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Aspromonte

Aspromonte. La terra degli ultimi
di Mimmo Calopresti
Italia, 2019
Con: Marcello Fonte (Ciccio, il poeta), Francesco Colella (Peppe), Marco Leonardi (Cosimo), Valeria Bruni Tedeschi (Giulia, la maestra), Sergio Rubini (Don Totò)
Trailer del film

Nel 1951 il paese di Africo, in provincia di Reggio Calabria, era completamente isolato dalla pur non lontana Marina. Non aveva strade, non aveva medico, non aveva energia elettrica, non aveva acquedotto, non aveva scuole né maestre stabili. La miseria era analoga a quella descritta da antropologi e letterati per altri luoghi dell’Italia meridionale. Il film racconta l’arrivo di una nuova maestra che proviene dalla Lombardia, la richiesta alle autorità di governo di avere un medico, il tentativo da parte degli abitanti di costruire almeno una strada rurale che eviti di attraversare boschi e burroni per arrivare in pianura. Ma le autorità ingannano, un delinquente locale ricatta e comanda, la maestra fa quel che può. Sino a quando, e quasi contemporaneamente a un’alluvione che danneggia gravemente le misere abitazioni, i contadini e i pastori abbandonano il luogo e danno inizio quella vera e propria deportazione più o meno volontaria che ha impoverito l’Aspromonte e dato linfa alla ‘Ndrangheta calabrese.
Mimmo Calopresti è regista attento alle questioni sociali e qui si sente il forte legame con la propria terra, con una memoria familiare che l’abbandono ha trasformato in nostalgia e alienazione. ‘Alienazione’ proprio nel sento letterale di questa parola, una rinuncia a sé, alla propria identità storica, all’essere l’umano anche il luogo in cui è nato ed è cresciuto, il Dasein, l’esserci, come In-der-Welt-sein, l’essere nel mondo, che è anche e prima di tutto il proprio mondo d’origine. Un altro dispositivo heideggeriano aiuta a comprendere l’alienazione di chi è costretto a lasciare la propria terra a causa di una miseria irredimibile perché le autorità la rendono irredimibile: questo dispositivo è la Heimat, la dimora, la terra che ben si conosce, il luogo, un terreno, una casa, nel quale abitare con fiducia perché è parte di noi e noi siamo una sua espressione viva.
Gli umani non sono soltanto i citoyens che prospettive antropologiche e filosofiche astratte separano dall’essere noi tutti anche gli abitatori di un luogo determinato, di uno spazio di memoria non soltanto personale ma nel quale sono germinati i nostri genitori, i nostri avi, la nostra vicenda filogenetica e familiare. Uno degli elementi più distruttivi della globalizzazione/imperialismo è la riduzione degli umani a ‘cittadini del mondo’, a individui, clienti, risorse economiche e non, come invece siamo, a entità fatte di uno spaziotempo ben preciso e determinato. Tale riduzione comporta la dissoluzione della identità/differenza che ciascuno di noi è, sostituita da una melassa indifferenziata fatta di condizionamento mediatico, fatta di conformismo, fatta di nulla.
L’abbandono dell’Aspromonte ha comportato anche l’incremento della criminalità. L’abbandono della Heimat sta comportando l’essere e il fare tutti la stessa cosa, nutrire i medesimi pensieri. È questo il pasto di cui si nutre ogni dispotismo.

Per l’Europa

Europa vs Occidente
Aldous, 30 giugno 2023
Pagine 1-2

L’Europa, nostra madre, è ormai da tempo attaccata su tutti i fronti. Il suo padrone, infatti, mano a mano che va perdendo l’egemonia mondiale teme la concorrenza economica, militare, culturale di potenze come la Russia, l’India, la Cina. E opera per sfruttare in tutti i modi la colonia europea anche a costo di distruggerne le risorse e la cultura. Credo anzi che questo sia esattamente uno degli obiettivi della politica statunitense.
Quanto sta accadendo in Ucraina – una terra e un popolo mandati al macello nella guerra contro la Russia preparata, voluta, finanziata e sostenuta dagli USA e dall’Unione Europea loro serva – rappresenta un’inquietante prospettiva per l’intero Continente, la cui cultura ed economia vengono erose dall’interno dalla dinamica della globalizzazione, un’ideologia occidentalista e non europea che i media in mano ai capitalisti contemporanei e alle loro società multinazionali non si limitano a esaltare, a difendere, a diffondere ma della quale semplicemente sono intrisi in ogni notizia che danno, in ogni riga che pubblicano, in ogni pensiero che i loro giornalisti concepiscono e che si trasmette per forza di gravità ai loro pigri e abitudinari lettori.
In questo testo per Aldous ho cercato (assai brevemente) di indicare alcune radici storiche della globalizzazione e ho auspicato che il nuovo pluriversum, che va nascendo anche dalla tragedia della guerra combattuta dagli USA e dalla Nato in Ucraina contro la Russia, determini ciò che con Carl Schmitt possiamo definire un nuovo Nomos della Terra, capace di ridare spazio alla feconda molteplicità dell’Europa rispetto alla distruttiva uniformità dell’Occidente.

Con la Russia, per l’Europa

Che cosa autorizza un Paese come gli Stati Uniti d’America a intromettersi nelle decisioni, nella vita, nelle libertà di altri Paesi? In nome di che che cosa gli USA sono giudici dei destini di ciò che avviene nel continente asiatico, in America Latina, in Europa, ovunque? Da dove proviene questo privilegio assoluto di decidere per tutti che cosa sia il bene e che cosa il male? Che cosa legittima la pretesa che gli altri popoli, stati, nazioni debbano obbedire ai giudizi, alle decisioni, alle azioni degli Stati Uniti?
Non vedo porre tali domande, che pure sono essenziali di fronte a un’ingerenza sempre più pervasiva, totale, assai rischiosa, da parte dello stato nordamericano in tutti gli eventi del pianeta.
Ai difensori dell’imperialismo statunitense (così si chiama tecnicamente nella scienza della politica) pongo tali domande, che non sono retoriche. Vorrei proprio saperlo, infatti. Perché e da dove nasce il privilegio assoluto degli USA di decidere sulla Siria, sull’Iran, sui rapporti tra la Cina e la Russia, sui governi italiani, sulla politica monetaria cilena, solo per fare qualche esempio di una presenza totale? Da dove proviene? Che cosa lo motiva? Su quali elementi normativi o etici del Diritto internazionale si fonda?
Sin quando queste e analoghe domande non riceveranno risposte razionali e plausibili, l’ingerenza planetaria degli Stati Uniti d’America sarà una forma della volontà di potenza, la più pericolosa mai attuata nella storia della nostra specie.
Nulla di nuovo naturalmente, anche se nuove sono le potenzialità distruttive che una simile politica comporta, ma allora bisognerebbe dirlo in modo esplicito, senza infingimenti: nelle guerre che gli USA iniziano ovunque o alle quali partecipano domina la legge del più forte, vigono principi di natura geopolitica, sono in gioco le ambizioni di dominio economico e strategico della potenza più armata del pianeta. Di questo si tratta. E non di ‘valori’, ‘democrazia’, ‘libertà’. Ripulire il campo dall’ipocrisia moralistica e semantica sarebbe già un passo avanti.

È soltanto in questo quadro che si può comprendere la questione Ucraina.
Oskar Lafontaine, ex ministro delle Finanze tedesco ed ex presidente del partito socialdemocratico (SPD) ha dichiarato apertamente che «la guerra in Ucraina non è una guerra della Russia contro l’Ucraina o viceversa, ma una guerra degli Stati Uniti contro la Russia» (Contropiano. Giornale comunista on line, 16.2.2012). È infatti una guerra anche vigliacca quella combattuta dagli Stati Uniti d’America per procura contro la Russia in Ucraina, «senza rischiare la vita di un solo soldato sul terreno, limitandosi a fornire strumenti di morte e informazioni spionistiche per rendere l’impatto più efficace» (Marco Tarchi, Diorama Letterario 371, p. 1).
Una guerra che invera e prosegue la svolta rovinosa che a partire dalle Paci di Versailles del 1918-1919 ha trasformato la guerra in una questione assoluta, nella quale il nemico non è più un semplice nemico ma è diventato un subumano che non merita alcun rispetto. Una disumanizzazione, anche rispetto al mondo antico, che ha la sua plastica testimonianza nella richiesta del presidente ucraino di vietare a tutti gli atleti russi di partecipare alle Olimpiadi di Parigi del 2024, quando invece per i Greci le Olimpiadi erano ragione di tregua nei conflitti in corso.
La marionetta che governa Kiev (e che si crede un burattinaio) oltrepassa ogni misura, razionalità, responsabilità, chiedendo «armi, più armi» alla NATO. Tanto che i Paesi che compongono l’alleanza militare si stanno dissanguando per finanziare la guerra, togliendo pane, sanità, scuola, lavoro, ai propri cittadini allo scopo di armare all’inverosimile la dittatura ucraina.
E che si tratti di una dittatura è confermato dal Partito Unico al potere, dalla persecuzione dei russofoni e della Chiesa ortodossa non nazionalista, dalle ‘punizioni’ erogate in pubblico e senza alcun processo per chiunque sia giudicato ribelle dalla polizia, dal tentativo di sterminio degli abitanti delle regioni autonome, dal dominio totale sui media ucraini. Anche Amnesty International conferma che l’esercito dell’Ucraina ha come obiettivo la morte e il danno dei cittadini ucraini. L’Ucraina è in realtà uno dei Paesi più corrotti d’Europa e fiumi di denaro dei cittadini e contribuenti italiani ed europei vanno a ingrossare i conti correnti di politici e oligarchi ucraini.

L’eterogenesi dei fini è una delle forme più ironiche e più amare delle vicende umane. In questo caso, essa fa sì che i “democratici” italiani ed europei sostengano anche i movimenti neonazisti al potere in Ucraina. E lo fanno mettendo a rischio i propri concittadini in nome degli interessi e della propaganda degli Stati Uniti d’America. Di fronte alla rovina dell’Italia e dell’Europa, a vantaggio degli USA e per difendere il governo fantoccio dell’Ucraina, ci sarebbero le condizioni per processare i governi in quanto colpevoli di «alto tradimento» degli interessi e della sicurezza dei cittadini.
La miseria economica, il disagio sociale, la crisi della sanità, dei servizi, della formazione sempre più diffuse in Italia e in Europa per difendere e finanziare i Quisling dell’Ucraina costituiscono una prova assai chiara della inadeguatezza, della corruzione, della menzogna che guidano le classi dirigenti del Continente, compreso il governo Meloni. Perché, ad esempio, non ci sono soldi per il bonus edilizio, per l’assunzione di medici negli ospedali, per la ricerca universitaria, per gli edifici scolastici, e invece ci sono (molti) danari per inviare armi e ogni altro strumento di guerra all’Ucraina?
Gli inventori di una Ucraina «democratica» – si tratta in realtà di uno degli stati europei più autoritari e corrotti, con radici e simpatie nazionalsocialiste – si affannano a riempirla di armi e di denaro con il rischio di portare a distruzione l’Europa. Se l’aggressore operativo è la Russia, il vero aggressore strategico è la NATO, che venendo meno agli accordi di Minsk ha ampliato il proprio controllo sull’Europa sino ai confini della Russia. È come se quest’ultima ponesse le sue basi nucleari in Canada o nel Messico. Inaccettabile.

[L’espansione della NATO dal 1998 al 2022]

Gli Stati Uniti vogliono controllare ogni azione politica che accade nel mondo, non accettano neppure come ipotesi un pluriversalismo che limiti il globalismo unipolare che tendono a imporre all’intera umanità. Una prova linguistica e semantica di tale pretesa è l’affermazione che «la comunità internazionale» stia condannando e sanzionando la Russia. In realtà, i Paesi che si sono rifiutati di sanzionare la Russia rappresentano invece l’82% della popolazione mondiale.

E tutto questo per difendere «la libertà», la «democrazia»? No, tutto questo serve a organizzare, imporre e difendere un principio e un germe totalitario che consiste nella Gleichschaltung, nell’allineamento a una sola prospettiva, nella «soppressione dei modi di pensare dissidenti, l’eradicazione di ogni pensiero non coincidente con l’ideologia dominante» (Alain de Benoist, DL 371, p. 13).
Il totalitarismo non consiste  infatti soltanto e principalmente nei mezzi che si usano ma sta nello scopo per il quale si usano. Gli strumenti possono essere assai più leggeri rispetto a quelli utilizzati dai regimi totalitari del Novecento, «mezzi meno brutali, addirittura fatti per piacere e sedurre, che vanno di pari passo con l’adozione e un apparato di sorveglianza di un’ampiezza (e di un’efficacia) mai vista. Questo si chiama pensiero unico, e ogni progetto che punta ad imporre un pensiero unico è totalitario» (Ibidem).
Gli Stati Uniti d’America costituiscono una nazione nata dal peggio dell’Europa, prosperata con il genocidio e le guerre in tutto il pianeta. Una nazione distrutta dall’illusione multiculturalista e spenta dal Politically correct. Gli USA sono una democrazia apparente, sono una società iniqua e feroce.
La corsa a essere e a mostrarsi servi degli USA e della NATO, contro gli interessi dell’Europa e dell’Italia, è una delle massime espressioni della tragedia che l’Europa vive in questo nostro tempo. I decisori politici europei sono dei veri e propri traditori al servizio di una potenza straniera e nemica, che sta muovendo guerra all’Europa.
La Russia è stata sempre amica dell’Italia. L’ingratitudine spinta sino a fornire armi ai suoi nemici è una responsabilità inaudita del governo Draghi prima e di quello Meloni dopo. Tutto questo si spiega anche con l’idolatria televisiva, con la rinuncia al pensiero, con la Società dello Spettacolo. Una società stordita, inebetita, che scatta come un burattino alle parole d’ordine e alle menzogne dei media, primo dei quali la televisione. Nonostante tale controllo mediatico, il rifiuto della guerra è netto da parte della maggioranza dei popoli e dei cittadini europei. E questo ricorda il 1914. Governi e ceti dirigenti sono oggi come allora accecati da calcoli e fanatismi che portarono alla catastrofe l’Europa.
L’immagine sopra e quella qui sotto spiegano più di tante parole che cosa sia accaduto negli ultimi decenni., una proliferazione di basi statunitensi ovunque (800 sparse in tutto il mondo), che mette a rischio l’esistenza e l’autonomia della Russia e della Cina. Pensare che questo possa accadere senza che Russia e Cina si difendano è stoltezza politica.

[Le basi statunitensi in Asia e Oceania]

Gli Stati Uniti d’America e i loro alleati non hanno il diritto di parlare di pace, semplicemente.  Non ne hanno diritto perché la politica estera degli USA dal 1945 al presente è consistita in una serie ininterrotta di guerre. Ecco un elenco delle tante guerre che gli USA hanno scatenato, per non parlare dei colpi di stato contro Paesi sovrani, come il Cile del 1973:

 -Corea e Cina 1950-53 (Guerra in Corea)
– Guatemala (1954)
– Indonesia (1958)
– Cuba (1959-1961)
– Guatemala (1960)
– Congo (1964)
– Laos (1964-1973)
– Vietnam (1961-1973)
– Cambogia (1969-1970)
– Guatemala (1967-1969)
– Grenada (1983)
– Libano, Siria (1983, 1984)
– Libia (1986)
– El Salvador (1980)
– Nicaragua (1980)
– Iran (1987)
– Panama (1989)
– Iraq (1991) (Guerra del Golfo)
– Kuwait (1991)
– Somalia (1993)
– Bosnia (1994, 1995)
– Sudan (1998)
– Afghanistan (1998)
– Jugoslavia (1999)
– Yemen (2002)
– Iraq (1991-2003) (truppe Usa e UK insieme)
– Iraq (2003-2015)
– Afghanistan (2001-2015)
– Pakistan (2007-2015)
– Somalia (2007-2008, 2011)
– Yemen (2009, 2011)
– Libia (2011, 2015)
– Siria (2014-2015)

Per quanto riguarda l’Ucraina è ormai chiaro che il gasdotto che unisce la Germania alla Russia è stato distrutto da militari USA. Una gravissima azione di guerra attuata con modalità terroristiche.
E questo perché gli Stati Uniti d’America praticano la guerra contro l’Europa. Lo fanno da tanto tempo. Adesso l’hanno proprio dichiarata. La responsabilità maggiore è dell’Unione Europa, è dei ceti dirigenti europei di “destra” e di “sinistra” – compreso il governo italiano guidato da Giorgia Meloni – che non difendono i loro popoli da un nemico così implacabile, barbaro.
Tutto questo è espressione dell’Identità che tende a cancellare la Differenza. E invece l’essere, anche quello politico, è un gioco senza fine di Identità e Differenza, nel quale nessuno dei due poli cancella, può cancellare, l’altro. Pena la dissoluzione.

Covid e Stato etico

Venerdì 20 gennaio 2023 alle 15.30 nella sede di Belluno di Unidolomiti terrò una lezione dal titolo Epidemie, Diritti e Stato etico. L’evento si inserisce nel ciclo Dialoghi sul potere ideato e organizzato dal Prof. Lorenzo Maria Pacini.
Affronterò, in modo naturalmente sintetico, le seguenti questioni:

1 Che cos’è un’epidemia?
2 Che cos’è l’autorità?
3 Che cosa sono i diritti?
4 Il potere e la morte
5 Epidemie e vita
6 Epidemie e Stato etico
7 Una ginnastica d’obbedienza
8 Covid19 e disvelamento

Cercherò in questo modo di analizzare le ragioni e le radici della vessazione attuata dalle forze dell’ordine, dai social network, dalle televisioni, da uno Stato e da una società civile diventati etici, cioè convinti di essere la fonte non soltanto delle norme empiriche ma anche del bene e del male assoluti, da imporre a tutti i cittadini, i quali sono stati privati del diritto di difendere i propri corpi e di resistere a una visione del mondo e a un insieme di pratiche dalle chiare tendenze autoritarie e persecutorie.

Medicina e censura

Tra gli articoli scientifici più chiari e più fecondi che abbia letto di recente, consiglio un saggio appena pubblicato su Minerva. A Review of Science, Learning and Policy, rivista «devoted to the study of ideas, traditions, cultures, and institutions in science, higher education, and research. It is equally focused on historical as well as present practices and on local as well as global issues. Moreover, the journal does not represent one single school of thought, but rather welcomes diversity within the rules of rational discourse».

Questi i riferimenti:
Shir-Raz, Y., Elisha, E., Martin, B. et al.
Censorship and Suppression of Covid-19 Heterodoxy: Tactics and Counter-Tactics. Minerva (novembre 2022; https://doi.org/10.1007/s11024-022-09479-4).
E questo il link: Censorship and Suppression of Covid-19 Heterodoxy
Inserisco qui anche la versione pdf del saggio (con alcune mie sottolineature ed evidenziazioni).

Traduco parte dell’Abstract, che riporto per intero più sotto:
«L’emergere del COVID-19 ha generato numerose controversie. Allo scopo di neutralizzare ciò che è sembrata una minaccia da parte di medici e scienziati che criticano la posizione ufficiale delle autorità sanitarie governative e intergovernative, alcuni sostenitori dell’ortodossia hanno agito per censurare coloro che promuovono opinioni dissenzienti.
Lo scopo di questo studio è indagare le esperienze e le risposte di medici e ricercatori altamente qualificati di diversi Paesi che sono stati oggetto di repressione e/o di censura a causa delle loro pubblicazioni e dichiarazioni relative al COVID-19.
I risultati dell’indagine indicano il ruolo centrale svolto dai mezzi di informazione, in particolare dalle società che gestiscono l’informazione della Rete.
Nel tentativo di mettere a tacere le voci alternative, è stata ampiamente utilizzata la censura, alla quale si sono aggiunte modalità di repressione che hanno danneggiato la reputazione e la carriera di medici e scienziati dissenzienti. E questo indipendentemente dal loro status accademico o medico e indipendentemente dalla fama scientifica che avevano prima di esprimere una posizione contraria all’ortodossia.
Invece di una discussione aperta ed equanime, la censura e la repressione del dissenso scientifico hanno implicazioni dannose e di vasta portata per la medicina, per la scienza e per la salute pubblica»
.

«The emergence of COVID-19 has led to numerous controversies over COVID-related knowledge and policy. To counter the perceived threat from doctors and scientists who challenge the official position of governmental and intergovernmental health authorities, some supporters of this orthodoxy have moved to censor those who promote dissenting views. The aim of the present study is to explore the experiences and responses of highly accomplished doctors and research scientists from different countries who have been targets of suppression and/or censorship following their publications and statements in relation to COVID-19 that challenge official views. Our findings point to the central role played by media organizations, and especially by information technology companies, in attempting to stifle debate over COVID-19 policy and measures. In the effort to silence alternative voices, widespread use was made not only of censorship, but of tactics of suppression that damaged the reputations and careers of dissenting doctors and scientists, regardless of their academic or medical status and regardless of their stature prior to expressing a contrary position. In place of open and fair discussion, censorship and suppression of scientific dissent has deleterious and far-reaching implications for medicine, science, and public health».

La ricerca di Yaffa Shir-Raz, Ety Elisha, Brian Martin, Natti Ronel & Josh Guetzkow si colloca in ambito sia epistemologico sia politico, mostrando i legami tra tali campi, studiati con particolare profondità da filosofi come Kuhn e Feyerabend.
A tali riferimenti ‘alti’ aggiungo la più ordinaria ma significativa esperienza quotidiana degli ultimi tre anni. C’è infatti chi invoca, anche dai decisori politici, vecchie censure e «nuovi paradigmi» «allo scopo di adeguare i libri di testo per scuole e università alla lotta contro il patriarcato e la guerra». C’è chi cerca di mettere insieme «pacifismo» e «invio di armi a Kiev». E ha anche l’abitudine poco pacifista di insultare con vari epiteti chi non la pensa come lui.
Leggendo il testo di Minerva mi sono venuti in mente due ‘colleghƏ’ a* qual* qualche tempo fa ho sentito dire che «persino mie amiche laureate dicono di avere dubbi sulla quarta dose, che io farò subito, anche perché ho più di 60 anni», al che l’altro risponde «tanti non si fidano dell’autorità ma allora di chi possiamo fidarci?», infine la prima conferma: «non capisco perché le autorità dovrebbero danneggiare dei cittadini».
Rispetto a simili personaggi, io credo che sia più degna, più libera e naturale, persino più intelligente, l’esistenza di due miei vicini di casa e di quartiere a Catania: un pescatore analfabeta che chiama «nivuri» tutti gli immigrati e ‘u zu Cicciu Fimminaru’ (nome di fantasia), che si gode la vita come piccolo fuorilegge e seduttore. Tutti costoro guardano la televisione ma evidentemente nei meno acculturati il suo veleno sembra rimanere più in superficie.
In ogni caso, queste esperienze quotidiane sono forme nelle quali l’esistenza disvela se stessa, illuminando da un lato la natura e i limiti della conoscenza e dall’altro la potenza di stili naturali per nulla politicamente corretti. Al di là di tutte le censure c’è la vita e le sue passioni.

Vandali

Una guerra politicamente corretta
Aldous, 26 ottobre 2022

Le post-verità (o più semplicemente le bugie) del potere politico e mediatico contemporaneo si inscrivono dentro l’ampia palude del politicamente corretto, della cancel culture, della cosiddetta ideologia woke, la cui radice è l’odio per le differenze, il bisogno di una ortodossia morale ed esistenziale di fronte alla quale la stratificazione della storia, la pluralità dei linguaggi, la bellezza dell’arte e la forza del pensiero devono essere annichilite in nome del Bene supremo dell’uniformità.

«Il proprio tempo appreso nel pensiero»

È vero: «die Philosophie ihre Zeit in Gedanken erfaßt» (Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, prefazione), la filosofia (è) il proprio tempo appreso e colto nel pensiero, o almeno è anche questo. E dunque il breve e denso disegno che Davide Miccione traccia del nostro tempo è del tutto filosofico. Intelligenza del presente e chiarezza analitica descrivono infatti esattamente ciò che accade e la direzione che si sta cercando di imprimere alla vita collettiva, ovunque.
Il testo è uscito su Aldous il 10.9.2022, con il titolo Il nominabile attuale.

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Qualora fosse umanamente possibile, la campagna elettorale aumenta la confusione. Questioni gravi e questioni irrilevanti, problemi reali e capziosità, paure vere e chiamate alle armi di sessant’anni fa ritirate fuori oggi alla bisogna, si accavallano senza sosta. “L’innominabile attuale”, il presente incomprensibile entro cui seguiamo o persino pretendiamo di guidare gli altri (come nella bruegeliana parabola dei ciechi) si fa ancora più confuso, aumentano gli slogan e i distinguo, le false bandiere e i distrattori. Diventa allora necessario, accettando preventivamente il giudizio di superficialità e di indebita semplificazione che sempre ci si attira, provare a definire gli elementi essenziali del nostro (lungo e perdurante) presente politico. Posto in bell’ordine il catalogo è questo:

  1. I ricchi diventano e devono diventare sempre più ricchi.
  2. I ricchi devono “potere” sempre più, dunque sempre meno devono essere gli aspetti della vita sulla terra non riducibili nella sua interezza al valore e al potere del denaro (per farsi un’idea degli aspetti descrittivi si vedano i lavori di Michael Sandel).
  3. Lo Stato si può impoverire o indebolire se ciò è utile al punto 1 o può acquisire importanza se ciò è utile al punto 1. Si veda a tal proposito la demolizione del welfare in questi decenni e viceversa il potentissimo Stato ambulatoriale di questi tre anni.
  4. Le procedure democratiche devono diventare irrilevanti in modo da non disturbare lo sviluppo dei punti 1, 2 e 3.
  5. Le procedure democratiche possono essere momentaneamente enfatizzate se servono allo sviluppo dei punti 1, 2 e 3.
  6. Quasi tutti i prodotti ideologici o culturali passati (dai sumeri al Novecento), fatto salvo qualche sparuto aspetto della ragione liberale, si pongono, anche senza volerlo o saperlo, come forme di resistenza allo sviluppo dei punti 1 e 2 perlopiù per un loro implicito non mettersi pienamente a disposizione. Dunque vanno sottoposti a character assasination (Islam, comunismo ad esempio), o a indebolimento, svuotamento eccetera, con moto uniformemente accelerato.
  7. Il processo dei punti 1 e 2 viene chiamato capitalismo, mercatismo, finanzcapitalismo, turboliberismo eccetera sebbene a volte si incarni in grandi organismi internazionali (ovviamente non eletti) o Stati.
  8. Quando alcuni attori che perseguono il punto 1 e il punto 2 hanno necessità di agire attraverso i governi o vi si identificano momentaneamente ciò viene chiamato geopolitica.
  9. Il processo dei punti 1 e 2 è necessario venga visto come irreversibile da tutti e come l’unico pensabile e non sostituibile da altro (vedi il compianto Mark Fisher).
  10. Per mantenere inimmaginabile qualsiasi altro tipo di mondo non basato su 1 e 2 va eliminata la storicità come categoria di giudizio del reale e la conoscenza del passato. L’operazione (già a buon punto) viene portata avanti per omissione (indebolimento dell’insegnamento della storia e degli aspetti storici di ogni disciplina) e attivamente con la promozione di quell’aborto concettuale che è la cancel culture, concezione che dell’alterità fa un medesimo difettoso da emendare e da condannare in quanto non uguale a noi.
  11. Per mantenere inimmaginabile un altro tipo di mondo non basato su 1 e 2 va eliminata la filosofia o va sostituita con una filosofia settoriale e procedurale (ben si attaglia dunque la filosofica analitica) che non pensi di poter descrivere e valutare l’interezza del reale.
  12. Per mantenere inimmaginabile un altro tipo di mondo non basato su 1 e 2 va eliminata la Grande Letteratura e la sua capacità di violare la “moralina” che ogni presente pensa di incarnare pienamente.
  13. Il politicamente corretto, la cultura woke, creando una perenne preoccupazione per le offese arrecabili a individui, è un ottimo “spengipensiero” e devia l’attenzione di chi dovrebbe essere di sinistra (dunque contrario ai punti 1 e 2) verso questioni meramente linguistiche e di dettaglio. Essendo fondata sulla libera decisione dei soggetti di sentirsi offesa, la cultura woke può riprodursi ed espandersi all’infinito.
  14. Le forme attuali dell’arricchimento del punto 1 abbisognano di un uomo sempre più sbilanciato verso una pseudovita telematica e sempre meno in grado di vivere esperienze libere, corporee, amicali. Per questo la digitalizzazione è diventata sempre un bene, anche contro ogni evidenza sociologica.

Addendum: una grandissima parte delle parole e degli slogan che sentirete in questa campagna elettorale è solo una forma di subspeciazione artificialmente creata per simulare una differenza e una dialettica tra forze egualmente devote all’obbedienza dei primi due punti dell’elenco. A meno che il lettore non faccia parte dei ricchissimi o di coloro che ragionevolmente pensano di poterli parassitare per un tempo sufficientemente lungo (giornalisti, operatori finanziari, apparatčik di organismi internazionali, deputati) votare per partiti che non avversano lo sviluppo dei punti 1 e 2 (e degli altri 12 di supporto) potrebbe non essere la cosa più razionale da fare, né per sé né per il mondo.

[L’articolo è stato ripubblicato anche da Sinistrainrete]

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