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Enrico Palma su Disvelamento

Enrico Palma
Recensione a Disvelamento. Nella luce di un virus
in il Pequod, anno 3, numero 5, giugno 2022, pagine 157-162

«Il titolo, molto ambizioso, unisce lo sguardo filosofico a quello sulla realtà, tentando di utilizzare il Covid-19 come strumento appunto di disvelamento delle complessità etiche, estetiche, sanitarie, sociali e soprattutto politiche della contemporaneità virale. Il virus, per Biuso, è infatti una questione prima di tutto politica. Ed è tale perché il Covid-19 ha coinvolto ogni livello del vivere, sia individuale che collettivo. Sulla base di un’identità libertaria, filosofica e critica, Biuso individua allora alcune delle maggiori problematiche e delle più scottanti criticità nella gestione dell’emergenza sanitaria, facendo emergere l’ondata nichilistica, oscurantistica e irrazionalistica che ha pervaso i decisori politici e quindi di riflesso l’opinione dominante impattante sul corpo sociale, ammalato secondo l’autore di autoritarismo, servilismo e negligenza intellettuale ben più di ogni infezione da Covid-19. […]
Ad ogni modo, ho veramente difficoltà a comprendere pienamente la posizione dell’autore. Mi sembra che in almeno quattro loci del libro la malattia da Covid-19 venga presa nella sua realtà per la salute e dunque come evento da trattare con serietà e da fronteggiare anche in senso sanitario. […] Faccio difficoltà a coniugare una tale diversità di posizioni, come sia possibile cioè da una parte declinare una critica così lucida e largamente condivisibile alla gestione della pandemia e ai danni arrecati dalla risposta politico-sanitaria e dall’altra affermare la realtà del virus e non agire di conseguenza. […]
Un principio luminoso e di libertà profonda che ci ricorda del nostro limite, che lo fa accettare e benedire, che ci fa comprendere, distanti dall’illusione di gioie false e insperabili, la ferita e la tragedia che è la vita in sé, sempre, come sapeva, ben prima di ogni Covid-19, il Pavese con il quale Biuso termina in modo per me molto bello questo libro, che resta stimolante per la riflessione sul senso del nostro stare al mondo. Perché rimane prima di tutto un esercizio di libertà in vista della libertà stessa, un caveat radicalmente filosofico che intriso della lezione dei grandi maestri propone una prospettiva critica di comprensione su ciò che non dobbiamo smarrire, su ciò che dobbiamo ancora comprendere sulla nostra salus, che è insieme salute e salvezza».

Nemesi e dismisura

Nemesi e dismisura
in il Pequod , anno 3, numero 5, giugno 2022, pagine 7-14

Indice del saggio
-Tracotanza
-Nemesi
-Un conclusione politeistica

Leggere oggi Nemesi medica (uscito nel 1976) significa disvelare sotto una luce radente e profonda le radici, le manifestazioni e soprattutto il significato del presente.
È accaduto che si sia invertito l’ordine naturale e logico del rapporto tra salute e malattia, è accaduto che si sia diventati tutti pazienti senza essere malati, è accaduto che «il cittadino, finché non si prova che è sano, si presume che sia malato. […] Risultato: una società morbosa che chiede una medicalizzazione universale, e un’istituzione medica che attesta una universale morbosità» (Ivan Illich); è accaduta un’aggressione del corpo collettivo verso se stesso, la metastasi di una parte tesa a consumare il tutto; è dilagata una malattia sociale, politica e civile.
E questo nonostante il fatto che «studiando l’evoluzione della struttura della morbosità si ha la prova che durante l’ultimo secolo i medici hanno influito sulle epidemie in misura non maggiore di quanto influivano i preti nelle epoche precedenti. Le epidemie venivano e se ne andavano, esorcizzate da entrambi ma non impressionate né dagli uni né dagli altri. Esse non vengono modificate dai riti celebrati nelle cliniche mediche più di quanto lo fossero dai tradizionali scongiuri ai piedi degli altari» (Illich).
Ciò che sta accadendo da due anni a oggi è dunque un esempio del concetto chiave dell’analisi di Illich: iatrogenesi.
L’attacco è stato e continua a essere furibondo nei confronti dell’immunità naturale, la quale è il fondamento e la condizione che consente alla nostra specie, come alle altre, di non essere spazzata via dalla miriade di agenti patogeni che abitano la Terra. Una medicina sana favorisce e rafforza l’immunità dei corpi, una medicina malata danneggia e indebolisce l’immunità naturale. Infatti, «fino a tempi non lontani la medicina si sforzava di valorizzare ciò che avviene in natura: favoriva la tendenza delle ferite a sanarsi, del sangue a coagularsi, dei batteri a farsi sopraffare dall’immunità naturale. Oggi invece essa cerca di materializzare i sogni della ragione» (Illich), che – come si sa – hanno la tendenza a diventare i suoi incubi.
Per millenni e sino alla fine dell’Ottocento il medico, o chi per lui, è stato addestrato e abituato a riconoscere la facies hippocratica, i segni della morte imminente e inevitabile, in base ai quali deve subentrare il rispetto per la persona che nel ciclo naturale e infinito lascerà il posto ad altre forme e ad altre vite. Lasciare andare il morente, accompagnarlo con l’abbraccio dei suoi cari, è stato un preciso dovere, sostituito ora dall’accanimento insensato che fa morire gli umani in una solitudine meccanica e ambientale che è il più atroce esito della nemesi medica.
Nel 1976 Illich enunciava un’affermazione icastica e feroce, che il tempo ha confermato, vale a dire «la servile subordinazione della classe medica italiana nei confronti dell’industria farmaceutica». Una subordinazione che è data certamente dalla secolare condizione di colonizzazione degli italiani, compresi i loro intellettuali e tecnici, e da un tessuto politico particolarmente corrotto ma che è anche e soprattutto espressione di un radicato e più generale rifiuto del πέρας, del limite, della consapevolezza della finitudine, che è – semplicemente – l’intelligenza del mondo.

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Tali sono alcune delle tesi che ho cercato di argomentare in questo saggio che esce in un numero assai ricco del Pequod, sul quale hanno scritto molti amici e allievi, a cominciare dal suo ideatore Enrico Palma. L’indice completo lo si trova anche nel pdf ma ricordo qui che tra i contributi ci sono quelli di Davide Amato, Nicoletta Celeste, Sarah Dierna, Stefano Piazzese, Mattia Spanò, del collega Antonio Sichera. Insieme ad alcuni di questi studiosi e ad altri, abbiamo anche scritto una riflessione collettiva dedicata alla messa in scena del’Edipo Re quest’anno a Siracusa: Edipo Re. Una nota filosofica, esperimento riuscito di pensiero collettivo, segno certo di salute.

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