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Erinni partenopee

Eduardo De Filippo. Il sindaco del rione Sanità
di Mario Martone
Con: Francesco Di Leva (Antonio Barracano), Roberto De Francesco (Dottor Fabio Della Ragione), Massimiliano Gallo (Arturo Santaniello), Adriano Pantaleo (Catiello), Daniela Ioia (Armida), Salvatore Presutto (Rafiluccio Santaniello)
Italia, 2019
Trailer del film

Martone ha voluto che il nome di Eduardo De Filippo comparisse anche nel titolo. Come è giusto. Perché il film è assai fedele al testo di Eduardo, che dall’ambientazione nel presente (e non negli anni Cinquanta del Novecento) riceve ulteriore significato. Universale è infatti questa storia di ‘ignoranti’ che si rivolgono a un uomo ritenuto da tutti più saggio, allo scopo di appianare i loro conflitti, le violenze, il rancore. Un uomo che ha ucciso una volta sola, per sopravvivere all’angoscia, al tumulto e alla sofferenza anche fisica generati da una violenza subita senza ragione: «So’ passate cinquanta-sett’anne: don Artu’, l’ultima l’ultima coltellata a Giacchino nun nce l’aggio data ancora».
Don Antonio Barracano si muove come il popolo del suo rione napoletano; parla con la lingua meravigliosa, espressiva e potente della sua città; ne condivide codici, scetticismi, delusioni. E tuttavia quest’uomo è un’astrazione. È troppo saggio, infatti. Molto più saggio dell’umanità «fetente» che lo circonda, come gli ricorda il suo alter ego ‘laureato’, il medico Fabio Della Ragione (nome dal trasparente significato). Umanità fetente a cominciare dai suoi familiari per arrivare sino a chi non nutre alcuna gratitudine per la salvezza che da Don Antonio ha ottenuto. Una saggezza talmente profonda da pervenire alla rinuncia.
Tutto il grande teatro, tutto il teatro del mondo e dei secoli -Marlowe, Shakespeare, Molière, Beckett, De Filippo, e tanti altri– è tale perché riprende, traduce e reinventa ogni volta il nucleo del dialogo dell’Europa con il senso e con le Erinni, perché riprende, traduce e reinventa ogni volta la tragedia greca. Il sindaco del rione Sanità è evidentemente greco, anche in questa versione di Martone, alla quale attori tutti napoletani -e dunque duri, musicali e profondi– offrono il dono della vita che scorre, che va, che si perde.
«C’è un’altra cosa che non dice mai bugie: ‘a morte. L’uomo che appartiene alla streppegna [razza] schifosa e falsa dell’umanità, per commettere ingiustizie si può fingere sordo, muto, cecato, malato ‘e core, paralitico, tisico, pazzo… se po’ fa credere in punto di morte… e i medici, compreso voi professo’, devono fare prove e controprove per assodare se l’infortunio o la malattia sono veraci o no; ma quanno è morto, ‘o core dice ‘a verità: se ferma».

[Tre anni fa vidi un’altra messa in scena dell’opera e ne parlai qui: Antropologia napoletana]

Antropologia napoletana

Teatro Elfo Puccini – Milano
Il sindaco del rione Sanità
di Eduardo De Filippo
Con Eros Pagni, Federico Vanni, Maria Basile Scarpetta, Gennaro Apicella, Massimo Cagnina, Angela Ciaburri, Orlando Cinque, Gino De Luca, Federica Granata, Cecilia Lupoli, Rosario Giglio, Luca Iervolino, Marco Montecatino, Gennaro Piccirillo, Pietro Tammaro
Produzione Teatro Stabile di Genova – Teatro Stabile di Napoli
Regia di Marco Sciaccaluga
Trailer dello spettacolo
Sino al 14 febbraio 2016

sindaco_2Finito lo spettacolo appare una frase dal Riccardo II di Shakespeare: «La morte è poca cosa ma risana la ferita della vita». La stessa affermazione viene pronunciata all’inizio da Don Antonio Barracano: «La morte non tene crianza ma un merito ce l’ha: chiude una ferita mortale, la ferita della vita». Nel testo di Eduardo queste parole non ci sono ma bene ha fatto Sciaccaluga a inserirle, poiché delineano in modo limpido l’antropologia che sta al fondo dell’opera. Un’antropologia disincantata, che non crede alla giustizia delle leggi e delle ‘autorità’ ma cerca anche di evitare le carneficine che ogni vendetta privata e ogni ingiustizia subìta scatenano.
Il guappo Antonio Barracano cerca sempre di sentire «le due campane» di ogni disputa, conflitto, odio, e di indicare o -se necessario- imporre la soluzione più equa. Al medico che collabora con lui da trentacinque anni e che è stanco di ricucire e curare i corpi di disgraziati, di canaglie che non lo meritano, Barracano risponde che costoro sono delle vittime, «sì vittime dell’ignoranza e l’autorità comanda più facilmente sugli ignoranti». Don Antonio tiene sempre aperto sulla scrivania il Codice Penale, ne conosce bene contenuto e articoli ma ritiene -come Solone- che le leggi somiglino alla ragnatele: gli insetti piccoli ne vengono catturati, quelli grossi le sfondano. In questo disinganno amaro e profondo sta, certo, la radice delle camorre e delle mafie ma abita anche l’anelito libertario. Tra ‘l’uomo lupo per l’altro uomo’ e il sogno platonico della giustizia affidata ai saggi, si declina uno dei testi più ricchi e complessi della drammaturgia di Eduardo.
La regia di Sciaccaluga è essenziale e punta tutto sulla densità del testo. Eros Pagni è un Antonio Barracano credibile sino alla commozione. Uno spettacolo molto bello, nel quale la tragedia e il comico si intrecciano e fanno pensare ancora a Platone: «Tutto ciò che è umano non è, in complesso, degno di essere preso molto sul serio; tuttavia bisogna pur occuparsene, per quanto possa essere un compito ingrato» (Leggi 803 b).

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