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I nostri morti e i loro

«I nostri morti». Quali? Le vittime senza numero delle guerre statunitensi in Irak, Libano, Afghanistan? Le centinaia di cadaveri lasciati il 4 settembre dall’aviazione della NATO accanto a una cisterna di benzina? I sei paracadutisti italiani che hanno consapevolmente scelto di dare e rischiare la morte in cambio di un ingaggio di 7.000 euro al mese? Perché i primi non contano e i secondi sì? Forse perché costoro sono «i nostri morti» mentre uomini, bambini, donne sterminati a centinaia di migliaia dagli eserciti occidentali e dalla resistenza locale sono i loro morti? Non è questa la logica arcaica e tribale di ogni conflitto, che l’Europa illuministica, cosmopolita e moderna si illude di aver oltrepassato e che invece ritorna di continuo nella propaganda militarista dei governi di ogni colore? E non è forse un’ipocrisia, un’insensatezza, un ossimoro voler generare «democrazia e libertà» coi bombardamenti, con i carri armati, con uomini di altre religioni, di lontane terre, vestiti come robot da combattimento che entrano nelle case a mostrare il volto più feroce e più impaurito dei ricchi del pianeta? E lo spreco di risorse che in Italia sottrae solo per l’Afghanistan un miliardo di euro alla salute, alla scuola, alla ricerca, alla bellezza e alla pace, arricchendo invece le industrie che producono armi e i conti correnti dei politici che da esse intascano tangenti? A tutto questo ha dato voce stamattina Massimo D’Alema rispondendo così a una domanda del GR3: «Andare via dall’Afghanistan, dal Libano, dal Kosovo? No. Dobbiamo decidere se l’Italia è un Paese importante o se vogliamo andare in serie B». Non dunque per cercare Bin Laden, non per vendicare l’11 settembre (evento per il quale non un solo afghano è stato indagato), non per togliere il burqa alle donne e neppure per il petrolio. È per rimanere “in serie A” tra «i grandi del mondo» che si uccide e si muore, che si moltiplicano i nostri e i loro morti. Politica di potenza, puro imperialismo.

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