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Sensazione / Ascesi

Domenica 9 giugno sono stato al cinema, a Catania. Come è ormai fastidiosa necessità, ho dovuto richiamare al silenzio un gruppo di persone: non degli adolescenti toppo vivaci ma alcuni maturi signori e signore tra i cinquanta e i sessanta anni. È la maleducazione, certo, ma è anche la consuetudine di vedere i film in televisione e di scambiarsi le opinioni sul film stesso o su altro. Il cinema vero, naturalmente, lo si gusta e percepisce soltanto nelle sale cinematografiche.
Ma non basta: davanti a me c’era un tizio che ha acceso almeno una dozzina di volte il suo cellulare per controllare qualcosa sulla propria pagina di facebook. Una vera addiction, una dipendenza grave, una droga che crea dei fenomeni di astinenza pari a quelli di qualunque altro stupefacente. Non è un caso che della sensazione sia parte la Sucht, parola che in tedesco indica insieme desiderio, passione, malattia, tossicodipendenza. Presente in quasi tutte le società umane, l’utilizzo delle droghe è diventato tossicodipendenza soltanto quando l’ebbrezza è stata separata dalla festa collettiva per diventare esperienza del singolo e quindi sua personale debolezza. Ma la sensazione è anche un’esperienza di ricchezza percettiva, intellettuale ed esistenziale; non è soltanto un sensazionale tanto più stordente quanto più psichedelico. La sensazione è lo stesso stare al mondo. Non è il televisivo oppio del popolo.
Ne abbiamo parlato quest’anno nel corso di Sociologia della cultura. E lo abbiamo fatto anche tramite un libro ricco e profondo come La società eccitata. Filosofia della sensazione di Christoph Türcke (Bollati Borighieri, 2012; ne ho accennato pure qui). Di fronte a fenomeni così pervasivi non si può secondo Türcke invitare all’astinenza ma piuttosto praticare un atteggiamento da “freno d’emergenza”, per citare il Benjamin (Sul concetto di storia, Einaudi 1977, p. 101) che alla rivoluzione come “locomotiva della storia universale” (Marx) contrapponeva le rivoluzioni come -appunto- freno d’emergenza del genere umano che sul treno della storia viaggia :

Sulle strade, nei centri commerciali, negli alberghi, nelle banche, nei luoghi di lavoro, ovunque uno, se vuole continuare a pensare con la propria testa, deve tentare di tirar su le paratie contro l’imperversare di imbonimenti e stimolazioni. […] Qualcosa di così poco importante come la decisione di tollerare o meno la musica di sfondo in un ristorante può diventare improvvisamente una questione di principio, una cartina di tornasole del coraggio civile. […] Il ricopiare testi e formule, che un tempo era il contrassegno del tutto comune della scuola repressiva, nelle condizioni dell’universale irrequietezza degli schermi, da cui anche le classi scolastiche sono sempre meno risparmiate, può diventare inaspettatamente una misura di concentrazione motoria, affettiva e mentale, di ingresso nella propria interiorità […] Insegnanti che prestano seriamente attenzione affinché non ci sia qui un sottodosaggio operano resistenza, per quanto in base alla terminologia politica tradizionale possano passare per conservatori. Dove ogni concessione al solleticamento mediatico dei sensi porta avanti l’autoespropriazione estetico-neurologica, là il tirare su delle paratie contro l’ininterrotta radiazione audiovisiva, equivale a prendere partito per la sensibilità dei sensi. Li mantiene aperti a un’esperienza conforme alle cose, diventa luogotenente del miglior godimento alternativo e porta nuovamente in luce il senso fondamentale dell’ascesi. […] Là dove essa diventa l’ultima ratio contro il vampirismo audiovisivo, si avvicina nuovamente al rimedio d’emergenza arcaico. (La società eccitata, pp. 331-332)

 

Staatsgewalt / Ausschuß

Un’altra clamorosa e gravissima conferma del miserabile stato dell’informazione -e quindi del potere- in Italia.

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Il monarca capriccioso
di Antonio Padellaro

Il vero problema di Giorgio Napolitano sono i giornali. Quelli (quasi tutti) che lo incensano da mane a sera, sempre pronti a mettere il violino automatico qualsiasi banalità scaturisca dalle auguste meningi, ma così abbagliati dal verbo del Colle da non vedere l’enormità di certe affermazioni dell’anziano presidente bis.
Lunedì 3 giugno infatti (quasi) tutta la stampa italiana ha scolpito sulle prime pagine la frase sul “governo a termine” pronunciata dal supremo monitore nei giardini del Quirinale.
Si trattava evidentemente di uno sconfinamento del tutto arbitrario del capo dello Stato dalle sue funzioni, ma (quasi) nessuno obiettò qualcosa, poiché – grazie ai giureconsulti di palazzo che tutto ingoiano in cambio di un gettone di presenza in qualche commissione – la Costituzione, come dice Camilleri, è bella che andata in vacca.
Tra le forze parlamentari ha reagito soltanto Grillo, chiedendo a che titolo Napolitano possa fissare un limite temporale al governo Letta, trattato come uno yogurt
, ma la cosa è stata liquidata come la solita mattana dell’ex comico.
Il Fatto, però, non è stato zitto e ha chiesto il parere autorevole di Barbara Spinelli che, alla domanda di Silvia Truzzi sulla data di scadenza del governo (“una cosa mai vista”), ha risposto che Napolitano ha “forzato” la Carta e che ormai “il presidenzialismo c’è già”.
A questo punto, tre giorni dopo i titoli dei quotidiani mai smentiti, si sveglia il Quirinale, dice che si continua ad “accreditare il ridicolo falso di un termine posto dal Presidente alla durata dell’attuale governo” e, udite udite, se la prende con la domanda della giornalista del Fatto, non avendo neppure il coraggio di contestare la risposta della Spinelli.
C’è poco da aggiungere. Che Napolitano si comporti come un monarca capriccioso non può sorprendere, visto che il governo delle larghe intese lo ha inventato lui miracolando Pd e Pdl che alle ultime elezioni hanno perso insieme dieci milioni di voti.
Idem per (quasi) tutta la stampa italiana che, a furia di sviolinate ai potenti, in cinque anni ha perso un milione di copie e svariati milioni di lettori e ora, col cappello in mano, elemosina nuovi contributi e incentivi.

il Fatto Quotidiano, 7 giugno 2013

P.S. Titolo di ieri sul sito del Corriere della Sera (che lunedì come gli altri aveva annunciato il governo a termine): “Il Quirinale smentisce il Fatto”. Più chiaro di così.
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Non ho molto da aggiungere alle parole di Padellaro, se non un caldo invito a leggere l’intervista a Barbara Spinelli e la constatazione che quanto entrambi dicono sulla presidenza della repubblica italiana e sul parlamento ridotto a un insieme di domestici del «Monarca capriccioso» conferma ancora una volta ciò che Marx ed Engels scrissero nel Manifesto del 1848 a proposito dello stato moderno: «Die moderne Staatsgewalt ist nur ein Ausschuß, der die gemeinschaftlichen Geschäfte der ganzen Bourgeoisklasse verwaltet». In Italia questo “comitato che amministra gli affari comuni dell’intera classe borghese” è diventato il comitato che gestisce gli affari delle innumerevoli e agguerrite bande di delinquenti che stanno derubando la ricchezza della nazione. Peccato che la presidente della Camera dei deputati -la quale immagino conosca quel testo- e altri “comunisti” non se lo ricordino quando si mostrano scandalizzati da parole come queste: «Il Parlamento, luogo centrale della nostra democrazia, è stato spossessato dal suo ruolo di voce dei cittadini. Emette sussurri, rantoli, gemiti come un corpo in agonia che sono raccolti da volenterosi giornalisti per il gossip quotidiano. […] A che serve questo Parlamento? A cosa servono le elezioni? Il Parlamento è incostituzionale in quanto il Porcellum è incostituzionale e ora pretende di cambiare la Costituzione su dettatura del pdl e del pdmenoelle? Follia. Il Parlamento potrebbe chiudere domani, nessuno se accorgerebbe. È un simulacro, un monumento ai caduti, la tomba maleodorante della Seconda Repubblica».

Ultima cosa: il livello anche etico della persona di Napolitano è mostrato dal fatto che non ha avuto -appunto- nemmeno il coraggio di attaccare Barbara Spinelli ma soltanto chi le poneva le domande. È stata Spinelli, infatti, ad affermare che «l’urgenza, in Italia, sono i partiti totalmente inaffidabili e moralmente devastati; e la politica rintanata in oligarchie chiuse, che nemmeno ascoltano il responso delle urne. […] Grillo ha perfettamente ragione: dove sta scritto che il presidente determina in anticipo, ignorando le Camere, la durata dei governi? […] Inoltre abbiamo un presidente della Repubblica-presidente del Consiglio che gode di privilegi extra-ordinari , che nessun premier può avere. Tanto più perniciosa diventa la storia delle telefonate tra Colle e Mancino sul processo Stato-mafia. Esiste dunque un potere che ha speciali prerogative e immunità, senza essere controllabile. La democrazia è governo e controllo. Perché Grillo dà fastidio? Perché è sul controllo che insiste».

L’Oppio

«I sovietici leggevano la Pravda, ma non le credevano. Gli italiani guardano la televisione e le credono». Sta qui una delle spiegazioni della condizione oppiacea dentro la quale noi italiani continuiamo a dormire mentre altrove -come in Grecia, in Spagna o in Turchia, dove sembra sia iniziata la «Rinascita mentale di un popolo consapevole di aver perso molti diritti che vuole riacquistare al più presto, a qualsiasi costo»- c’è almeno un tentativo di ribellione contro la dittatura liberista. In Italia no. Il coro universale che dalla destra e dalla sinistra politico-mediatiche investe ogni giorno e a tutte le ore la vista, l’udito, la mente dei cittadini italiani canta la responsabilità, la serietà, l’onestà del potere democratico-berlusconiano. Canto maligno di sirene che interpreta artatamente ogni parola e comportamento dell’unico movimento che a tale squallore tenta di opporsi.
A me sembra persino moderato il linguaggio di Grillo nei confronti dei giornalisti, categoria -con le dovute e proverbiali eccezioni- di fronte alla quale ogni prostituta conserva un’indefettibile dignità. Costoro, infatti, vendono qualcosa di ancora più personale degli organi genitali: vendono il proprio pensiero. Assunti come praticanti, debbono abituarsi sin dall’inizio a non indagare e a non criticare se non chi e che cosa i loro direttori vogliono che venga indagato e criticato. Servilismo e non pensiero diventano in tal modo un habitus della persona che scrive sotto dettatura del potere. Quando la parola del giornalista si coniuga all’immagine televisiva, il mondo si dissolve nell’ermeneutica del potente, quella che permette ancora a milioni di italiani di credere che Berlusconi non sia un delinquente e che il Partito Democratico sia di sinistra.
La Democrazia è fatta di almeno quattro elementi: divisione dei poteri, eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, elezioni libere e segrete, informazione indipendente da chi governa. In Italia si vota periodicamente e in modo -più o meno- segreto ma gli altri tre elementi sono assenti. L’Italia è quindi un Paese fintamente democratico. La parossistica dipendenza che il nostro popolo nutre verso la televisione è anche il bisogno di un’autorità che dica cosa si deve pensare e come si deve vivere. La televisione è forse la meno percepita ma anche la più dura smentita della democrazia. Di un sistema che necessariamente presuppone il desiderio di vivere liberi e la capacità di esserlo da parte di qualsiasi individuo. Ma non è così: chi è servo cercherà sempre un padrone, ne va della sua stessa identità. Con il progressivo tramonto delle autorità religiose, ideologiche, scientifiche, tale bisogno trova pieno appagamento nello schermo televisivo: nuovo oracolo, divinità all’apparenza poco esigente, la si gratifica con uno dei più antichi segni di sottomissione, l’ipse dixit: “L’ha detto la televisione”.
In questo niente, in questo vuoto colorato e costante, tramonta la capacità di pensare e annega con essa ogni libertà. La miseria del dominio catodico va individuata e distrutta. Si tratta di un passaggio necessario per individuare e distruggere la masnada di banchieri criminali che, con l’aiuto della televisione, governa l’Italia e l’Europa.

Il Partito Unico

E così tutto è compiuto. Il sogno della fazione di destra del Partito Comunista Italiano -ricondurre una forza anticapitalista dentro l’alveo di un’Europa subordinata agli Stati Uniti d’America- si è realizzato al di là delle stesse speranze di colui che ha tenacemente operato per decenni in questa direzione: Giorgio Napolitano. Passato dallo stalinismo all’ultraliberismo, costui ha mantenuto costante il nucleo autoritario che lo ha sempre ispirato, sino a negare ora apertamente i tre capisaldi di qualunque democrazia degna di tale nome: la distinzione tra maggioranza e opposizione, la divisione dei poteri, l’informazione come strumento di critica dell’azione politica.

Contro la fisiologica e necessaria dialettica parlamentare tra governo e opposizione, Napolitano esorta da anni alla formazione di una maggioranza che si estenda a tutte le forze politiche, ha promosso un’unità intessuta di complicità, di interessi personali, di reciproci ricatti. Quando si poteva cancellare l’anomalia criminale del berlusconismo -nel novembre del 2011- sciogliendo le Camere e dando vita a un governo di sinistra, ha invece affidato l’Italia a un banchiere spietato, incapace e clericale, offrendo alla destra più corrotta d’Europa tutto il tempo per ricostituirsi. Ha poi predeterminato il risultato politico qualunque fosse stato l’esito delle elezioni. E infatti nonostante il 75% degli italiani che si sono recati alle urne abbia espresso con chiarezza la volontà di farla finita con Berlusconi, Napolitano ha operato affinché costui fosse di nuovo al centro della dinamica politica, esito non contrastato dal defunto Partito Democratico anche per la ragione indicata da Franco Berardi Bifo: «Il cinismo è il suo [del medium televisivo] tono morale predominante, perché l’inconscio collettivo prevale sulla ragione critica, e l’inconscio collettivo si identifica ora con la figura narrativa del vincente. La sinistra pensava che l’immoralismo avrebbe portato alla sconfitta del mammasantissima. Sbagliava perché gli italiani che vivono nel mondo descritto in Reality da Matteo Garrone voteranno Berlusconi anche quando lo vedranno inculare il bambino Gesù (purché sia mostrato in tivù)» («L’evento italiano», in Alfabeta2, n. 28, aprile 2013, p. 6).
Contro la divisione dei poteri ha lentamente ma inesorabilmente eroso l’autonomia del legislativo sottoponendolo all’azione dilatata di un esecutivo che a sua volta risponde soltanto a un potere -quello del Presidente della Repubblica- al quale la Costituzione nega un simile spazio. Napolitano ha poi sistematicamente umiliato il potere giudiziario sino alla clamorosa richiesta di un intervento della Corte Costituzionale che gli desse ragione nei confronti di chi stava indagando sui suoi amici.
Contro la libertà dell’informazione ha evocato il dovere per quest’ultima di «collaborare» con il governo. Affermazione di inaudita gravità antidemocratica.

La logica dell’Identità, il monoteismo autoritario e verticale del Padre, ha così prevalso sulla logica della Differenza e sulla pratica della molteplicità. Il panorama è quello plumbeo dei vecchi paesi sovietici, verso il totalitarismo dei quali l’anima di quest’uomo non ha in realtà mai cessato di rivolgersi.
E affinché sia ancora più chiara la fine che devono fare quanti osano davvero proporre la differenza, Napolitano e i suoi complici nel governo e nei partiti assistono gelidi all’inusitato attacco alla libertà e ai diritti dei parlamentari del M5S eletti da più di otto milioni di cittadini, assistono compiaciuti alla violazione delle loro caselle di posta elettronica, dei loro computer, delle loro vite private e delle azioni politiche, in modo che nessun personaggio importante che tenga a se stesso e voglia far carriera si azzardi a stare dalla parte di questi appestati. Sta accadendo qualcosa di simile a ciò che si verificò tra il 1922 e il 1924, quando l’immunità parlamentare garantì i fascisti ma non Gramsci e i nemici del Duce.
C’è molta ideologia nell’azione di Napolitano e dei suoi complici, c’è molta fedeltà al fascismo perenne della storia italiana e al sogno di società chiusa del comunismo sovietico. Ma credo ci sia anche la potenza di un ricatto che lo stesso Presidente subisce. Ricatto del quale le intercettazioni prontamente distrutte dopo la sua assurda ma emblematica rielezione sono la prova, il sigillo, il veleno.

In un denso articolo del 24 aprile scorso, Barbara Spinelli paragona l’azione del Movimento 5 Stelle al “folle volo” dell’Ulisse dantesco, al testardo rifiuto di morire nella quiete della non speranza, alla lotta contro «l’ideologia […] con cui Pangloss indottrina l’inerme Candide, in Voltaire: stiamo andando verso il migliore dei mondi possibili, l’Europa meravigliosamente si integra, ed ecco  – horribile visu!-  una coorte di paradossali e tristi sovvertitori mirano proprio al contrario: alla dis-integrazione».
Soltanto delle menti e delle vite profondamente autoritarie, meschine e complici dell’ingiustizia possono interpretare come “dis-integrazione” la parola che dice no, l’anelito alla differenza, la molteplicità politica e ontologica. Nel fallimento di quel folle volo -che non è di Beppe Grillo o del Movimento 5 Stelle ma è di chiunque voglia ancora vivere libero- c’è tutta la tragedia di un’Italia destinata alla miseria antropologica prima che economica; c’è il lutto senza fine di un Paese che da secoli è servo; c’è la prefigurazione di ciò che si vorrebbe diventasse l’intero pianeta, le cui risorse e bellezza e differenze devono cedere alla rapace azione di un unico potere che prende di volta in volta le maschere della finanza, dei Bilderberg, di tutte le massonerie e di tutte le mafie; un mondo le cui risorse e bellezza e differenze devono inabissarsi in un solo gorgo.
«E la prora ire in giù, com’altrui piacque, / infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso»
(Commedia, «Inferno», canto XXVI, vv. 141-142).

Politica

In un commento di oggi a Mummificati, Diego Bruschi constata «la profonda e radicale diversità del M5S rispetto all’insieme di tutte le altre forze parlamentari» e mi chiede: «È vero che tu sei un Professore ed uno studioso apprezzato ma non un politico, ma se tu fossi Grillo, come procederesti?». È una domanda talmente importante e impegnativa da rendere opportuna una risposta un poco articolata.
Il 5 Stelle è un movimento politico di cittadini che operano affinché democrazia, equità, libertà non rimangano parole buone per qualunque discorso e quindi parole nulle, ma diventino un po’ più realtà quotidiana. Niente di particolarmente eclatante, dunque, per una società decente. Non per l’Italia, evidentemente.
Lo conferma un breve intervento pubblicato oggi su Mainstream, sito di analisi politica che era era stato assai duro con il M5S prima delle elezioni. A riprova dell’onestà intellettuale di chi lo anima, uno dei suoi fondatori –Marino Badiale– ora scrive:

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Ci sembra molto grave la vicenda della violazione della mail di alcuni parlamentari del M5S. E ancor più grave la sostanziale indifferenza delle istituzioni e la scarsa attenzione dei media. Ha ragione Grillo: fosse successa la stessa cosa a un Brunetta o a un Cicchitto (o a una Finocchiaro, aggiungiamo noi) le grida e le proteste avrebbero riempito i telegiornali. Facciamo solo due considerazioni: in primo luogo, il fatto che una cosa del genere non sia mai successa prima, nonostante il clima di accesa contrapposizione fra gli schieramenti di centrodestra e centrosinistra, è un altro indizio del fatto che tale contrapposizione era solo un’apparenza. La casta è sempre stata unita e coesa, e fra amici certi scherzi non si fanno. In secondo luogo, ed è solo l’altra faccia della medaglia, un simile fatto è indice di come il M5S sia esterno alla casta e sia percepito da essa come un pericolo. Non abbiamo ovviamente elementi per fare ipotesi sensate su esecutori e mandanti, ma davvero ci sembra difficile non pensare che qualcuno dall’interno di quel potere che i grillini vorrebbero attaccare abbia voluto mandare un segnale, un avvertimento affinché certe linee sensibili non siano toccate.

(M.B.)

PS Per un inquadramento generale della situazione politica attuale, nella quale si inserisce questo episodio inquietante, rimandiamo a questo intervento di Leonardo Mazzei.
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(Fonte: Inquietante)

Nell’articolo segnalato da Badiale (la cui lettura consiglio vivamente per comprendere che tipo di governo sia quello entrato in carica oggi), Mazzei scrive che «il terremoto prodotto dalle elezioni di febbraio ha spaventato sul serio il blocco dominante».
Venendo alla domanda posta da Bruschi, la prima reazione sarebbe dunque di scoramento, di rassegnazione di fronte a un blocco di potere nazionale e internazionale così duro nel difendere i propri privilegi di classe e di ideologia. Ma, per quanto mi riguarda, la parola “resa” non esiste.
Quindi se potessi prendere delle decisioni riguardanti il M5S che cosa farei? Sostanzialmente quello che Grillo sta già facendo:

  • Ribadirei ogni giorno (in primo luogo ai parlamentari del Movimento, agli iscritti e poi a tutti gli altri) che la reazione stessa dei poteri dominanti dimostra che il M5S è arrivato a toccare il cuore del potere.
  • Cercherei di spiegare con pazienza la complessa realtà che si cela dietro l’immensa finzione mediatica e spettacolare.
  • Curerei meglio le competenze giuridiche e politiche di tutti i parlamentari ed eletti del Movimento.
  • Proporrei dei capigruppo più preparati -anche dialetticamente- rispetto a quelli attuali.
  • Cercherei alleanze non con i partiti presenti in Parlamento (non lo farei per le ragioni indicate da Mazzei nella sua analisi) ma con altri movimenti della società civile. E ce ne sono tanti. Cercherei, insomma, di pormi come luogo di sintesi -non autoreferenziale- della elaborazione collettiva che è in corso, pur se repressa o emarginata, contro l’ultraliberismo criminale.
  • Informerei in modo capillare sui comportamenti e sui risultati dei lavori di tutte le commissioni parlamentari, mediante analisi semplici ma esatte stilate dai membri del Movimento che di tali commissioni fanno parte.
  • Rivendicherei ancora più nettamente la distanza dalle bande criminali (alias, «partiti») che stanno distruggendo l’Italia da vari decenni.
  • Mi porrei obiettivi anche di lungo periodo, perché nel breve la reazione finanziaria, mafiosa, imperialistica e criminale ha vinto (per capirlo basta osservare i nomi di chi davvero conta in questo governo).
  • Risponderei con le mie azioni e con le mie parole soltanto alla mia coscienza di cittadino e di uomo libero, esattamente come i partigiani. Perché di questo si tratta, come avevano ben compreso tra gli altri Debord e Foucault: di un fascismo pervasivo, ipocrita e feroce.
  • Il Partito Democratico è morto perché di questo fascismo è ormai parte integrante, e non certo da oggi. Quindi praticherei (per  me stesso e per il Paese nel quale sono nato) il dovere della non rassegnazione, partendo dal primo compito di chi intende agire sul reale: comprenderlo. Questo è non soltanto il mio dovere di studioso ma anche quello di chiunque voglia essere davvero un politico, un uomo della e per la polis.

 

Realtà / Simulacro

Quanti pensano che si dia una realtà del tutto autonoma dalla semantica e dalla comunicazione non comprendono che il virtuale e lo spettacolare delle società contemporanee costituiscono  «il capitale a un tale grado di accumulazione da diventare immagine» (Guy Debord, La société du spectacle, Gallimard, 1992 [1967], § 34). Per parafrasare Horkheimer e Adorno, la terra tutta virtuale splende all’insegna di sventurata realtà. La vita è diventata riproduzione di figure dietro e dentro le quali non si dà nulla se non la perpetuazione del dominio di chi possiede gli strumenti della rappresentazione rispetto a chi non li detiene. Perché «lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra persone, mediatizzato da immagini»; soggetti ed eventi che non si fanno spettacolo è come se non esistessero, e questo fa sì che lo spettacolo non sia «un supplemento del mondo reale, la sua decorazione sovrapposta. È il cuore dell’irrealismo della società reale» (Ivi, §§ 4 e 6). La fine dell’illusione produce un mondo di immagini nel quale non c’è niente da vedere, un mondo di informazioni in cui non c’è nulla da sapere.

È rimuovendo la realtà/simulacro che diventa possibile comprendere la potenza della realtà materiale e semantica dentro la quale si dà l’accadere. Se la regola dello scambio è di restituire sempre più di quanto si è ricevuto, allora rendere il mondo un po’ più libero significa anche renderlo più inintelligibile di quanto non ci sia stato dato; significa sostituire alla realtà della comunicazione servile l’irrealtà di progetti che esistono tra il già e il non ancora; significa fare dell’interpretazione un luogo di invenzione trasformatrice che dissolva la realtà; significa, in un parola, non rassegnarsi. In questo modo il costruzionismo e l’ermeneutica mostrano la propria natura libertaria e più anarchica di qualunque ideologia realista, progressista e politicamente corretta, il cui umanitarismo è l’evidente gemello dell’oppressione, la cui volontà di delicatezza nasconde a stento la ferocia della realtà: «Ogni destino negativo dev’essere ripulito da un trucco ancora più osceno di quel che vuole nascondere», in modo da legittimare nella propria compiaciuta tranquillità interiore «tutti coloro che fanno abbronzare la loro coscienza tranquilla al sole della solidarietà» (Jean Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà, Raffaello Cortina Editore 1996 [1995], pp. 143 e 137). È anche su questi ex rivoluzionari, che hanno barattato le loro giovinezze radicali con la solidarietà caritatevole dei clericali di ogni chiesa, che il potere fa affidamento e gongola tranquillo.

Lo spettacolo si rivela come una forma economica che «non canta gli uomini e le loro armi, ma le merci e le loro passioni» (La société du spectacle, § 66), una forma nella quale non troviamo ciò che desideriamo ma desideriamo ciò che ci inducono ad acquistare. Condizionati sin nell’intimo del loro pensare, inconsapevoli d’essere condizionati, vaganti tra illusioni, luccichii e menzogne, gli spettatori/consumatori sono il soggetto politico amorfo e passivo che Debord definisce con estrema chiarezza: si tratta di «morti che credono di votare» (Opere cinematografiche, Bompiani, 2004, p. 135), una morte che è consustanziale alle immagini che sopravvivono assai più a lungo di ciò che rappresentano. Ed è anche per questo che «lo spettacolo in generale, come inversione concreta della vita, è il movimento autonomo del non-vivente» (La société du spectacle, § 2). In questa società di zombie la democrazia è un simulacro. Il suffragio universale è diventato «il primo dei mass-media» in cui «propaganda e pubblicità si fonderanno sul medesimo marketing e merchandising di oggetti o di idee-forza», nel quale le differenze tra programmi e progetti si annullano mediante la distribuzione statistica del 50% per ogni coalizione, tanto che «il voto rassomiglia al moto browniano delle particelle o al calcolo delle probabilità, è come se tutti votassero a caso, è come se votassero delle scimmie. A questo punto, poco importa che i partiti in causa esprimano storicamente e socialmente checchessia –bisogna anzi che non rappresentino più nulla: il fascino del gioco, dei sondaggi, la coazione formale e statistica è tanto maggiore» (Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, 2007 [1976], pp. 77 e 81). Baudrillard sintetizza tali dinamiche della politica contemporanea nella formula dura ma efficace «della leucemizzazione di tutta la sostanza sociale: sostituzione del sangue con la linfa bianca dei media» (Ivi, p. 79). Coinvolti in questa leucemizzazione, i partiti e i sindacati “rappresentanti dei lavoratori” sono in realtà diventati i loro nemici mentre –a livello di economia universale- il segno monetario si disconnette «da qualsiasi produzione sociale: esso entra allora nella speculazione e nell’inflazione illimitata» (Ivi, p. 35). È esattamente quanto sta accadendo -anche con l’euro- negli anni Dieci del XXI secolo.

Imperialismo

Poche cose sono emblematiche della servitù di un individuo e di un popolo come il prendere posizione per l’uno o per l’altro di due padroni, le cui differenze sono per quell’individuo e per quel popolo irrilevanti. Il coro dell’atto III dell’Adelchi è assai efficace nel descrivere tale situazione.
Che dunque a vincere le imminenti elezioni che designeranno il rappresentante legale del sistema finanziario e militare statunitense sia il guerrafondaio premio nobel per la pace Barack Obama o il plurimiliardario cristiano-mormone e ultraliberista Mitt Romney, la politica statunitense verso il resto del mondo rimarrà quella ben esemplificata da Hiroshima, dal Vietnam, dalla distruzione dell’Iraq, dell’Afghanistan e della Libia, dal terrorismo che sta colpendo la Siria.
Ed Husain, analista del Council on Foreignis Relations -uno degli istituti di ricerca che elaborano la strategia statunitense verso gli altri Paesi- scrive che «i ribelli siriani oggi sarebbero incommensurabilmente più deboli senza Al Qaeda. I battaglioni dell’esercito libero siriano (Fsa) sono stanchi, divisi, confusi e inefficaci. Si sentono abbandonati dall’Occidente e sempre più demoralizzati mentre affrontano la potenza di fuoco superiore e l’esercito professionista del regime di Assad. L’arrivo di jihadisti di Al Qaeda porta disiciplina, fervore religioso, esperienza bellica dalle battaglie in Iraq, finanziamenti dai simpatizzanti nel Golfo e soprattutto risultati letali. […] In breve, l’Fsa ha bisogno di Al Qaeda ora» (Fonte: www.cfr.org/syria/al-qaedas-specter-syria/p28782 ).
Questo significa, commenta Francesco Labonia su Indipendenza, (anno XVI, n. 32, pp. 30-35) che «Washington e i suoi alleati/subalterni NATO sostengono (con finanziamenti e forniture di armi) quella che per anni è stata dipinta come una Spectre planetaria, cioè al Qaeda», con la quale invece gli USA si sono adesso alleati allo scopo di annientare «l’ultimo Stato arabo laico caratterizzato da un pluralismo multiculturale, integrato con il riconoscimento degli stessi diritti alle varie religioni che si intrecciano nella complessità dei vincoli tribali-familiari», come vari esponenti cristiani che vivono in Siria confermano.

Nel flusso di menzogne che i media filoamericani diffondono «straordinario è il ruolo dell’influente Al Jazeera, di proprietà della famiglia regnante del Qatar. Ora, il Qatar è il regno di un piccolo satrapo di stampo feudale e teocratico. […] Il Qatar brilla per il fatto che non esiste alcun Parlamento, non vige alcuna Costituzione, non è ammessa l’esistenza di alcun partito e ovviamente non sono mai state indette, anche solo pro forma, consultazioni elettorali. La parola “diritti”, di qualsiasi natura, è semplicemente sconosciuta. La sua importanza le viene soprattutto dall’essere sede di una gigantesca base militare statunitense, considerata la più grande esistente fuori dagli Stati Uniti. […] Da questo emirato Al Jazeera lancia le sue crociate suppostamente democratiche d’interventismo militare in casa d’altri. Anche al prezzo di mistificazioni e falsificazioni colossali. […] Di democrazia è fantasioso parlare anche per altri Stati dell’area come gli Emirati Arabi Uniti l’Oman o la monarchia hashemita della Giordania o nello stesso Yemen. Per Al Jazeera (e non solo), però, è la Siria laica, multiconfessionale, non sottomessa e sovrana a dover essere democratizzata, cioè, come da relativa accezione linguistica euroatlantica,  dominata».
Tutto questo è non soltanto grottesco ma anche esemplare di una società -la società dello spettacolo- nella quale il dominio appartiene a chi controlla la comunicazione e l’informazione. Ancora una volta Orwell e Debord ci hanno insegnato l’essenziale.
Ma nonostante questa imponente propaganda della quale naturalmente tutti i media italiani, escluso in parte il manifesto, sono strumento e voce «quel che principalmente conta –e non è assolutamente cosa da poco– è che gran parte della società siriana sinora non si è piegata ed ha scelto la strada della resistenza, nelle diverse forme in cui la sta esprimendo. La migliore risposta che si possa dare all’oscurantismo di matrice salafita-alqaedico e alla sudditanza atlantica».
Tacito fa dire al generale caledone Calgaco «Auferre, trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant» (Agricola, 30, 7). Rubare, massacrare, rapinare. Questo, con falso nome, chiamano impero. Creano il deserto, e lo chiamano pace. E democrazia.

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