Skip to content


Heidegger, la terra

La rivista Il Covile ha tradotto due testi di Martin Heidegger nei quali il filosofo parla della propria infanzia e adolescenza a Meßkirch, pagine alle quali ha aggiunto il testo con cui il 27 ottobre del 1933 il filosofo rifiuta per la seconda volta l’offerta di una cattedra all’Università di Berlino. Il titolo dato ai tre scritti è Tre stagioni della vita. Sulla gioia dell’essere in comune [Gemeinwesen] in un luogo concreto (10 gennaio 2025).
Invito a leggere queste pagine pacate, teoretiche e rivelatrici. Pacate nel loro procedere, simile a quello di un contadino lungo un viottolo; teoretiche nell’esplicito legame che Heidegger istituisce tra il proprio pensare e il mondo nel quale e dal quale la sua persona è germinata; rivelatrici dell’autentico significato della questione dell’essere, che è una questione della terra, dell’origine e della fedeltà, e quindi del tempo. Parole oggi forse già incomprensibili.

Nel secondo testo si legge che «che tutto ciò che è solido prospera solo se l’uomo è in pari misura entrambe le cose: pronto alla richiesta del cielo supremo e custodito nella protezione della terra che sostiene».
Nel declinare l’offerta di trasferirsi a Berlino, Heidegger scrive che il proprio lavoro «è inseparabilmente congiunto al lavoro dei contadini; ne condivide il cuore». E aggiunge che «non si tratta affatto di uno starsene in isolamento! Parlerei, piuttosto, di solitudine. Nelle grandi città, l’uomo può facilmente ritrovarsi davvero isolato quasi come in nessun altro luogo. Ma non può mai essere solo. Infatti la solitudine ha la peculiare capacità di non isolarci mai; essa, piuttosto, libera l’intera nostra esistenza proiettandola nella vastità dell’essere vicini all’essenza delle cose».

Il mondo del quale parla Heidegger non esiste più. I curatori di questo numero del Covile hanno ragione nel concludere che «l’opera di Martin Heidegger costituisce l’ultimo e più alto grido dal mondo contadino mentre veniva dissolto da quello delle macchine e dell’abolizione dell’uomo».
E tuttavia qualcosa di quel mondo posso percepire, ho percepito, poiché ho avuto la fortuna di scaturire da generazioni di contadini. I miei avi, i miei bisnonni e nonni vivevano del lavoro dei campi, tutti. Ho conosciuto e frequentato, anche a lungo, i nonni Biagio, Giuseppa, Illuminato e Rosa. A Biagio Biuso ho fatto cenno qui: Briganti. Ancora oggi uno dei periodi più belli dell’anno sono i mesi di luglio e agosto, quando posso lavorare in una casa sull’Etna, edificata nel 1900. Il paesaggio, i viottoli e la luce sono molto diversi da quelli della Foresta Nera del Baden-Württemberg ma la terra è altrettanto accogliente, ritornante a ogni stagione, silenziosa.

Su Lenin

Due commenti a Lenin
in Il Covile
anno XVI, numero 711
8 dicembre 2024
Pagine 1-8

Ringrazio la rivista il Covile per aver voluto ripubblicare un mio breve testo dedicato a Materialismo ed empiriocriticismo, uscito lo scorso febbraio su Il Pensiero Storico. Tanto più per averlo voluto affiancare alla analisi critica che nel 1933 Simone Weil rivolse allo stesso libro.

In realtà, l’articolo di Weil è dedicato a questioni più generali di epistemologia, che emergono in modo limpido ed efficace nella seconda parte del suo scritto. Una epistemologia con la quale concordo pienamente quando rileva che «si dovrà riconoscere l’esistenza, e di un mondo che è oltre il pensiero, e di un pensiero che, lungi dal riflettere passivamente il mondo, si esercita su di lui per conoscerlo e trasformarlo», come ho anch’io ribadito nel mio testo. Concordo poi sulla critica a una pratica scientifica, in particolare della fisica, diventata di fatto esoterica e pericolosamente vicina alle pratiche di fede, «al punto che l’oscurità, e finanche l’assurdità, appaiono oggi, in una teoria scientifica, come segni di profondità. […] In questo senso, la bella espressione di Marx a proposito della critica della religione come condizione primaria di ogni critica deve essere estesa anche alla scienza moderna».

Assai meno condivisibile è la breve prima parte dell’articolo, incentrata su Lenin, e questo per varie ragioni.
La prima è che in essa Weil ribadisce di fatto una posizione intramata di cartesianesimo e di idealismo, la quale a proposito della ovvia struttura materica del corpomente umano, compreso il cervello, parla ironicamente di «inesplicabile caso» e di «Provvidenza» per le teorie epistemologiche realistiche che affermano la continuità (che non è certo identità e non è opposizione) tra come è fatto il mondo e come la mente umana (o di qualsiasi altro animale) lo apprende.
Ma il limite più grave è di natura polemico-politica. La filosofa pubblicò infatti questo scritto su una rivista militante, come La Critique Sociale, e si nota subito che l’obiettivo non è soltanto e neppure principalmente epistemologico ma tende a sminuire Lenin filosofo allo scopo di accusarlo, come in modo nettissimo fa, di dogmatismo anche politico, scrivendo ad esempio che «un tale metodo di pensiero non è quello di un uomo libero. Come tuttavia avrebbe potuto ragionare altrimenti? […] Molto tempo prima di strappare la libertà di pensiero alla Russia tutta intera, il partito bolscevico l’aveva già tolta al proprio capo».
Weil scriveva nel pieno dello stalinismo e delle polemiche interne al movimento comunista. Possiamo dunque comprendere la riduzione allo stalinismo che Weil opera di un libro militante (l’ho rilevato con chiarezza nella mia analisi) ma certamente anche del tutto filosofico qual è Materialismo ed empiriocriticismo.
Sulle ragioni specifiche – epistemologiche e teoretiche – per le quali non condivido in nessun modo la lettura che Weil fa del libro di Lenin non aggiungo nulla poiché esse sono indicate e discusse nel mio articolo.

Il mito e la storia

Il mito come storia
Cinque drammi di Friedrich Dürrenmatt

in Il Covile
anno XVI, numero 705, 21 ottobre 2024
Pagine 1-8

Collaboro con numerose riviste (e ne dirigo una) ma la soddisfazione che mi regala la pubblicazione di un saggio su Il Covile è particolare, e questo per due precise ragioni:
-l’eleganza e la bellezza della rivista, il suo coraggio di apparire antica anche nella grafica;
-l’affrancamento dai miserabili dogmi del presente, ciò che Nietzsche chiama unzeitgemäß, inattuale.
Dietro due elementi come questi abitano infatti molte condizioni e un intero mondo.
Nel saggio ho cercato di leggere cinque drammi storici di Dürrenmatt anche alla luce di uno dei racconti più straordinari di questo drammaturgo e narratore: La morte della Pizia.

Indice del saggio
-Premessa sul Nobel
-Mito e storia
-Un angelo è sceso a Babilonia
-Sta scritto
-Il cieco
-La meteora
-Frank V
-Conclusione. Il male a Delphi

Vai alla barra degli strumenti