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Route Irish

di Ken Loach
(titolo italiano: L’altra verità)
Con: Mark Womack (Fergus), Andrea Lowe (Rachel), Johh Bishop (Frankie), Geoff Bell (Walker), Jack Fortune (Haynes)
Gran Bretagna-Francia-Italia-Belgio-Spagna, 2010
Trailer del film

Route Irish è il nome dato alla strada che collega l’aeroporto di Baghdad alla città. Qui Frankie è saltato in aria. Frankie era un contractor, un mercenario incaricato della protezione di uomini d’affari e altri privati. Era stato convinto ad andare in Iraq dal suo collega Fergus, col quale sin da ragazzo aveva condiviso ogni cosa. Fergus intuisce che dietro l’attentato che gli ha ucciso l’amico c’è qualcosa che non va. Frankie aveva fatto in tempo a fargli recapitare un cellulare che contiene il video di un attacco gratuito a un taxi iracheno da parte dei contractors, attacco che aveva sterminato una famiglia di civili. E dunque l’amico era stato attirato in una trappola per evitare che denunciasse l’accaduto; non si era «trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato» come affermano invece i proprietari dell’agenzia che li ha ingaggiati, i quali saranno loro -stavolta- a trovarsi nel posto sbagliato.

Non conosce sosta l’azione di questo regista nel documentare e denunciare le menzogne politiche. La mattanza che è la presenza in Iraq degli Stati Uniti e dei loro alleati viene raccontata coniugando -come sempre in Ken Loach- le storie personali dei protagonisti, in questo caso una profonda amicizia maschile, con gli eventi storici collettivi. Individui violenti, a volte disoccupati e altre disadattati o semplicemente sadici, vengono reclutati dagli eserciti ufficiali e da quelli mercenari e diventano -in Afghanistan, in Iraq, nel Nord Africa e ovunque arrivi il cancro americano- dei serial killer che nessun tribunale può perseguire, le cui azioni sono coperte dalla più completa immunità. Il risultato è l’orrore, come documentano anche questi video e il dolente e magnifico Redacted di Brian De Palma. Che la Nemesi colpisca gli assassini, loro sì terroristi.

La II guerra di Libia

Sulla propria pagina di Facebook Giusy Randazzo ha pubblicato una riflessione che condivido pienamente:
«…La brutalità di Gheddafi deve essere fermata. L’attacco è necessario per difendere i civili… Lo dicono i buoni che agiscono con sottomarini e navi che sparano fiori. Il portavoce del governo libico sostiene che il regime ha accettato la Risoluzione del ’73 e ha rispettato il cessate il fuoco ma le nazioni unite e la società internazionale anziché inviare degli osservatori per verificare i fatti hanno cominciato ad attaccare il paese con grave danno anche per la popolazione civile. Sicuramente mente. Ci conviene pensarlo.
Comunque –tranquilli- sb ha detto che noi non abbiamo nulla da temere perché la Libia non possiede armamenti in grado di raggiungere l’Italia. A Lockerbie infatti Gheddafi, non avendo missili, aveva lanciato un aereo di linea esploso in volo grazie alle bombe piazzate dal dittatore (1988- 270 morti). Lo stesso dittatore a cui l’anno scorso sb aveva baciato le mani, dichiarando amicizia e alleanza».
Un secondo testo assai lucido che invito a leggere è di Massimo Fini, il quale ha proposto insieme ad altri una petizione contro questo ennesimo, ipocrita e pericolosissimo vulnus inferto al diritto internazionale e alla pace, per ragioni ancora una volta economiche e colonialiste.
La Germania dà una lezione di autonomia dal potere anglosassone (il vero male della contemporaneità, come Carl Schmitt ha dimostrato) rifiutandosi di esser complice di un’impresa che il suo ministro degli esteri Westerwelle ha giustamente definito «avventurista». L’Italia dà invece ancora una volta prova della propria viltà e subordinazione all’imperialismo statunitense e ai suoi interessi, calpestando l’articolo 11 della Costituzione -«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Gli italiani confermano la loro stoltezza, applaudendo quasi tutti -Pdl e Pd a braccetto- a un vero e proprio suicidio politico e diplomatico. Non è da escludere che qualche missile libico arrivi in Sicilia, la prima terra europea a portata di mano di Gheddafi, l’uomo che lo scorso anno Berlusconi ha ospitato trattandolo da re e al quale, come ricordato da GR, ha persino baciato le mani. Almeno questo Giolitti -nella I guerra di Libia- non lo aveva fatto.

[Aggiungo -26 marzo 2011- il pdf, inviatomi da Dario Sammartino, di una pagina dedicata alla I guerra di Libia da Carlo Fruttero e Massimo Gramellini nel loro libro La Patria, bene o male, Mondadori 2010, pp. 119-120. Invito i lettori a cogliere le analogie con gli eventi accaduti un secolo fa].

I nostri morti e i loro

«I nostri morti». Quali? Le vittime senza numero delle guerre statunitensi in Irak, Libano, Afghanistan? Le centinaia di cadaveri lasciati il 4 settembre dall’aviazione della NATO accanto a una cisterna di benzina? I sei paracadutisti italiani che hanno consapevolmente scelto di dare e rischiare la morte in cambio di un ingaggio di 7.000 euro al mese? Perché i primi non contano e i secondi sì? Forse perché costoro sono «i nostri morti» mentre uomini, bambini, donne sterminati a centinaia di migliaia dagli eserciti occidentali e dalla resistenza locale sono i loro morti? Non è questa la logica arcaica e tribale di ogni conflitto, che l’Europa illuministica, cosmopolita e moderna si illude di aver oltrepassato e che invece ritorna di continuo nella propaganda militarista dei governi di ogni colore? E non è forse un’ipocrisia, un’insensatezza, un ossimoro voler generare «democrazia e libertà» coi bombardamenti, con i carri armati, con uomini di altre religioni, di lontane terre, vestiti come robot da combattimento che entrano nelle case a mostrare il volto più feroce e più impaurito dei ricchi del pianeta? E lo spreco di risorse che in Italia sottrae solo per l’Afghanistan un miliardo di euro alla salute, alla scuola, alla ricerca, alla bellezza e alla pace, arricchendo invece le industrie che producono armi e i conti correnti dei politici che da esse intascano tangenti? A tutto questo ha dato voce stamattina Massimo D’Alema rispondendo così a una domanda del GR3: «Andare via dall’Afghanistan, dal Libano, dal Kosovo? No. Dobbiamo decidere se l’Italia è un Paese importante o se vogliamo andare in serie B». Non dunque per cercare Bin Laden, non per vendicare l’11 settembre (evento per il quale non un solo afghano è stato indagato), non per togliere il burqa alle donne e neppure per il petrolio. È per rimanere “in serie A” tra «i grandi del mondo» che si uccide e si muore, che si moltiplicano i nostri e i loro morti. Politica di potenza, puro imperialismo.

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