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Contro l’umanismo

Il numero 2/2018 (uscito nel 2019) del «Giornale Critico di Storia delle Idee» si occupa Dell’uomo e dei diritti / On Human and Rights (a cura di Gianpaolo Cherchi e Antonio Moretti, Mimesis Edizioni, pp. 312). Vi è stato pubblicato anche un mio saggio dal titolo Oltre l’umanismo, oltre l’umanitarismo, nel quale ho cercato di mostrare alcune delle ragioni per le quali l’umanitarismo è un ostacolo all’emancipazione. 

Pdf del testo (pagine 59-69)

Abstract
At the beginning of the 21st century the transhuman unfolded both as anthropocentric hyperhumanism and as anthropodecentric posthumanism. In any case, the human is and remains a zoon immersed in the Wille zum Leben and hybridized with the φύσις, with the τέχνη, with the θείος. Also for this reason every reduction of individual and collective life to the domination of the humanistic dimension risks to create a device not of emancipation but of offense to the human and to nature. Therefore we must go beyond the humanistic perspective and beyond its humanitarian declination.

Indice
1 Ibridazione e oltreumano
2 Corpi sociali e Intelligenze Artificiali
3 Parola, potere, web
4 Oltre l’umanismo, oltre l’umanitarismo

Alcuni brani

L’innato bisogno di comunicare che caratterizza la nostra specie diventa così una preziosa e insieme abbondante materia prima. Siamo diventati non più lavoratori consapevoli della nostra identità e del conflitto sociale ma parte essenziale e primaria del prodotto generale che si vende e che si acquista. La merce principale sono i nostri stessi comportamenti sul web, a partire dai più piccoli spostamenti del mouse sino alla comunicazione dei dati privati necessari per ottenere servizi e -di più- per entrare a far parte della Rete collettiva. Sul web la nostra identità coincide con le nostre azioni ed è per questo che «se non si vede il prezzo, se è gratis, la merce sei tu. Tu, interamente, sei materia prima: tutto ciò che compone la tua identità, la tua soggettività. Non solo il tuo tempo d’attenzione, non solo un po’ dello spazio nel tuo cervello: tu, corpo e anima, anima-carne, desideri e pulsioni, sogni e relazioni, carattere in evoluzione» (Ippolita, Tecnologie del dominio. Lessico minimo di autodifesa digitale, Meltemi, 2017). Siamo il prodotto e siamo anche la moneta che serve a farlo circolare. Siamo il gioco e l’energia del fiume di parole, informazioni, richieste, scambi, immagini, suoni, in cui consiste la Rete. 

Il culto per l’individuo senza legami, per i suoi diritti universali – uguali dappertutto – e per il mercato del quale è parte attiva, passiva e intrinseca è il fondamento dell’anarco-capitalismo che fa da base alle attività delle maggiori Corporations del Web. Il libertarianesimo costituisce la forma estrema del liberalismo, quella nella quale l’individuo si illude di essere signore di se stesso ed è invece continuamente sotto il controllo di un panottico digitale la cui necessità facebook e il suo fondatore teorizzano esplicitamente, ritenendo la privacy un bisogno superato ed equivoco, da sostituire con forme di trasparenza del corpo sociale così radicali da non poter essere definite in altro modo che come trasparenza totalitaria.

Stadio contemporaneo della guerra di tutti contro tutti, l’economia digitale è una delle forme dominanti del capitalismo globalizzato che ha distrutto anche il progetto europeo, facendolo diventare una struttura soltanto mercantile e ‘umanitaria’, umanitaria in quanto mercantile. Un umanitarismo liberista dei diritti umani che ha dimenticato l’umanitarismo comunista di Karl Marx, per il quale uno degli strumenti decisivi dello sfruttamento dei lavoratori è l’«esercito industriale di riserva disponibile [eine disponible industrielle Reservearmee] che appartiene al capitale in maniera così assoluta come se quest’ultimo l’avesse allevato a sue proprie spese. Esso crea per i propri mutevoli bisogni di valorizzazione il materiale umano sfruttabile sempre pronto [exploitable Menschenmaterial], indipendentemente dai limiti del reale aumento della popolazione» (Das Kapital, libro I, sezione VII, cap. 23).

Negli anni Dieci del XXI secolo l’esercito industriale di riserva si origina dalle migrazioni tragiche e irrefrenabili di masse che per lo più fuggono dalle guerre che lo stesso Capitale -attraverso i governi degli USA e dell’Unione Europea- scatena in Africa e nel Vicino Oriente. Una delle ragioni di queste guerre – oltre che, naturalmente, i profitti dell’industria bellica e delle banche a essa collegate – è probabilmente la creazione di una riserva di manodopera disperata, la cui presenza ha l’inevitabile (e marxiano) effetto di abbassare drasticamente i salari, di squalificare la forza lavoro, di distruggere la solidarietà operaia. È anche così che si spiega il sostegno di ciò che rimane della classe operaia europea a partiti e formazioni contrarie alla politica delle porte aperte a tutti. Non si spiega certo con criteri moralistici o soltanto politici. La struttura dei fatti sociali è, ancora una volta, economica. Tutto questo si chiama anche globalizzazione. Il dispositivo concettuale marxiano dell’esercito industriale di riserva ha ancora molto da insegnare agli umanisti liberali di sinistra che si fanno complici del Capitale senza neppure rendersene conto. Il sostegno alla globalizzazione o il rifiuto delle sue dinamiche è oggi ciò che davvero distingue le teorie e le pratiche politiche, non certo le obsolete categorie di destra e sinistra.

«Sappiamo di essere vivi e sappiamo che moriremo. Sappiamo anche che soffriremo durante la vita, prima della sofferenza -lenta o veloce- che ci condurrà alla morte» (T. Ligotti, La cospirazione contro la razza umana, Il Saggiatore, 2016). Anche per questo l’umano non può pretendere nessun particolare e diverso valore dentro la φύσις. Non lo può pretendere non solo e non tanto per il destino di morte che ci accomuna a ogni altra cosa viva; non lo può soprattutto per la miopia con la quale gli umani credono di determinare con la propria volontà il loro destino. E invece le più disincantate – alla lettera ‘disumane’ – forme del sapere mostrano che siamo enti mossi da forze potenti e invincibili, al modo dei guerrieri che combattevano sotto le mura di Ilio.

Sul digitale

Giovedì 24.10.2019 alle 14,45 parteciperò a una sessione del VI Colloquio di ricerca del mio Dipartimento: Saperi umanistici: cinque temi per il futuro (Catania, 24-25 ottobre 2019).
La sessione dal titolo Etica e mondo digitale sarà condotta da Benedetta Giovanola, docente di Filosofia morale all’Università di Macerata, la quale ci parlerà di Etica del digitale: dalla tecnica all’intelligenza artificiale.
Il mio auspicio è condurre un confronto sulla relazione tra IA e temporalità, in particolare a proposito della infantilizzazione del corpo sociale indotta dalla dimensione ludica della Rete. Per comprendere simili questioni ritengo insufficiente un approccio soltanto etico e necessaria invece una prospettiva ontologica per la quale la macchina costituisce anche un dispositivo metabolico che assume e trasforma ogni datità tecnica in un processo guidato da intenzioni.

Cyborgsofia

La rivista Zero Zero News mi ha chiesto un’intervista sul concetto di Cyborgsofia; la conversazione è stata pubblicata il 17 settembre 2018.

«L’umano è una struttura da sempre ibridata con altre dimensioni dell’essere. L’antroposfera esiste e opera dentro la zoosfera (la relazione con gli altri animali), la tecnosfera (la relazione con le nostre macchine e dispositivi), la teosfera (la relazione con la dimensione del sacro). La filosofia del computer, o cyborgsofia, è un tentativo di pensare a fondo tali relazioni».

 

Macchine

L’umano e le macchine. Una differenza che ci appartiene
in «Libertaria 2018 – Voci e dinamiche dell’altro»
Mimesis, 2018
Pagine 140-157

Una prospettiva libertaria è sempre radicata nella consapevolezza del limite umano. Nessuna macchina può far crescere davvero la nostra libertà poiché essere liberi è una condizione politica e non tecnologica. Nessun software può aumentare la nostra autonomia poiché essere autonomi è una condizione prima di tutto esistenziale e solo successivamente pragmatica. Macchine e programmi rappresentano un’alterità e una differenza che ci appartiene e che in quanto tale non va respinta -si tratterebbe di una ennesima e sterile forma di luddismo- ma non va neppure accolta come strumento di liberazione individuale e collettiva. Va invece pensata nella sua complessità, nelle sue potenzialità e nei suoi pericoli, entrambi molto grandi. Proprio perché non hanno padroni nelle aziende, nelle università, nei centri di ricerca, gli anarchici sono forse gli unici a poter fare propria questa alterità senza farsene dominare.
In questo saggio ho tentato di riprendere e sintetizzare analisi e prospettive svolte nei due libri che ho dedicato alla questione delle menti naturali/artificiali, aggiornando i riferimenti  e traendone delle ipotesi politiche.

 

Intelligenza

Filosofia, Intelligenza Artificiale e apprendimento 
in Punti Critici, 9 – marzo 2004
Pagine 57-83

L’editrice Petite Plaisance ha completato la riedizione integrale della rivista Punti Critici.
Nel numero 9 del marzo 2004 uscì un mio saggio dedicato alla questione dell’Intelligenza Artificiale da una prospettiva antropologica e pedagogica, oltre che mentalistica. In esso mi chiedevo: «Se il pensare è una caratteristica specifica della nostra specie, può il pensiero nascere e operare fuori da un legame strettissimo con il corpo? I ‘qualia -le sensazioni che si provano a essere un determinato ente e non un altro -, le esperienze fenomeniche, individuali, qualitative possono essere separate dal legame con l’organico, coi sensi, con il biologico?».
In questo testo, e poi in altri che sono seguiti, ho cercato di rispondere a partire anche da una embodied cognitive science, che «alla interpretazione puramente simbolico-sintattica della mente sostituisce la prospettiva per la quale mente, cervello e mondo sono parti di un’unica struttura».

I precedenti saggi pubblicati su Punti Critici si possono leggere qui:

Educazione e antropologia
in Punti Critici, 2 – settembre-dicembre 1999
Pagine 27-46

Sulla «Grande Riforma» della scuola italiana
in Punti Critici, 5/6 – dicembre 2001
Pagine 163-176

Per una filosofia dell’informazione
in Punti Critici, 8 – ottobre 2003
Pagine 141-146

«Un bambino ci è nato»

Blade Runner 2049
di Denis Villeneuve
USA, 2017
Con: Ryan Gosling (Agente K), Ana de Armas (Jol), Sylvia Hoeks (Luv), Harrison Ford (Rick Deckard), Robin Wright (Madame), Mackenzie Davis (la donna della memoria), Dave Bautista (Sapper), Edward James Olmos (Gaff)
Trailer del film

Si apre con la pupilla. Quella attraverso la quale in Blade Runner si scopriva se un’entità fosse umana oppure replicante. Si entra dentro l’occhio di un mondo tornato alle sue origini magmatiche, al suo caos. Stabilire l’ordine in questo mondo vuol dire erigere muri. Muri alti e spessi tra la specie generata dallo sperma e la specie prodotta dai circuiti elettrici. Ma nel tempo ogni muro è destinato a sbriciolarsi, a trasformarsi in mattoni posati nello spazio, silenziosi e antichi sino a che qualcosa di vivo non impianti quei mattoni dentro i ricordi sia dei corpi biologici sia dei corpi macchinici, tutti viventi dentro landscapes di rottami che si stendono per chilometri, che diventano città del male, del bisogno, della fine. Perché chi produce la memoria dei corpi è padrone del tempo ed è quindi signore delle menti, è un dio, anche se sembra una creatura come le altre, forse più sensibile, più pacata, più chiusa dentro la sfera della propria essenza.
Il software e le ferraglie, la lieve inconsistenza dei bit e il pesante rumore dell’acciaio, hanno entrambi bisogno di un βίος pulsante del limite e fatto di tempo -di date incise dentro gli alberi- per rivelare la propria natura profonda, per unirsi nell’amore, per sorridere, per piangere.
Dalle lacrime nella pioggia del replicante Roy al distendersi del suo successore nella neve, la purezza dell’acqua e degli elementi riscatta le macchine dal loro anonimato -‘K’ è un nome dagli echi kafkiani- e le consegna all’enigma più inquietante, fondativo e profondo, l’enigma della nascita. Esso sta al centro e al cuore di Blade Runner 2049, la cui densità filosofica mantiene il film su un livello splendente e rarefatto, che ha un solo momento di caduta -nel patetico e banale presentarsi di una sorta di Movimento di liberazione dei replicanti- e che conferma il talento di Villeneuve nel dare figura ai pensieri, alle inquietudini, al futuro e ai sogni.
Il vecchio Deckard ricompare sempre contrariato, frenetico e calmo. Alle domande di K ricorda ciò che fu, guarda lo spazio vuoto abitato da un cane, da rovine e dalle api, e dice «a volte se ami qualcuno gli devi diventare estraneo». Una piccola verità, un piccolo dolore, dentro la grande verità, dentro il grande dolore d’esser venuti al mondo. «Un bambino ci è nato, ci è stato dato un figlio» (Isaia, 9,5).

Artificial Very Awful

Ex_Machina
di Alex Garland
USA-Gran Betagna, 2014
Con: Domhnall Gleeson (Caleb), Oscar Isaac (Nathan), Alicia Vikander (Ava), Sonoya Mizuno (Kyoko)
Trailer del film

Chissà perché. Chissà perché gli umani trovano così eccitante immaginare, costruire, creare delle Intelligenze Artificiali forti, delle entità non biologiche ma indistinguibili da noi. Mi sono dedicato per alcuni anni a tale argomento e mi sembra che -tristemente banalmente prevedibilmente- in tutto questo ci sia molto antropocentrismo, la convinzione che essere intelligenti significhi pensare e affrontare il mondo nelle forme in cui lo pensano e lo vivono i membri della specie Homo sapiens. L’obiettivo è  immaginare, costruire, creare un figlio che ci somigli traendolo non dall’ovulo e dallo sperma ma dalla nostra intelligenza e dalle mani. Un figlio che ci compiaccia, ci serva, ci voglia bene. Un riflesso autoelogiativo dell’umano. Miserie.
Molta conoscenza, fantasia e ingegno sono stati e continuano a essere adoperati e profusi in vista di questo progetto, sogno, aspirazione.
Come quella di Nathan, ricco proprietario del più potente motore di ricerca esistente. Vive in una casa/laboratorio ipertecnologica in mezzo ai boschi. Immagina, costruisce, programma Intelligenze Artificiali in fattezze umane, femminili esattamente. Fa credere a Caleb, un dipendente/programmatore, di avergli regalato una settimana da trascorrere in sua compagnia e gli fa conoscere AVA, androide intelligentissima, delicata, tenera, determinata, creativa, affascinante. Caleb e Ava interagiscono, si piacciono, parlano del Test di Turing e dell’esperimento mentale della neuroscienziata Mary (elaborato da Frank Jackson).
Caleb e Ava si confidano, si attraggono, prendono insieme delle decisioni. Almeno sino a quando Ava mostra di essere davvero molto intelligente.
Questa Intelligenza Artificiale, questo androide indifeso e formidabile, è indistinguibile da un’autentica femmina. Il problema, come sempre, non è la donna. Il problema è l’uomo che le crede.

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