unico, non c’è altro dio che Lui, il Compassionevole, il Misericordioso» (Corano, sura II, versetti 161-163).

Essere politeisti

L’immensa violenza scatenata da alcune sette islamiche che utilizzano anche e soprattutto le armi date loro dagli Stati Uniti d’America in funzione antisiriana; il razzismo teocratico di Israele; la millenaria pretesa di verità assoluta della dottrina cristiana e il tentativo di imporla con guerre, inquisizioni, crociate, torture, stermini, sono tutte manifestazioni e conseguenze del principio biblico di esclusione:

Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile. Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra né di quanto è nelle acque sopra la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso. […] Guàrdati bene dal fare alleanza con gli abitanti della terra nella quale stai per entrare, perché ciò non diventi una trappola in mezzo a te. Anzi distruggerete i loro altari, farete a pezzi  le loro stele e taglierete i loro pali sacri. Tu non devi prostrarti ad altro dio, perché il Signore si chiama Geloso: egli è un Dio geloso.
(Esodo, 20, 1-6 e 34, 11-14, traduzione Cei)

Bettini_politeismo

Da qui parte un vivace Elogio del politeismo proposto da Maurizio Bettini e del quale discuto in un articolo pubblicato oggi su Sicilia Journal: Contro ogni fondamentalismo, essere politeisti.

Medea

di Seneca
Piccolo Teatro Grassi – Milano
Traduzione e adattamento di Francesca Manieri
Con: Maria Paiato, Max Malatesta, Orlando Cinque, Giulia Galiani, Diego Sepe
Regia di Pierpaolo Sepe
Sino al 3 novembre 2013

Come un gorgoglio immane della Terra, il rancore la vendetta e l’odio di Medea si scatenano tra le mura di Corinto. La straniera che ha permesso a Giasone di non solcare vanamente il mare, agli Argonauti di raggiungere il vello d’oro, all’umano di aprire lo spazio nuovo delle acque, ora è disprezzata, temuta, radiata. Deve andare via perché Giasone ha una nuova moglie, la figlia di Creonte, re della città. Ma Medea non è nata per subire. Dopo aver donato agli umani le acque, regala loro il fuoco che distrugge Corinto. E a Giasone offre i corpi senza vita dei loro due figli. La passione umana per il possesso totale dell’Altro ha in Medea una delle sue più terribili figure.
Il corpomente di Maria Paiato diventa una Medea terrificante, tenera, disperata, tenace. Diventa parte di una rete simbolica che trasforma la tragedia di Seneca in un testo politico. Al centro della scena c’è infatti un grande e scolorito simbolo degli United States of America; Creonte, Giasone, il coro sono vestiti al modo dei cow-boys; Creusa/Glauce si fa più volte il segno della croce; Medea in certi momenti si copre il viso con un velo. La metafora mi è parsa dunque evidente: la donna straniera e barbara è il mondo islamico irretito e poi ripudiato dall’Occidente, un mondo che si vendica con il terrore.
Una lettura inconsueta e certo forse troppo attualizzante ma che ha il merito di non indulgere in intimismi psicologici che con il mito nulla hanno a che vedere. E che dà alla potente interpretazione della protagonista l’inesorabilità degli eventi che nessuno vuole ma che debbono accadere.

Hadra

MI-TO Settembre Musica 2012
Piccolo Teatro Studio – Milano – 13 settembre 2012
La Hadra delle donne di Chefchaouen

 

Interpreti

Ensemble Akhawat el-Fane el-Assil
Sayda Rahoum Bekkali, direttore

Hadra è nel mondo islamico un canto, una preghiera, una meditazione. La musicista Sayda Rahoum Bekkali proviene da una famiglia e da un territorio, il villaggio di Chefchaouen in Marocco, che conservano tradizioni e modalità di antichi canti sacri arabi e andalusi.
Al Piccolo Teatro, accompagnate da tamburi, battendo le mani, dondolandosi ritmicamente, tredici donne hanno fatto della loro presenza un segno del bisogno di esprimere con i corpi e con la musica l’enigma dell’esistere.
Propongo l’ascolto del Tubú (Modos): Gríbt L-Hsín / Gribá Muharrara / Síka 7.1-7.8 interpretato dalla Cofradía Al-Shushtarí & Omar Metioui.

 

 

 

[audio:Síka.mp3].

 

 

 

 

La sorgente delle donne

La sorgente dell’amore
(La source des femmes)
di Radu Mihaileanu
Con: Leïla Bekhti (Leila), Hafsia Herzi, Biyouna (Loubna/Esmeralda), Sabrina Ouazani (Rachida), Saleh Bakri (Sami), Hiam Abbass (Fatma), Mohamed Majd (Hussein), Biyouna (Vecchia Lupa)
Belgio, Italia, Francia, 2011
Trailer del film

Il titolo originale recita La sorgente delle donne / La sorgente delle mogli. Un titolo un po’ meno sdolcinato e un po’ più malizioso per una storia che narra di un episodio accaduto realmente in Turchia e che qui viene ambientato in un più generico Maghreb.
In un piccolo villaggio senza corrente elettrica e senza acquedotto sono le donne a recarsi ogni giorno a una fonte sulla collina per rifornirsi d’acqua. Gli uomini, invece, se ne stanno a chiacchierare e a bere. Quando una di queste donne, incinta, perde il bambino a causa di una caduta sul terreno accidentato, una sua amica decide di proporre alle altre lo sciopero dell’amore. Non andranno più a letto con i loro mariti sino a quando la questione non sarà risolta. La risposta dei loro uomini è dura, intransigente ma anche inconcludente. La vicenda va dunque avanti fra stratagemmi e violenze, intrecciandosi con alcune storie d’amore.
Dopo Train de vie la parabola di Mihaileanu appare declinante. Già Il concerto era po’ banalmente favolistico, anche se si rideva ancora molto. Qui il regista vira più sul drammatico ma mi sembra che non sia adatto a questa tonalità narrativa. Il risultato è un’opera politicamente corretta, con degli interessanti elementi antropologici su usi e costumi islamici ma anche noiosa, ipersentimentale e prevedibile.

Al-Ciaeda

Nel «mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso» (Guy Debord, Opere cinematografiche, Bompiani, p. 54). I media e la politica che li controlla sembra che vogliano confermare ogni giorno quest’affermazione di Debord. Quando il rovesciamento tocca i popoli, i bambini, le guerre, diventa un crimine. Ricordiamo: il Segretario di Stato Colin Powell dichiarò solennemente davanti all’Assemblea dell’ONU che l’Iraq di Hussein deteneva “armi di distruzione di massa” e per questo andava invaso. Armi che poi si ammise non esistevano; la Libia è stata smembrata e distrutta anche perché Gheddafi venne accusato di aver massacrato decine di migliaia di suoi concittadini, buttati poi nelle fosse comuni. Tali fosse si disse poi che erano una fantasia. Adesso è il turno della Siria.
Invito a leggere un dettagliato e assai chiaro articolo di Paolo Sensini dal titolo Di ritorno dalla Siria. Appunti sulla geopolitica del caos, che dimostra in modo documentato e diretto che cosa veramente sta accadendo in quel Paese. Le menzogne del media mainstream che tutti ci condiziona emergono con chiarezza. Colpisce, in particolare, il fatto che gli USA e la Nato sostengano in Siria -come hanno fatto in Iraq e in Libia- i movimenti islamisti radicali che combattono il regime di Assad, quei movimenti che vengono accusati dagli stessi USA e dalla Nato delle peggiori nefandezze, compreso l’attacco alle Torri di New York.
Il documento si può scaricare a questo link. Per i più pigri ho evidenziato i brani secondo me più significativi. Alcuni li riporto anche qui sotto. Perché una delle condizioni per essere liberi è essere informati.

«Bernard Lewis presentò alla Conferenza del 1979 del Gruppo Bilderberg una strategia britannico-americana “approvata dal movimento estremista Fratellanza Musulmana […], con lo scopo di promuovere la balcanizzazione dell’intero Vicino Oriente musulmano lungo linee di divisione tribali e religiose”. […]
Nessuna menzione invece ai “rapimenti, alle torture, alle esecuzioni sommarie, alle mutilazioni e alle pratiche criminali commesse dai gruppi armati che si oppongono al regime siriano”, come ha dovuto ammettere anche l’organizzazione non-governativa Human Rights Watch in un suo rapporto pubblicato il 20 marzo 2012, cioè dopo più di un anno di distanza da quando i terroristi imperversano in Siria. […]
L’obiettivo primario di queste sollevazioni eterodirette è stato fin dall’inizio di frantumare la società siriana, infliggere quante più perdite possibili all’esercito di Assad, dividere il paese su linee etnico-confessionali, paralizzare la produzione agricola, industriale, artigianale. […]
Madre Agnes-Mariam de la Croix espone una realtà molto diversa dal quadro che, volente o nolente, si è raffigurato in Occidente sui fatti siriani. Senza interrompere la sua attività di pittrice per “guadagnarsi il pane” e fare andare avanti i lavori di sistemazione dello splendido Monastero che condivide con un’altra ventina tra suore e frati provenienti da varie parti del mondo, mi parla di “persone spacciate per morte ad uso televisivo e che morte invece non erano”, di “individui uccisi e orribilmente mutilati affinché le loro morti potessero essere attribuite alle violenze dell’esercito siriano, ma che invece erano stati assassinati dai cosiddetti ‘ribelli’ a beneficio delle troupes dei grandi network”. Parla ancora di “violenze inaudite su bambini, di stupri, di mutilazioni di seni, di uccisioni seriali di cristiani presenti nelle città teatro delle rivolte dei fanatici islamisti, di omicidi compiuti anche ai danni di sunniti che non condividevano la loro violenza belluina”. Parla di tutto ciò che ha potuto appurare in prima persona, senza frapporre tra sé e i fatti alcun filtro televisivo o giornalistico, ma la sua testimonianza non viene raccolta da nessun mezzo di comunicazione, neppure da quelli cattolici. Non rientrando nei canoni del “politicamente corretto”, la sua voce fuori dal coro risulta sgradita ai corifei del Big Brother».

La pace femminile

E ora dove andiamo?
di Nadine Labaki
(Et maintenant on va où?)
Francia, Libano, Egitto, Italia, 2011
Con: Nadine Labaki (Amale), Claude Msawbaa (Takla), Layla Hakim (Afaf), Antoinette El-Noufaily (Saydeh), Yvonne Maalouf (Yvonne)
Trailer del film

Un gruppo di donne vestite di nero avanza danzando e battendosi il petto con le fotografie dei propri morti. Vanno al cimitero, dove si divideranno tra le tombe cristiane e quelle musulmane. In un villaggio senza nome di un indeterminato Vicino Oriente l’imam e il prete cattolico tentano di mantenere un clima di pace tra le due comunità. Le tensioni però sono sempre pronte a emergere, sino a un evento che sembra spalancare le porte al reciproco massacro. Ma le donne -tutte, islamiche e cristiane- ricorrono a ogni stratagemma pur di evitare il conflitto: dalle presunte visioni della madonna all’ingaggio di alcune danzatrici ucraine per distrarre i maschi, dal seppellimento delle armi alla preparazione di dolci corretti all’hashish.

Divertimento e dramma si mescolano in questa parabola che va oltre il particolare contesto libanese e mostra con intelligenza e lievità la natura irrazionale di ogni conflitto, di ogni cedimento alle pulsioni che comportano anche la fine del pur di raggiungere la distruzione dell’altro. La guerra è un enigma evoluzionistico, politico, metafisico che millenni di riflessione hanno illustrato in tutti i modi, non riuscendo in alcun modo a debellarne la furia. Lo sguardo e il tocco femminili di questo film si pongono totalmente dalla parte della donna, vista come madre e amante pronta a tutto pur di proteggere i propri nati e i propri uomini dalla loro stessa furia, in una costruzione corale che è l’elemento più riuscito dell’opera. Il significato del titolo viene svelato nella scena finale e nella battuta conclusiva, ancora una volta capaci di mescolare le differenze e farne una ragione di ricchezza invece che di odio.

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