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Schizofrenie imperialiste

Che Israele abbia intenzione di accelerare il genocidio del popolo palestinese credo sia evidente a chiunque guardi con un minimo di oggettività quello che da più di settanta anni accade in Palestina. La deportazione di milioni di persone dalle loro case; il trasferimento forzato di migliaia di malati; il radere al suolo intere città della Striscia di Gaza; il massacro di vecchi, donne, bambini attraverso bombardamenti indiscriminati…se non risulta chiaro tutto questo, non c’è proprio niente da fare.
Vorrei invece osservare l’ennesima schizofrenia della soggettività che definisce se stessa «progressista» e che da un lato reclama l’accoglienza più o meno universale di «migranti» che sono per la più parte di religione e identità islamica e tuttavia sostiene l’entità sionista dello Stato di Israele che vede nell’Islam sia arabo (per la più parte sunnita) sia iraniano (sciita) un pericolo mortale. Israele è anche l’ennesimo strumento dell’imperialismo anglosassone; chi conosce un poco la storia sa che il movimento sionista fu ai suoi albori sostenuto appunto dallo Stato britannico come ulteriore strumento di controllo del Vicino Oriente.
L’incoerenza logica e politica costituisce una tendenza inevitabile dei «progressisti», che nel loro paradigma universalista, globalista e dunque imperialista si trovano sempre davanti a contraddizioni che o cercano di ignorare o non comprendono proprio o verso le quali nutrono sovrana indifferenza, essendo loro i «buoni e giusti» per definizione. Sostenere il più implacabile colonialismo e suprematismo anche culturale, basato sui «valori» dell’Occidente, contro tutti gli altri popoli e civiltà del pianeta (ritenuti autoritari, gerarchici, antidemocratici, maschilisti, patriarcali, superstiziosi, arretrati e così via) e insieme credersi «accoglienti» mi sembra che sia frutto appunto di una schizofrenia politica.
Nel caso di Israele, poi, dovrebbe mettere almeno un poco sull’avviso la modalità di impronta nazista con la quale il sionismo afferma questo:

«‘Abitanti di Gaza, negli ultimi giorni vi abbiamo esortato a lasciare Gaza City e il nord della Striscia e a spostarvi a sud del Wadi Gaza per la vostra sicurezza. Oggi vi informiamo che fra le ore 10 e le 13 Israele non colpirà l’itinerario indicato dalla nostra cartina per raggiungere quella zona’. Così il portavoce militare israeliano. ‘Sfruttate questo breve lasso di tempo per andare a sud. State certi che i dirigenti di Hamas hanno già pensato alla loro sicurezza’».
(Fonte: Televideo RAI, Gaza, Israele: corridoio 10-13, andate via, 15/10/2023, ore 09:00)

Si noti infatti la tragica ironia e il tono conciliante e burocratico con il quale si intima a milioni di persone (compresi migliaia di malati ricoverati negli ospedali) di spostarsi di decine di chilometri tutti insieme «fra le ore 10 e le 13». E questo mentre «il ministero della Sanità dell’Autorità nazionale palestinese ha aggiornato il numero delle vittime dei raid israeliani a Gaza e Cisgiordania. I morti sono 2.384 e i feriti 10.250 dal 7 ottobre, data dell’attacco di Hamas. In particolare nella Striscia le vittime sono 2.329, la maggior parte delle quali bambini e donne, e i feriti 9.042» (Fonte: Televideo RAI, Anp: 2.384 morti tra Gaza e Cisgiordania, 15/10/2023 15:00).
Una carneficina delle persone che si coniuga a quella dei pensieri delle persone. La Fiera del Libro di Francoforte ha annullato la cerimonia di premiazione della scrittrice palestinese Adania Shibli, con la motivazione della «guerra in Israele» ma contemporaneamente la stessa Fiera ha ampliato lo spazio degli autori israeliani. Tutto questo era prevedibile ed è stato previsto da me e per fortuna da molti altri: la reazione tirannica e irrazionale sulla questione vaccini ha dato il via a un piano inclinato che è continuato con la guerra Nato-Russia e ora con l’ostracismo verso gli intellettuali palestinesi. L’Europa è tornata a tempi assai bui, i tempi della censura, dell’inquisizione, dell’intolleranza.

Costantino, l’intollerante

Costantino 313 d.C.
Palazzo Reale – Milano
A cura di Gemma Sena Chiesa e Paolo Biscottini
Sino al 24 marzo 2013

La Milano tardo antica era una magnifica città, capitale dell’Impero romano d’Occidente dal 286 al 402. Le tracce ancora visibili di questa fase della sua storia non sono molte ma quelle che rimangono sono imponenti e si riferiscono soprattutto al IV secolo, al periodo in cui il culto cristiano venne prima autorizzato -nel 313 appunto, con l’Editto emanato a Milano da Costantino- e poi reso esclusivo.
Costantino e sua madre Elena ebbero l’abilità e l’accortezza di comprendere quanto sarebbe stato assai  più utile associare i cristiani al potere imperiale invece che insistere affinché riconoscessero la divinità dell’imperatore. Da allora fu un crescendo di accordi politici, militari, culturali, sino alla pratica di una violenta intolleranza non soltanto contro i pagani ma anche contro le correnti teologiche cristiane diverse da quella sostenuta dall’imperatore. Il Credo che i papisti recitano la domenica -profondo e potente testo teologico e letterario- fu sollecitato e approvato nel 325 da Costantino, imperatore che perseguitò con le armi e i tribunali quanti non condivisero quell’atto di fede, arrivando a comminare la pena di morte a coloro che, ad esempio, avessero semplicemente letto i libri di Ario.
Poi i suoi successori privarono dei diritti e perseguitarono quanti non erano disposti a farsi cristiani. Nel 356 Costanzo II fa chiudere i templi pagani e ne sequestra i beni. Nel 380 Teodosio dichiara il cristianesimo religione di Stato e nel 391, infine, proibisce ogni culto pagano. Il sottotitolo della mostra –L’Editto di Milano e il tempo della tolleranza– risulta dunque decisamente sviante e ideologico. Significativo è che nei recenti scavi di Piazza Meda a Milano si siano trovati oggetti «che testimoniano la convivenza di temi cristiani e pagani» ma tra le strutture murarie della Chiesa Rossa (sempre a Milano) emerge una testa dell’imperatore Tiberio quasi del tutto seppellita e utilizzata soltanto come materiale dell’edificio cristiano.
Nei primi secoli della loro era i cristiani non adottarono il simbolo della croce -assolutamente infamante- ma il Krismon, formato da due lettere dell’alfabeto greco tra di loro incrociate e indicanti il nome di Cristo, accompagnate dall’alfa e dall’omega. Il risultato grafico è più vicino al simbolo pagano del Sol invictus, così come la scelta del 25 dicembre per ricordare la nascita del dio dei cristiani, data nella quale i romani celebravano il Sole che rinasceva.
Soltanto in un pannello della mostra si ammette che «serie limitazioni al paganesimo» furono introdotte alla fine del IV secolo «quando venne stabilita per legge la sua impraticabilità». Un linguaggio piuttosto eufemistico mentre per i cristiani prima del 313 si utilizzano di continuo termini come “persecuzione”, “martirio”, “ferocia”. Altre notizie storiche su quanto i cristiani attuarono contro i pagani si possono trovare in un articolo di Elio Rindone, il quale scrive che «la manipolazione della storia non implica la necessità di dire il falso, perché basta evidenziare un dato e tacerne un altro». La menzogna dei vincitori, come si vede, può durare millenni. E proseguire.

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